Una ricerca scuote le fondamenta della teoria elaborata da DarwinNon è la competizione, ma lo spazio disponibile la chiave per l'evoluzione della specie e l'aumento della biodiversità. È questo l'assunto chiave di uno studio apparso sul prestigioso bimestrale della Royal Society "Biology Letters", e che sembra destinato a scuotere alle fondamenta la visione darwiniana della sopravvivenza del più adatto.
Un team di ricercatori dell'Università di Bristol ha utilizzato i resti fossilizzati di mammiferi, rettili, uccelli e altri animali per dimostrare una correlazione fra lo spazio vitale disponibile per ciascuna specie e il grado di biodiversità presente in una data area. Sono state analizzate 840 famiglie di fossili, in rappresentanza di un ampio spettro geografico, cronologico ed ecologico. Secondo gli studiosi, coordinati dallo studente di dottorato Sarda Sahney, i grandi passi avanti nell'evoluzione, si verificano quando gli animali si spostano in aree non occupate da altre creature.
"Per esempio -ha spiegato alla Bbc il professor Mike Benton, coautore dello studio- anche se i mammiferi hanno vissuto accanto ai dinosauri nell'era del Mesozoico, non sono stati in grado di avere la meglio su questi rettili. Ma quando i dinosauri si sono estinti, i mammiferi hanno riempito in fretta la nicchia ecologica rimasta libera e oggi essi dominano la terra". I ricercatori fanno anche l'esempio dei volatili: quando hanno cominciato a solcare i cieli, si sono guadagnati l'accesso a una vasta area in cui prosperare ed evolversi senza incontrare ostacoli.
Gli scienziati inglesi non negano tuttavia del tutto l'importanza della competizione nell'evoluzione della biodiversità, anche se ritengono che essa abbia un influsso soltanto indiretto. "Anche se la storia dei tetrapodi non presenta prove di competizione diretta -scrivono infatti- ce ne sono invece di competizione nel senso di sostituzione incombente; gruppi consolidati possono escludere i concorrenti, anche se questi posseggono dei vantaggi in termini di adattamento, a meno che i primi non vengono rimossi da una grande calamità naturale, come un'estinzione di massa, nel qual caso la maggiore adattabilità permette al gruppo invasore di occupare l'area prima che i vecchi occupanti possano riprendersi".
Naturalmente, la teoria del gruppo di Bristol ha suscitato immediato interesse, ma anche alcune perplessità. I dati raccolti dagli studiosi possono essere infatti interpretati anche in altri modi. "Da cosa deriva la spinta a occupare nuove porzioni di spazio ecologico, se non dalla necessità di evitare la competizione con le specie che già occupando un dato luogo?- ha sottolineato il professor Stephen Stearns dell'Università di Yale".
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