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24 Febbraio 2006 ARCHEOLOGIA
Archaeogate
Le Piramidi e la Mole
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Circa 4500 anni fa in Egitto crebbe e prese forma in poco più di due decenni quella che è rimasta l'unica superstite delle sette meraviglie del mondo: la Grande Piramide. Essa fu eretta sul pianoro di Giza, in prossimità del Cairo odierno, per ospitare la mummia vivente di Cheope, faraone che si identificò con il Sole Ra. Era questa la divinità centrale del sistema cosmologico su cui si imperniava la dottrina della monarchia egiziana, elaborata appunto ad Eliopoli, la "città del sole".

Un convegno tenuto recentemente al Politecnico di Torino, promosso dalla Cattedra di Egittologia dell'Università, con il concorso della Fondazione dell'Ordine degli Ingegneri e dell'Istituto Italiano per la Civiltà Egizia (I.I.C.E.), ha messo a confronto alcuni tra i migliori specialisti attuali sul tema della costruzione delle piramidi. Esso si è ispirato alla figura dell'lng. Celeste Rinaldi, che, con l'aiuto del Magg. Vito Maragioglio, negli anni '60 guidò il rinnovamento di questi studi, con misurazioni accurate ed osservazioni mirate suggerite dalle sue esperienze di costruttore torinese. In particolare il Rinaldi fu collaboratore del Prof. Silvio Curto nelle missioni archeologiche in Nubia del Museo Egizio, che si è associato nel ricordarlo.

Il Prof. Michelangelo Valloggia dell'Università di Ginevra ha illustrato i risultati delle sue ricerche alla piramide del successore di Cheope, Radedef, che, essendo stata quasi interamente smantellata dal tempo dei romani in poi, ha consentito osservazioni dirette sui lavori preliminari alla costruzione. Risulta in particolare da questo esame che la piramide fu impiantata su un rialzo originale del terreno, suggerendo una situazione pratica analoga anche per la collocazione delle altre piramidi, più che non sofisticati riferimenti astrali. Per converso è stata dimostrata una rete di elaborati riferimenti geometrici, che molto insegnano sulle cognizioni tecniche e matematiche di un'epoca ancora silenziosa.

Durante quella che si definisce antonomasticamente "l'età delle piramidi" infatti la scrittura, pur esistendo da tempo in forme progredite, non era ancora usata come strumento di comunicazione ed informazione. Ma l'esame diretto dei monumenti, come quello applicato dal Prof. Miroslav Verner dell'Università di Praga nel corso di scavi pluridecennali nel gruppo delle piramidi di Abusir (V dinastia, circa 2500-2400 a.C.), anch'esse come le precedenti parte della necropoli di Menfi, è rivelatore della flessibilità dell'intelligenza umana, nel confrontarsi con difficoltà costruttive di enorme complessità, in modo da ottenere risultati stabili di stupefacente perfezione.

L'Arch. Giuseppe Infranca del Politecnico di Bari ha infine ricordato come soprattutto la Grande Piramide costituisce l'apice dell'architettura megalitica ed ha suggerito diversi sistemi pratici ed efficaci per la gestione del cantiere.

Le osservazioni più recenti suppongono infatti che l'esecuzione di tali opere gigantesche richiese la partecipazione di un numero limitato di operai qualificati - non più di tre, quattromila - probabilmente anche oggetto di un trattamento privilegiato, come dimostrano le abitazioni e le tombe riservate che sono state ritrovate da non molto: un'altra visione opposta a quella, fantasiosa ed emotiva, tramandata dagli antichi che non sapevano capacitarsi di tale straordinaria perfezione tecnica.

Altre scoperte degli ultimi anni non solo confermano il livello di progresso raggiunto dagli egizi nel III millennio a.C., ma sembrano contestare alla costruzione delle piramidi il valore di simbolo assoluto riferito al loro tempo. Si è infatti osservato che le spedizioni minerarie e commerciali erano egualmente in grado di varcare i deserti più inospitali e certamente il mare, tanto che non è più possibile considerare l'Egitto un paese isolato o una "cultura d'oasi", come l'ingenuità dei moderni ha a torto immaginato. Queste imprese hanno lasciato tracce modeste rispetto alla monumentalità dei sepolcri dei faraoni, ma impressionanti per la capacità organizzativa e l'ardimento di affrontare distanze quasi incredibili per quei tempi, che non possono destare minore ammirazione.

Al centro dunque di un grande sistema socioeconomico dominava il corpo vivente della piramide, icona della regalità divina, presenza tangibile e permanente del sole sulla terra. In questo periodo invero il valore rituale delle architetture prevale su quello funzionale, o meglio la loro funzionalità, prescinde da un uso contingente ed esula dalla dimensione temporale. La Grande Piramide, unica superstite, è per giunta la più antica delle sette meraviglie: ciò significa che, avendo superato diversi millenni, si affaccia indecifrabile verso forme di cultura impreparate a coglierne il messaggio. Solo attente e perseveranti ricerche potranno aprire un vero dialogo con questo mondo scomparso. L'incapacità di accettare che esseri umani vissuti in condizioni completamente diverse dalle nostre e guidati da interessi totalmente disgiunti dai presenti, fossero in grado di competere con i metodi più estrosi e le soluzioni più ardite, ha generato i sensi di mistero e gli atteggiamenti irrazionali che denotano spesso l'incontro con le nostre generazioni. Uniformarsi a simili reazioni acritiche si traduce fatalmente in una valutazione di inferiorità dei livelli attuali di conoscenza.