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5 Ottobre 2000 ARCHEOLOGIA
Giuliano Romano l´astronomia
La cosmologia dei Maya
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La cultura Maya fiorì nella parte meridionale del Messico, nel Guatemala e nelle terre circostanti dal 500 a.C. circa fino all'epoca della conquista spagnola. Gli storici dividono le fasi dello sviluppo di questa civiltà in tre parti: il Periodo Pre Classico, che va dalla preistoria fino a circa il 300 d.C., il Periodo Classico, dal 300 al 900 d.C., e il Post Classico che va dal 900 fino alla conquista europea. L'epoca del massimo sviluppo fu quella del Classico, quando un gruppo elitario si affermò praticamente in ogni città, facendo sfoggio di potenza attraverso la costruzione di templi e anche attraverso guerre di conquista, più o meno fortunate, di territori e di villaggi circostanti.

Questa classe, che custodiva gelosamente tutto il sapere della comunità, aveva sviluppato un particolare tipo di scrittura e una matematica di buon livello, la quale consentiva di trattare dati d'osservazione astronomica e accadimenti storici ordinandoli sulla base dei tre calendari che allora erano utilizzati: il tzolkin, calendario religioso che contava 260 giorni, il calendario civile (haab), costituito da 365 giorni, e il cosiddetto Conto Lungo, che numerava i giorni in sequenza continua partendo da una data mitica, il 13 agosto del 3114 a.C. A questi tre calendari veniva poi affiancato un quarto basato sul periodo sinodico di Venere.

L'astronomia maya fu tra le più avanzate del continente americano. La registrazione accurata dei fenomeni celesti, specialmente quelli riguardanti il cammino dei pianeti, Luna compresa, e la complessa elaborazione dei dati d'osservazione per far concordare la periodicità di questi fenomeni con il calendario tzolkin e le epoche passate della storia maya, avevano lo scopo di stabilire una giustificazione astrale al potere della classe dominante.

I vari halach uinic, i "veri uomini", cioè i capi supremi di ogni comunità, specialmente di quelle più importanti, cercavano di trovare nei leggendari eroi dei loro antichi miti un legame parentale che giustificasse la loro salita al trono e che rafforzasse la posizione di preminenza assunta presso la propria comunità. Utilizzata per ricostruire la successione storica di fatti e generazioni, l'astronomia, quasi sempre intesa come astrologia, veniva perfezionata attraverso calcoli quanto mai laboriosi.

MA QUAL ERA QUEST' ASTRONOMIA? E quali erano le basi della cosmologia maya? La ricostruzione coerente dell'insieme delle conoscenze astronomiche di questo popolo non è facile, specialmente a causa del complesso intreccio fra scienza e mito, fra leggende e precisi riferimenti calendariali in tutta la storia culturale dei Maya.

Gli studi recenti, sviluppati specialmente da Floid Lounsbury, da Linda Schele, da Karl Taube, da Anthony Aveni e altri hanno svelato una ricchezza sconosciuta fino a poco tempo fa. Ormai buona parte delle iscrizioni riportate sulle stele, sui monumenti e sui pochi codici rimasti, sono state interpretate; e anche se la documentazione non può mai dirsi completa, tuttavia si possono già trarre alcune conclusioni su aspetti particolari dell'astronomia maya e sulle idee cosmologiche espresse da questa cultura.

Anche i Maya, come noi, avevano diviso il cielo in costellazioni, benché finora siano state identificate solamente le principali, quelle che ebbero un ruolo fondamentale nelle loro leggende. Importante, come del resto lo era in tutta l'America, era il gruppo delle Pleiadi, che i Maya Yucatechi chiamavano tzab, cioè i "sonagli del serpente". L'Orsa Minore, che si muoveva attorno al polo celeste, veniva chiamata yah balcui (pach) xaman, vale a dire "quelle che ruotano attorno al nord". Mentre la Stella Polare, cioè ab chicum ek, era spesso rappresentata nelle iscrizioni dall'immagine del dio C, una divinità non meglio identificata, dalle sembianze scimmiesche. Questa stella veniva chiamata anche chimal ek, cioè "l'astro del nord" o "la stella scudo".

