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1 Gennaio 2009 ARCHEOLOGIA
il Velino
Un´equipe italiana alla scoperta del sacro Laos
tempo di lettura previsto 9 min. circa

Un esiguo gruppo di archeologi italiani della Fondazione Carlo M. Lerici del Politecnico di Milano è il protagonista di una titanica opera di scavo di una delle aree sacre più importanti del Laos e di tutto il sud est asiatico. Immaginiamo il Laos. Un minuscolo e incantevole paese incastonato tra Vietnam, Cambogia e Cina. Una lunga storia di antichi regni sonnolenti, alcuni dei quali eclissatisi solo in epoche recenti, all'arrivo dell'ondata rivoluzionaria. Pianure, colline e montagne tagliate dal lento corso del gigantesco Mekong che solca il Laos da nord a sud. Nella metà dell'800, il grande esploratore francese François Garnier, luogotenente della Marina francese, durante la sua leggendaria risalita del Fiume, per verificarne la navigabilità, raggiunge la regione meridionale del Laos dove sosterà per quattro mesi così da compiere un rilevamento topografico della regione. Nei pressi del villaggio di Champasak, affioranti dalla rigogliosa vegetazione tropicale, Garnier scopre le rovine dell'immenso tempio Khmer di Wat-Pu (lett. "il tempio della montagna"), adagiato sulle pendici del Linga Parbat, montagna sacra al dio Shiva. Garnier, sin dal primo momento, si accorge che i resti in cui si è imbattuto hanno delle sorprendenti somiglianze con quelli viste pochi mesi prima in Cambogia nello splendido complesso templare di Angkor. All'origine di entrambi doveva trovarsi una unica civiltà. Compiute le necessarie rilevazioni, Garnier parte verso il nord portando con sé il dubbio di un quesito ancora senza risposte.

Passeranno anni e sarà solo all'inizio del ´900 che Wat-pu tornerà al centro dell'interesse degli europei. In questi anni infatti, sotto l'egida dell'Ecole Française d'Extrême Orient, studiosi francesi daranno inizio a vere e proprie indagini scientifiche coeve a quanto si stava scoprendo ad Angkor. Nel 1908 giunge a Champasak Henri Parmentier, erudito architetto, dotato di grande intuito e sensibilità. Grazie all'instancabile sistematico lavoro di Parmentier è possibile realizzare una prima documentazione sistematica delle rovine all'epoca esistenti e dell'insieme delle strutture affioranti dal suolo. Nonostante questa eccelsa e sistematica opera, il lavoro di Parmentier, come già quello di Garnier, cadono nuovamente nell'oblio. Dopo oltre cento anni, nel 1990, un'archeologa italiana, Patrizia Zolese, già direttrice di scavi in Pakistan e in sud-est asiatico, fondandosi sulla scarsa e datatissima documentazione scientifica esistente, da inizio ad una coraggiosa, quanto solitaria, campagna di scavi a Wat-Pu e nella regione circostante. Grazie alla sua caparbietà e determinazione, l'archeologa ottiene l'autorizzazione dal governo laotiano a proseguire sistematicamente le indagini. Attraverso un instancabile lavoro di scavo e di mappatura dell'intera regione sino al confine cambogiano, le ricerche confermano quello che, per la dottoressa Zolese, era stato sino a quel momento solo un sentore: il complesso templare di Wat-pu non è semplicemente un isolato e solitario monumento religioso. Vi è ben di più: disseminate nella sterminata pianura ai piedi del tempio di Wat-pu si trovano infatti le testimonianze di un'intera città Khmer, Linga Pura, antico fiorente centro urbano di circa 500 ettari di estensione che aveva strettissimi legami culturali e commerciali con la Cambogia e le terre del nord del Laos. Non solo un tempio in rovina dunque, ma un'intera area urbanizzata autosufficiente e con abitazioni, palazzi, villaggi circostanti, officine artigianali, campi coltivati e una fitta rete di canali che permetteva l'irrigazione di questa, già fertilissima, regione.

