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20 Giugno 2010 ARCHEOLOGIA
di Omero Ciai La redazione di La Porta del Tempo
Machu Picchu e il ritorno del Sole
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Il 21 giugno, solstizio d'inverno, gli Incas festeggiavano il nuovo anno e la loro stessa origine, con feste che duravano giorni e che oggi attirano i turisti. E Machu Picchu, a giugno, è più splendente che mai.

Le feste più importanti degli Incas coincidevano con i due solstizi (21 giugno e 22 dicembre) e per l'impero quello dell'inverno australe rappresentava anche l'inizio di un nuovo anno nonché l'origine mitologica del popolo Inca, discendenti del Sole. E, sul finire di giugno c'era l'Inti Raymi, una celebrazione che tra balli e sacrifici durava una decina di giorni. Proibita dagli spagnoli perché considerata contraria alla religione cattolica, l'Inti Raymi si svolse clandestinamente per secoli fino alla metà del '900 quando tornò ad essere pubblica e divenne, soprattutto a Cusco dove si svolge ancora oggi, un forte richiamo turistico.

Giugno, stagione secca, senza piogge e non troppo fredda in Perù, è anche il periodo migliore per visitare quello che Ernesto Che Guevara definì "l'enigma di pietra in America" quando raggiunse le rovine di Machu Picchu insieme al suo amico Alberto Granado nel 1952. La città perduta degli Inca, rimasta parzialmente ignota ai conquistadores spagnoli nel '500, scoperta o meglio riscoperta per la cultura occidentale dall'archeologo americano Hiram Bingham nel 1911, venne edificata intorno al 1450 su ordine dell'imperatore Pachacutec e fu abitata per un centinaio di anni.

Un mistero restano i motivi della sua costruzione, sul picco della "montagna vecchia" in cima alla vallata del fiume Urubamba, che quelli relativi al suo abbandono. Ma, ancora oggi, la sua straordinaria posizione geografica la rende enigmatica e incantevole ad oltre 2.400 metri sul livelli del mare fra due montagne e gole a strapiombo. Un miracolo d'architettura che ha stregato poeti (Neruda e Cardenal) e creato la mitologia dell'armonia "socialista" di una civiltà moralmente superiore schiacciata dall'avidità e dalla ferocia degli invasori.

Per raggiungerla c'è un comodo trenino ma il modo migliore per viverla è affrontare a piedi, sacco in spalla, i 42 chilometri del camino Inca che si percorrono in quattro giorni con tre soste notturne. La parte più affascinante del tragitto è al terzo giorno quando si supera il passo di Runkurakay e in mezzo ai cervi e a magnifiche valli si arriva fino alle rovine di Intimata, un complesso di terrazze e banchine costruite nel pendio di una montagna, prima di scendere verso l' ultimo accampamento, Wiñaywayna, ormai prossimi all' aerea di Machu Picchu.

Il vantaggio di raggiungere le rovine sulle proprie gambe è anche quello di arrivarci all' alba, quando una luce tremula illumina poco a poco il tracciato della città, rendendola ancora più maestosa. L' ultimo tratto da Wiñaywayna alla meta si percorre in poco meno di due ore ma già ad Inti Punku, poco dopo la metà del viaggio, si comincia a distinguere Machu Picchu.

All' origine il camino inca che collegava Cusco a Machu Picchu era lungo circa centotrenta chilometri ma oggi la parte conservata che si percorre a piedi è appena un terzo. Sull' accesso c' è un numero chiuso e di solito conviene comprare il biglietto con un po' di anticipo. L'avvicinamento al trekking inizia con un autobus che da Cusco arriva fino al km 82 della strada verso Machu Picchu.