I Maya conoscevano la costellazione dello Scorpione, che era chiamata zinaan ek, cioè appunto "la stella scorpione". I più importanti asterismi, soprattutto per il loro significato mitico, erano le costellazioni meheu ek e ac ek, corrispondenti pressappoco ai Gemelli e a Orione. In quest'ultimo gruppo, importanti erano le stelle della cintura, rappresentate da una tartaruga, mentre Alnitak, Rigel e le stelle della zona M42 indicavano rispettivamente le pietre e fiamme del focolare sacro. I Gemelli, secondo uno studio della Schele, erano forse rappresentati dalle immagini di due pecari (maiali selvatici) che si accoppiano tra di loro.

FOTO 1. Palenque è la più famosa città Maya del periodo classico. Tra le molte costruzioni, vi si trova il Tempio delle Iscrizioni alla base del quale è stata scoperta una cripta che ospitava i resti del principe Pacal (VII secolo). Sulla pietra tombale, la rappresentazione dell'Universo maya è mirabilmente intrecciata nei suoi particolari. Il principe Pacal sta scendendo nell'inframondo (Xibalbà), mentre dal suo ventre si eleva l'albero sacro (la via Lattea) sulla cima del quale v'è l'uccello cosmico Vacub Caquix (L'orsa Maggiore). L'eclittica è rappresentata dal serpente a due teste che incontra la via Lattea nel luogo sacro.

Una questione particolarmente dibattuta riguarda le costellazioni zodiacali. C´è ormai una quantità di indicazioni che fanno ritenere che i Maya avessero introdotto questi asterismi e che l'eclittica venisse rappresentata da un grande serpente a doppia testa. Sulla pietra tombale del principe Pacal, il signore di Palenque, è rappresentata in modo drammatico la discesa di questa grande personalità nel regno degli inferi, lo Xibalbà. Dal suo ventre si erge, in questa immagine, l'albero del mondo (wakah chan) che, secondo studi recenti, raffigurerebbe la Via Lattea, chiamata talvolta anche o ah po u, vale a dire "il fortunato collare di perle". La Via Lattea, per i Maya, parte dall'orizzonte sud, cioè dal regno degli inferi e si estende fino alle regioni del nord, ove vive l'uccello sacro Vacub Caquix, identificato con l'Orsa Maggiore. Nel suo movimento sulla sfera celeste nel corso della notte, la Via Lattea assume varie posizioni rispetto all'orizzonte e, a seconda di questi suoi aspetti, essa viene chiamata con differenti nomi. In generale, è indicata come "l'albero del mondo" o "l'albero della vita", come s'è detto, ma quando si dispone tra sud nord-est, viene chiamata "il coccodrillo"; oppure diventa il "mostro cosmico" quando si distende trasversalmente attraverso tutto il cielo. Nella notte sacra che precedette la creazione dell'uomo, il mito parla della Via Lattea con nomi ancora diversi, come la "canoa del dio del mais" oppure "l'albero prezioso del mais". A metà dell'albero cosmico, sempre nella rappresentazione di Palenque, si trova l'intersezione tra il serpente dall'aspetto ondulato che rappresenta l'eclittica e la stessa Via Lattea. In questo punto d'incontro, che sulla volta celeste si trova nei pressi di Orione, v´è il luogo sacro dell´Universo, il punto in cui si verificò la creazione e dove si recò il dio del mais yum kaax in quella mitica notte della genesi.

FOTO 2. La bestia che rappresenta Marte è appesa alla fascia celeste a metà delle due pagine 44 e 45 del Codice di Dresda. Nella pagina 44 (a metà e sulla sinistra) appare un numero formato da due punti nella parte superiore, da tre punti più sotto, e da una conchiglia rossa nella parte inferiore. Nella numerazione maya il numero equivale a 2 X 360 + 3 X 20 + 780, che coincide col periodo sinodico di Marte.

FOTO 3. Lo Zodiaco maya rappresentato nelle pagine 23 e 24 dei Codice di Parigi. Le tredici bestie appese alla fascia celeste rappresentano le costellazioni zodiacali. Secondo Linda Schele, gli animali si succedono nella sequenza in modo da essere letta da destra verso sinistra. L'interpretazione attuale è che mentre una costellazione si leva all'orizzonte orientale la seguente, nella successione, è quella che tramonta ad occidente. Il numero 8.8 (8X20 + 8 = 168), che appare tra un simbolo dell'eclisse di Sole e l´altro, indica il numero dei giorni che passano tra la levata e il tramonto di una costellazione nella stessa ora.