La scoperta compiuta dall'équipe della Fondazione Lerici diretta dalla dottoressa Zolese è sensazionale, al punto tale che nel 2000, in tempi record, l'UNESCO dichiara l'intero sito World Heritage. L'area diventa il più importante parco archeologico del sud-est asiatico, secondo soltanto a Angkor. Gli scavi, diretti interamente dalla Fondazione Lerici del Politecnico di Milano, da allora proseguono alacremente, riportando alla luce, anno dopo anno, uno dei più preziosi gioielli d'Asia, già divenuto meta obbligata dei più raffinati turisti e viaggiatori di questo sconosciuto angolo di sud-est asiatico. Le attuali ricerche hanno inoltre consentito di stabilire come Wat-pu, che costituiva il centro simbolico e sacrale di questo territorio, faceva capo, a sua volta, alla immensa ed enigmatica montagna del Linga Parbata che domina incontrastata l'intera pianura che costeggia il Mekong e che, sin da epoche immemori, costituiva il fulcro simbolico e religioso della regione. Il Linga Parbat, che letteralmente significa "la montagna del lingam, del fallo", sembra infatti che in epoche remote rappresentasse un importante sacrario naturale il cui centro era costituito dal picco a forma fallica che si trova proprio sulla sommità del Linga Parbat. Questo picco, con l'avvento della religione induista per opera dei Khmer, fu associato alla figura del dio induista Shiva, il cui emblema simbolico è proprio il fallo, simbolo del pilastro cosmico che sostiene la volta celeste e unisce, come un vero e proprio axis mundi, la terra alle regioni divine uraniche.

Attorno al V sec. d.C. alcune popolazioni Khmer, stanziate in una vasta regione compresa tra la Cambogia, il Laos meridionale e la Tailandia centrale, passarono da un sistema economico di villaggio a forme di organizzazione di tipo statale con vere e proprie città-stato caratterizzate da un potere centralizzato, una stratificazione sociale netta e una rigida organizzazione del lavoro. Queste mutazioni sociali corrisposero ad un intenso sviluppo economico delle popolazioni Khmer verificatosi grazie agli scambi commerciali con l'India. In questa epoca infatti i grandi traffici commerciali che si sviluppavano lungo la Via della Seta cominciarono ad entrare in una fase di lento declino. Fu questo fattore a far sì che, progressivamente, il fulcro delle grandi rotte commerciali transasiatiche si spostò a sud est, in modo tale che le popolazioni Khmer ne divenissero le principali protagoniste. Nelle regioni del Laos meridionale le genti Khmer fondarono il potente regno preankoriano, noto anche dalle cronache cinesi, del "Chen-la di Terra". Concomitantemente a questi avvenimenti accadde inoltre che esponenti della casta sacerdotale braminica migrarono dall'India e raggiunsero le regioni del Laos meridionale. Grazie alla loro presenza ed influenza questi bramini diventarono i consiglieri di corte degli antichi monarchi Khmer locali. In breve questi stessi si convertirono all'Induismo, proteggendo e diffondendo questa religione. L'affermarsi dell'Induismo corrispose inoltre alla diffusione, a livello sociale e politico, del sistema di castale indiano, il quale tuttavia ebbe nel sud-est asiatico un carattere meno rigido di quello originario indiano.

Attorno al X secolo i vari regni Khmer del sud-est asiatico si unificarono dando così vita ad un vero e proprio estesissimo impero Khmer, con capitale Angkor, che, tra il X e l'XI sec., occupava un immenso territorio che si estendeva dal sud del Laos, alla Cambogia, dal sud del Vietnam sino alla stessa Tailandia centro settentrionale. Le rovine di Wat-pu risalgono proprio a questa fase di fiorente espansione Khmer e costituiscono la riedizione più tarda di un tempio già esistente in precedenza e riconducibile al VII secolo circa. La Wat-pu di oggi si presenta come un'ampia area templare costituita da una serie di edifici sacri in pietra dislocati in funzione di un asse centrale che congiunge il santuario montano di Wat-pu alla pianura sottostante. In questa ampia porzione pianeggiante trova infatti spazio un grande bacino artificiali che, oltre ad avere delle valenze simboliche, svolgeva un importante ruolo come fonte di approvvigionamento idrico. Di fronte ad esso si apre l'ampia e maestosa via cerimoniale, fiancheggiata da due bacini di dimensioni più ridotte che, secondo la cosmologia induista, rappresentano simbolicamente gli oceani mitici che circondano la montagna cosmica centrale. Per quanto attiene la via cerimoniale, nella tradizione Khmer, era infatti costume che i grandi monumenti fossero preceduti da una via sacra, percorribile dai fedeli in transito verso l'area sacrale meta del loro stesso itinerario. Il passaggio lungo questa ampia retta via aveva lo scopo di consentire al devoto di prepararsi spiritualmente all'incontro con la divinità che era ospitata nel tempio principale del complesso. L'ascesa verso il tempio rappresentava dunque un vero e proprio pellegrinaggio in miniatura che, come ogni pellegrinaggio che si rispetti, prevede una fase di purgazione interiore intesa come precondizione necessaria al contatto intimo e personale con il dio.

