Gli studiosi hanno reso nota una nuova teoria, secondo la quale gli uomini di Neanderthal che trovavano rifugio 50, 000 anni or sono attorno alle grotte di Le Moustier, in quella che è ora la Dordogna in Francia, macellavano carcasse, raschiavano le pelli, modellavano teste d´ascia – e cantavano.
Uno dei nostri antenati coperti di pelliccia iniziava con un suono ritmico in crescendo, e gli altri seguivano, adeguandosi e partecipando. La musica promuoveva "un senso di benessere, di unione davanti al pericolo, di solidarietà" suggerisce il Prof. Mithen, archeologo dell´Università inglese di Reading. La musica, sostiene, creava "un´identità sociale piuttosto che individuale". E potrebbe risolvere una questione annosa.
La musica ha risvolti sulla biologia. La sua ubiquità nella cultura umana, e le forti evidenze che il cervello contenga in sé alcuni circuiti musicali, suggeriscono che la musica sia un prodotto dell´evoluzione umana, e sollevano questioni sul suo ruolo. Nel 1871, Darwin ipotizzava che la musica umana, come il canto degli uccelli, attraesse i compagni. E che, in epoca pre-linguistica, gli antenati umani tentassero di "accattivarsi le simpatie dell´altro con note e ritmi melodiosi".
Alcuni scienziati oggi condividono questa visione. "La musica era modellata dalla selezione sessuale come un terreno di sfida" sostiene Geoffrey Miller, dell´Università del Nuovo Messico, in un articolo del 2001. Ma come Darwin, egli basa le sue conclusioni sulla convinzione che la musica non avesse "identificabili benefici per la sopravvivenza della specie".
Ma se un carattere non aiuta le creature a sopravvivere, allora può persistere di generazione dopo generazione solo se aiuta alla riproduzione.
Studi in neuroscienze ed antropologia, ad ogni modo, hanno suggerito che invece la musica aiutava anche a sopravvivere, in particolare prima dell´avvento del linguaggio. Secondo il professor Mithen "il linguaggio potrebbe essere stato costruito proprio a partire dallo sviluppo neurale della musica".
La dimostrazione della teoria, inizia con la prova che la musica non è semplicemente un effetto dell´intelligenza e del linguaggio, come alcuni sostengono. Invece, scoperte più recenti suggeriscono che la musica farebbe riferimento ad uno specifico settore del nostro patrimonio neurale. Consideriamo la forma di autismo definita "savant musicale": si assiste a ritardo psichico o nell´apprendimento del linguaggio, ma gli individui mostrano la capacità di ripetere melodie a memoria, pur avendole sentite una sola volta. Un savant potrà difficilmente parlare o capire le parole, eppure potrà suonare tranquillamente una semplice melodia al pianoforte a memoria, per quanto l´abbia sentita una sola volta. E nel ripeterla, potrà aggiungere accordi con la mano sinistra e trasporla in chiave minore.
"La musica" continua Mithen "può esistere all´interno del cervello in assenza di linguaggio" un segno che i due evolsero in modo indipendente. E dal momento che l´apprendimento del linguaggio non cancella l´abilità musicale, quest´ultima deve avere avuto una più lunga storia evoluzionistica."
All´opposto del savantismo musicale, le persone afflitte da "amusia" non riescono a percepire i mutamenti nel ritmo, né identificare melodie già sentite, o riconoscerne i mutamenti. Dal momento che sono dotati di normale udito e parola, il problema deve giacere in specifici circuiti cerebrali "musicali".
Più evidenze che il cervello abbia circuiti musicali innati e specifici, si trovano nel fatto che perfino i bambini manifestano preferenze musicali, con predilezione per quinte e quarte perfette - mentre si mostrano spaventati da certe terze minori.
Se la musica è quindi un innato sistema di adattamento umano, appare chiaro come l´evoluzione l´abbia sostenuta e sviluppata, in quanto funzionale alla sopravvivenza. E questo è accaduto perché "se la musica non è altro, quantomeno esprime emozioni ed induce ad esprimersi". Note particolari sollecitano le stesse emozioni nella maggior parte delle persone che ascoltano, siano esse di differente provenienza culturale. Una terza maggiore (prevalente nell´"Inno alla gioia" di Beethoven") a chiunque suona allegra; una terza minore (come nel cupo primo movimento della "Quinta" di Mahler) provoca sensazioni di tristezza e perfino disperazione.
Il fatto che tutti gli ascoltatori provino le stesse emozioni in un determinato contesto musicale, è qualcosa che potrebbero avere sperimentato anche i primi "musicisti" di Neanderthal. La musica può manipolare gli stati emotivi delle persone (pensiamo alla musica liturgica), e le persone allegre sono più cooperative e creative. Accrescendo la cooperazione e la creatività tra le bande di primi antenati ancora privi di linguaggio, la musica diede loro un margine di sopravvivenza.
"Se si possono manipolare le emozioni delle altre persone" ha dichiarato Mithen "se ne ha un vantaggio".
La musica promuove i legami sociali, cruciali in un tempo in cui gli umani erano spesso cacciati da predatori più grossi e trovare cibo non era una passeggiata nella savana. La proto-musica "divenne un sistema di comunicazione" per "l´espressione di emozioni e la creazione di un´identità di gruppo."
Poiché la musica ha qualità simili alla grammatica, potrebbe avere esplicato una funzione ancora più grande. Con la musica nel cervello, i primi umani avevano già la fondazione neurale per lo sviluppo di quel che ci distingue dagli altri animali: il pensiero simbolico ed il linguaggio.
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