NELLE PAGINE 23 E 24 del Codice di Parigi, uno dei quattro scritti originali maya che ci sono pervenuti, sono disegnate alcune creature appese alla cosiddetta "banda celeste", che è una striscia composta da una successione di rettangoli, ognuno dei quali mostra un simbolo astronomico. Queste figure animalesche, in numero di tredici, sono state interpretate come rappresentazioni delle costellazioni zodiacali poiché vengono associate con i simboli delle eclissi di Sole. Tre figure mancano a causa del deterioramento del Codice. Tra una figura e l'altra, appena sotto la banda celeste, appaiono due cifre che rappresentano due otto (una barra sovrastata da tre punti): interpretate nell'ordine utilizzato dai Maya, dovrebbero significare 8 ventine e 8 unità, vale a dire il numero 168. Sotto le creature celesti appaiono inoltre cinque righe di glifi numerici e altri glifi che indicano precise date del calendario religioso. Tali date distano tra loro di 28 giorni, nell'ordine in cui sono disposte: un intervallo di tempo che approssima il periodo siderale della Luna (27, 32 giorni). Dunque, più che costellazioni nel senso in cui noi le intendiamo, le tredici figure potrebbero rappresentare una specie di sequenza di "case lunari" cioè di asterismi che la Luna attraversa durante il suo moto sulla sfera celeste. Poiché 13X28=364 è probabile che queste figure rappresentino proprio una specie di Zodiaco maya.

Una volta convinti di questa interpretazione, gli epigrafisti hanno cercato di identificare ciascuna figura con le costellazioni celesti a noi note. La questione si è però subito complicata: di fatto, solo la figura dello scorpione può essere facilmente attribuita all'omonima costellazione della tradizione occidentale, anche perché‚ questa è ricordata in molti altri documenti maya; per le altre l'identificazione è tutt'altro che immediata. Dalle indicazioni che appaiono sui glifi calendariali si ricava che la lettura delle figure deve procedere a destra verso sinistra- inoltre, si ha motivo di ritenere che la successione, così come appare sul documento, non sia quella che ci si attenderebbe dalla continuità degli asterismi in cielo: certi animali, già identificati in altri documenti epigrafici con asterismi maya, non si inseriscono logicamente nella serie del Codice di Parigi. La tartaruga, per esempio, che secondo la Schele identifica la parte centrale di Orione non può venire immediatamente prima dello Scorpione. Orione non è propriamente una costellazione zodiacale essendo disposta sotto l'eclittica tra il Toro ed i Gemelli; è però una "casa lunare, visto che la Luna transita talvolta anche nella parte settentrionale della costellazione. La risposta che ormai la gran parte degli studiosi dà a questa apparente incongruenza è che le costellazioni maya sono ordinate in modo tale che mentre una di esse sta sorgendo sull'orizzonte orientale, la successiva nell'ordine del Codice di Parigi sta invece tramontando a ovest. E il numero 168, di cui s'è detto poc'anzi, potrebbe indicare i giorni in cui una qualunque di tali costellazioni rimane visibile alla sera.

UNA DELLE IDENTIFICAZIONI PIU´ ATTENDIBILI dello Zodiaco maya con le nostre costellazioni è quella proposta recentemente da Linda Schele, ove le rappresentazioni animalesche sono collocate nelle rispettive zone celesti. Che lo Zodiaco maya sia popolato da animali è confermato anche da altri documenti; sulla facciata del Convento delle Monache a Chichen ltza, per esempio, appare una fascia celeste sulla quale, tra l'altro, ci sono quattro degli animali del Codice di Parigi disposti nella stessa sequenza; e così pure v'è un dipinto, ritenuto di intonazione zodiacale, ad Acancéh, una città che è posta nello Yucatan settentrionale.

La fascia zodiacale era ben nota ai sacerdoti-astronomi maya che ne fanno riferimento nei loro documenti, quando seguivano i pianeti nei loro movimenti tra queste costellazioni. Oltre a Venere, ormai si ha la certezza che anche Marte venisse studiato con attenzione dai sacerdoti-astronomi. Nel prezioso Codice di Dresda, alle pagine 44 e 45, ci sono quattro figure di una bestia sconosciuta, dotata di vistosi zoccoli, appesa alla fascia celeste; nelle stesse pagine appare il numero 780 che coincide periodo sinodico di Marte (779, 94 giorni). Giove, invece, era tenuto in grande considerazione da un altro principe di Palenque, Chan Bahlum, come è stato dimostrato da una serie di ricerche di Floid Loundsbury. I momenti in cui questo pianeta invertiva il suo moto sulla sfera celeste erano particolarmente considerati da questo principe, che assumeva decisioni politiche proprio in quei precisi momenti e in tal modo le giustificava astralmente. Per la stessa ragione, anche Saturno era seguito dagli astronomi maya.