I resti di due grandi edifici simmetrici fiancheggiano la via sacra stessa. Questi erano, con gran probabilità, dei locali adibiti ad ospitare i pellegrini, soprattutto nel caso di pellegrini di alto rango - i sovrani e la corte al suo seguito - che giungevano qui per trovare ospitalità e soprattutto per compiere i rituali purificatori preliminari necessari alla prosecuzione del viaggio verso il santuario montano, culmine del pellegrinaggio. Il fatto che si tratti di due distinti edifici lascia con sicurezza supporre che essi ospitassero i pellegrini suddividendoli sulla base del sesso: il corteo maschile da un lato, quello femminile dall'altro. Proseguendo l'itinerario, la pianeggiante via cerimoniale cede il passo ad una prima ripida scalinata. Qui i cortei dei pellegrini, che si erano temporaneamente separati durante la purificazione, si riunivano nuovamente per dare inizio all'ascesa. Statue di dei e di figure mitiche si ergono da ogni parte. Da questo momento il pellegrino accedeva all'area realmente sacra dell'intero complesso templare. Il cammino è arduo e faticoso. La scalinata sempre più ripida. Lo sforzo richiesto per percorrerla è esso stesso un esplicito invito al raccoglimento e al silenzio. La lunga via ascendente conduce ad una ristretta area pianeggiante. È questo il terrazzamento naturale su cui è edificato il santuario. Voltando ora le spalle, davanti ai propri occhi si apre lo splendido spettacolo della pianura di Champasak, dove anticamente si ergeva la ricca città di Lingapura. Lontano, lontanissimo, eppur visibile il lento Mekong. Sotto i piedi del pellegrino la lunga scalinata, la strada cerimoniale, i bacini d'acqua, in breve il lungo itinerario che lo ha portato sino al cospetto della divinità. Volgendo di nuovo lo sguardo alla montagna, il pellegrino trova invece di fronte a sé l'edificio centrale dell'intero complesso templare: il sacrario di Wat-pu, il sacerrimo luogo che anticamente ospitava le vestigia del dio Shiva, a cui il sito era dedicato.

Fu soltanto con la caduta dell'Impero Khmer e l'avvento della religione buddista che l'intero complesso di Wat-pu venne riconvertito al nuovo culto rivestendosi dei simboli della nuova religione. Lo stesso santuario, nascosto tra il folto delle fronde silvane della montagna sacra, venne ad ospitare una grande statua del Buddha Sakyamuni, circondato dagli emblemi religiosi della dottrina da questi promulgata. Wat-pu, senza perdere la sua funzione di importante centro religioso, continuò, sino ai nostri giorni, a mantenere la sua funzione di meta di importante pellegrinaggio. In questo elemento il segno tangibile di una continuità, quella per cui un antico santuario deputato al culto induista e, a sua volta, erede di pratiche religiose ancestrali incentrate nel culto di una montagna sacra, si trasforma in centro cerimoniale buddista. Ciò sino a divenire, oggigiorno, la meta obbligata di un incalcolabile numero di pellegrini del Laos e dei territori circostanti. Animati da una devozione tutta popolare sono loro infatti che, ancor oggi, tra curiosità e fede salgono sino al santuario della montagna. Aggirandosi tra le antiche rovine pronunciano preghiere, depongono offerte votive al Buddha, impetrano grazie. Con le mani colme di doni, di fiori e d'incensi, una fede che perdura ininterrotta da secoli e secoli. Davanti a loro, una gigantesca e silenziosa montagna resta in ascolto. Pronta a soddisfare le richieste degli uomini che giungono ai suoi piedi.