EX VOTO ETRUSCO

Alla base della religiosità etrusca, soprattutto nei tempi più antichi della civiltà,
stava l’idea fondamentale che la natura dipendesse strettamente dalla divinità
e che perciò ogni fenomeno naturale fosse espressione della volontà divina.
Gli dei erano concepiti come esseri soprannaturali, misteriosi,
indefiniti e l’uomo non ne aveva alcuna conoscenza.
Incerti sia del loro numero che del loro sesso o delle loro apparenze,
gli Etruschi potevano soltanto cercare di captarne le manifestazioni
ed i desideri attraverso l’interpretazione di ” segni”,
spesso costituiti da semplici fenomeni naturali o cercare di strapparne i favori attraverso riti, sacrifici ed offerte votive.
Gli etruschi si recavano spesso nel tempio per onorare le divinità
e quando ottenevano una grazia erano soliti portare al tempio,
come grazia ricevuta, una copia dell’organo malato ed ora guarito (ex-voto)
per ringraziare gli dei: Giove, Giunone e Minerva.

Ogni cosa veniva decisa dagli dei, perciò gli Etruschi cercavano di capire la loro volontà.
A questo scopo venivano interpellati prima di ogni iniziativa, gli indovini.
Depositaria della dottrina ed esperta della disciplina
era, infatti, la casta sacerdotale, aristocratica discendenza
di quei “lucumoni” che avevano ricevuto dagli dei la rivelazione ed i testi sacri.
I sacerdoti erano divisi in collegi ed indicati con nomi diversi
a seconda del settore in cui erano esperti,
si trattasse della interpretazione delle viscere (haruspex) o dei fulmini (fulgitur).
I”fulgatores” capivano la volontà divina osservando la direzione dei fulmini.
Grande importanza avevano il luogo e il giorno in cui essi apparivano,
ma anche la forma, il colore e gli effetti provocati.
Le varie divinità che avevano la facoltà di lanciarli
disponevano, ciascuna, di un solo fulmine alla volta,
mentre Tinia ne aveva a disposizione tre:
il primo era il fulmine “ammonitore” che il dio
lanciava di sua spontanea volontà e veniva interpretato come avvertimento;
il secondo era il fulmine che “atterrisce” ed era considerato manifestazione d’ira;
il terzo era il fulmine “devastatore”, motivo di annientamento e di trasformazione:
Seneca scrive che esso “devasta tutto ciò su cui cade
e trasforma ogni stato di cose che trova, sia pubbliche che private”.
I fulmini erano variamente classificati a seconda che il loro avviso
valesse per tutta la vita o solamente per un periodo determinato
oppure per un tempo diverso da quello della caduta.
C’era poi il fulmine che scoppiava a ciel sereno,
senza che alcuno pensasse o facesse nulla, e questo,
sempre stando a quel che dice Seneca,
“o minaccia o promette o avverte”; quindi quello che “fora”,
sottile e senza danni; quello che “schianta”; quello che “brucia”, ecc.
Ma Seneca parla anche di fulmini che andavano in aiuto
di chi li osservava, che recavano invece danno,
che esortavano a compiere un sacrificio, ecc.
Con un tale groviglio di possibilità, solo i sacerdoti esperti
potevano sbrogliarsi.