Un'interessante recente interpretazione, dovuta alla Schele, di alcuni glifi che appaiono nello stupendo tempietto di Bonampak (nel Chiapas messicano), mostra quanta importanza abbia l'astronomia nell'interpretazione dei documenti epigrafici di questo popolo. Gli straordinari dipinti che appaiono nella seconda stanza del tempietto rappresentano, in forma drammatica, l'umiliazione dei prigionieri catturati a seguito di una feroce battaglia vinta dal popolo di questa città. Sopra i dipinti, quattro cartigli rappresentano rispettivamente: una tartaruga ha disegnati sul guscio tre simboli di stelle; una figura umana; una seconda figura umana e due pecari che si accoppiano sui quali sono disegnate diverse stelle. La data della battaglia, individuata dalla Schele, è il 6 agosto 792 d.C. Incuriosita dalle due figure animali, che rappresentano le costellazioni di Orione e dei Gemelli, la ricercatrice ha voluto verificare se e quali configurazioni celesti apparissero all'alba del giorno della battaglia, scoprendo che era possibile vedere sia Orione all'orizzonte che i Gemelli, e che tra le due, nella costellazione del quel mattino brillavano anche Marte e Saturno. Secondo la studiosa dunque le due figure umane dipinte sui cartigli probabilmente rappresentano proprio questi due pianeti.

FOTO 4. Parte del dipinto della stanza 2 a Bonampak. In alto appaiono i quattro cartigli che rappresenterebbero le costellazioni di Orione (la tartaruga) e dei Gemelli (i due pecari). I due cartigli centrali rappresentano Marte e Saturno nella costellazione del Toro. La configurazione celeste, visibile nella cartina, è quella che si presentava nella notte precedente l'importante battaglia del 6 agosto 792, vinta dalla gente di Bonampak.

LA COSMOLOGIA DEI MAYA, come quella di tutti i popoli antichi, divide il mondo in tre livelli: quello superiore, abitato dagli dei celesti, il livello terrestre, sede degli umani, e il livello inferiore ove sta il regno dei morti e degli dei ctonici. Tuttavia, nel cosmo maya il modello è alquanto complicato poiché gli astri, gli dei, gli eventi mitici e certi luoghi particolari della Terra sono legati tra loro da un intreccio di complesse leggende che risalgono a tempi antichissimi.

Nei Popol Vuh, la bibbia dei Maya della tribù dei Quichè, un popolo della regione montuosa del Guatemala, è raccontata la lunga e complessa storia della generazione del mondo e delle prime epoche dell'Universo. Non potendo dilungarci sul racconto mitico, ci accontentiamo di accennare al fatto che, secondo i Maya, all'inizio esistevano solo il cielo, le acque e l'oscurità, sulle quali regnava il dio Gucumax (il serpente piumato) dalla duplice personalità, maschile e femminile, e il dio "Cuore del Cielo", Huracan. Dall'incontro e da un colloquio tra le due divinità furono creati la Terra, le foreste e gli animali, ma non l'uomo. Le due divinità, assieme ad altri dei generati da questa prima coppia celeste, cercarono in seguito di creare una umanità che potesse fornire loro il nutrimento con il lavoro agricolo e a mezzo di preghiere e di sacrifici. Purtroppo i vari tentativi ebbero esiti deludenti, finché due particolari personaggi, gli eroi gemelli Hunahpu e Ixbalanque, non vinsero, dopo complesse vicissitudini, gli dei degli inferi, determinando una situazione molto più favorevole alla creazione dell'uomo. Interessante, per le sue implicazioni cosmologiche, è l'episodio, sempre descritto nel Popol Vuh, in cui uno dei due eroi gemelli, lxbalanque, uccide all'inizio dei tempi l'uccello cosmico Vacub Caquix, una creatura mostruosa che si vantava di essere contemporaneamente il Sole e la Luna. La scena è rappresentata in una quantità d'iscrizioni, come per esempio sulla stele 2 nell'antichissima città pre-maya di lzapa, oppure su un noto vaso dipinto risalente all'epoca classica. L'impresa, secondo l'interpretazione di Linda Schele, dovrebbe essersi svolta nella mitica notte che precede il 13 agosto 3114 a.C., prima che venisse creato il cosmo.

PIU´ INTERESSANTE ANCORA è l'interpretazione astronomica, proposta dalla Schele, dei fatti successi durante la notte sacra, quando il dio del mais, il primo padre, viene condotto nel centro del cosmo per creare l'uomo. Dobbiamo ricordare che questa divinità, molto importante per i Maya, era appena risorta dallo Xibalbà, cioè dal luogo dei morti, essendo stata aiutata dai due eroi gemelli ad uscire dal guscio di una tartaruga. La storia si colloca temporalmente in un'epoca molto precedente alla fioritura della civiltà di questo popolo, ma evidentemente essa considera situazioni astronomiche che si dovevano osservare durante il Periodo Pre Classico o durante il Classico, quando la leggenda si affermò in tutta la regione di influenza maya. Di certo, questi miti sono molto antichi se si pensa che alcuni degli episodi che ad essi si riferiscono si trovano incisi anche nelle stele 2 e 25 di lzapa, una delle prime città del Pre Classico. V'è quindi una continuità impressionante di questa concezione mitica; una continuità di oltre un migliaio d'anni che riguarda tutta l'area maya, dalle zone periferiche fino a quelle che ebbero il maggior sviluppo.

Nel museo della città di Tikal, nel Peten, sono conservati alcuni ossi, finemente incisi, trovati nella tomba 116 del principe Ah Kakau, che rappresentano la scena del trasporto del dio del mais nel posto centrale dell'Universo. In un osso è incisa una canoa mossa da mitici pagaiatori, al centro della quale troneggia il dio. Un'incisione su un altro osso mostra invece la scena in cui la stessa canoa è in fase d'affondamento poiché ormai è giunta nel luogo sacro.

Ma ecco cosa successe durante la notte santa e qual è, secondo la Schele, l'interpretazione astronomica dei fatti. La sera del 13 di agosto, l'uccello sacro Vacub Caquix (l'Orsa Maggiore) volò verso il suo posto in cima all'albero sacro ove verrà poi colpito da lxbalanque; la Via Lattea è disposta in cielo nel modo in cui assume il nome di coccodrillo. A mezzanotte, il coccodrillo si distende sulla volta celeste e diventa pertanto il mostro cosmico; alle prime ore dei mattino si trasforma infine nella canoa del dio del mais, che porta la divinità nel luogo sacro del cielo, il quale sta per sorgere proprio in quelle ore all'orizzonte est. Il luogo sacro viene identificato con la plaga celeste in cui si incontrano l'eclittica e la Via Lattea. Quando il dio del mais, appena risorto dal guscio della tartaruga (animale che probabilmente simboleggiava anche la terra da cui nasce la pannocchia del mais), giunge finalmente sul posto della creazione, va a riposare nel luogo sacro, rappresentato simbolicamente dalla cintola di Orione; un po' più sotto brillano le pietre del divino focolare (le stelle Alnitak, Saiph e Rigel).

La creazione dell'uomo attuale, avvenuta per intervento degli dei che lo hanno plasmato con la farina del grano, conclude la fase della creazione; ormai il mondo non verrà più periodicamente distrutto come nelle ere passate, quando gli umani non corrispondevano ai desideri degli dei; la nuova umanità infatti soddisfa pienamente il volere delle potenze cosmiche.

L´ ASSETTO DEI TRE LIVELLI del cosmo maya è quanto mai complesso, ed è assai difficile ricostruirlo. Bisogna innanzitutto pensare che mai questo popolo cercò di creare un modello fisico dell'Universo; questo non entrava assolutamente nella sua mentalità. La rappresentazione che qui descriviamo è ricavata dal Codice Rios (Vaticanus A), di origine azteca, ma risalente all'epoca spagnola. Esso può pertanto aver subito anche qualche influenza occidentale.

La grande aspirazione del popolo maya fu sempre quella di trovare un'unità in tutte le manifestazioni che coinvolgono lo spazio e il tempo; in definitiva, essi andavano alla ricerca di un numero particolare che potesse unificare tutte le varie ciclicità del fluire del tempo; la periodicità delle ere, quella dei vari calendari, dei cicli cosmici e della storia.

Nello schema cosmologico maya evidentemente al centro vi È la Terra, divisa in quattro parti secondo le direzioni cardinali, ognuna delle quali è individuata sia da un particolare colore, che da certi animali, o da alberi, oppure da parti del corpo umano e anche da particolari unità di tempo. Un grande ceiba, l'albero sacro dei Maya, era al centro del mondo, mentre altri quattro ceiba più piccoli stavano sui quattro quadranti della Terra. Sette sono i punti cardinali, poiché‚ oltre ai soliti quattro, era considerato anche il posto ove si trova l´osservatore, il suo nadir e lo zenit. Le direzioni, pertanto, erano concepite a tre dimensioni. La Terra poggia sulla schiena di un enorme coccodrillo che galleggia su un immenso stagno pieno di fiori. Quando l'animale si muove, sulla Terra si manifestano i terremoti. Quattro specie di Atlanti, cioè i quattro bacab, posti ai quattro lati della Terra, sostengono la volta celeste, la quale è formata da tredici strati, o cieli, ognuno dei quali è retto da un particolare dio del giorno, un Oxlahuntiku. La Terra rappresenta il primo livello. Nel secondo livello, ove sono sospese anche le nubi, si muove la Luna. Nel terzo livello, ove vive Citlallicue, o colei che ha la gonna stellata, ci sono le stelle fisse. Il Sole si muove nel quarto strato, mentre nel quinto vi è Venere e nel sesto si muovono le comete (budz ek, cioè "stella fumosa"). Più su, nel settimo cielo, o cielo nero, oppure verde, stanno i venti e le tempeste, mentre la polvere si muove nell'ottavo cielo che ha il colore blu. Poi ci sono i cieli numero nove, dieci e undici, che sono associati ai colori bianco, giallo e rosso. Infine, nel tredicesimo cielo (Omeyocan) vi È il luogo della dualità, ove abita Ometeotl, il creatore maschio-femmina (azteco), colui che ha generato lo spazio, il tempo e gli stessi dei.

Questa visione cosmologica tratta, come si diceva, dal Codice Rios, pur appartenendo agli Aztechi è possibile fosse comune anche ai Maya e generalmente a tutti i popoli mesoamericani. Alcuni studiosi, hanno pensato che i tredici cieli rappresentino anche la divisione del giorno (come le ore) che veniva adottata dai mesoamericani.

Sotto la Terra, il regno di Xibalbà, era formato da nove strati ognuno retto da uno degli dei degli inferi, i bolomtiku, gli dei della notte. Il primo era il piano della stessa Terra e gli altri si succedevano verso il basso fino a giungere, nello strato inferiore, al grande gioco della palla ove i signori della notte disputavano interminabili partite rituali. I corpi celesti che si muovono nei vari cieli, quando sono costretti a tramontare passano nel regno di Xibalbà, assumendo una particolare forma scheletrica. Il Sole, che si muove di notte nell'inframondo, diventa il cosiddetto Sole scheletrico, il quale ha bisogno di sacrifici di sangue per risalire al mattino nei cieli superiori così da riscaldare e dar vita all'umanità intera.

Il cammino dei pianeti nel cielo (eclittica) è legato, come s'è visto, al serpente cosmico. Il termine caan oppure chan significa infatti, in lingua maya, sia il cielo sia il serpente. Ed è proprio il serpente a due teste che simbolizza anche il cielo nella sua totalità.

Forse la concezione cosmologica dei Maya ha avuto precursori nell'area della Mesoamerica: negli Olmechi, per esempio, oppure nei pre-Maya; è certo però che il loro modo di studiare il cielo, di seguire con estrema cura il movimento dei pianeti e di trattare matematicamente tutte le correlazioni possibili con i calendari non trova riscontri in nessuna parte dell'America precolombiana. Il fenomeno Maya è veramente unico e stupefacente.

GIULIANO ROMANO è nato a Treviso nel 1923, laureato in Matematica e libero docente in Astrofisica, ha Insegnato Cosmologia all'Università di Padova. Ha scoperto oltre 300 stelle variabili e 3 supernovae; il suo attuale campo di ricerca è l'archeoastronomia. È autore di numerosissimi lavori scientifici, pubblicati in Italia e all'estero e di una decina di libri. Dirige il Planetario di Treviso.