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13 Febbraio 2005 ARCHEOLOGIA
Il Messaggero
Gli antichi raccontavano la verità
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Molto spesso si è portati a pensare che i dati riportati da tradizioni molto antiche siano sospetti, o perché deformati dal tempo o perché costruiti in epoche posteriori a scopi propagandistici. C'è invece, dall'altro lato, chi ritiene che le antiche leggende debbano essere accettate più o meno integralmente perché esempio di un modo arcaico di fare la storia. Comunque stiano le cose, non c'è archeologo che in occasione di una scoperta importante in una zona critica del mondo antico non si rivolga al mito e alla tradizione letteraria per cercare un riscontro.

Andrea Carandini, uno dei massimi archeologi viventi, ha fatto una scoperta straordinaria che ci riconnette in modo diretto e immediato con una delle nostre più antiche tradizioni: quella della fondazione di Roma. Gli antichi ci hanno trasmesso un data talmente precisa da apparire sospetta, data che corrisponde al nostro 21 aprile del 753 a.C. Quello è il dies natalis, la data di nascita di Roma, e da quella data gli antichi contarono gli anni: ab Urbe condita, "dalla fondazione di Roma".

La fondazione in un primo momento venne attribuita ad Enea, ma quando ci si accorse che dalla guerra di Troia alla data tradizionale della fondazione di Roma passavano quasi cinque secoli, ci si inventò una dinastia di re Albani iniziata da Iulo figlio di Enea che sarebbe terminata con il re Numitore, padre di Rea Silvia, madre di Romolo e Remo.

I testi moderni comunque tendevano a dare credito alla data del 753 a.C. sulla base della presenza di fondi di capanne sul Palatino risalenti all'VIII secolo. In realtà, la presenza di un insediamento non significa affatto la fondazione di una città. Questo evento veniva infatti attribuito fino ad ora dagli storici agli ultimi anni del VI secolo a.C., all'epoca cioè dei re etruschi di Roma: i Tarquini. Erano stati loro a drenare le acque dalla valle del foro verso il Tevere con la Cloaca Maxima, bonificando la valle che era stata trasformata in una piazza destinata alle funzioni della vita pubblica. Questo significava per tutti la nascita vera e propria della città. La fondazione mitica restava ancorata a quei due o tre fondi di capanna sul lato nord ovest del Palatino. Là si diceva sorgesse il tugurium Romuli, la capanna di Romolo, una reliquia quasi certamente falsa che veniva periodicamente restaurata.

Ora invece Carandini ha fatto una scoperta in grado di rivoluzionare questi elementi cronologici dati ormai per acquisiti. Nella zona del tempio di Vesta ha scoperto un edificio con una pianta di ben 345 metri quadri di cui 105 coperti e 240 di area cortiliva interna scoperta. Questo imponente edificio aveva pareti fatte di pali di legno intonacati in argilla e pavimenti coperti da scaglie di tufo. E' stata rilevata inoltre una vasta sala ovale lunga circa dodici metri con focolari e ripostigli per derrate alimentari. Difficile non pensare ad un palazzo reale.

Oltre a ciò Carandini ha scoperto una pavimentazione del foro di gran lunga antecedente a quella che conosciamo e risalente all'VIII secolo a.C.

Da questo dovremmo dedurre che verso la metà dell'ottavo secolo a.C. esisteva nel sito dell'attuale foro romano un palazzo reale ed una piazza pavimentata forse destinata alle riunioni del popolo. In altri termini esistevano edifici e luoghi pubblici e questo basta per pensare che esistesse una città. Il dato della tradizione e in fondo anche del mito coincide in modo piuttosto significativo con quello archeologico. Ciò non significa ovviamente che dobbiamo accettare per vere tutte le altre tradizioni pervenute, ma certo il rito del solco quadrato e forse anche il sacrificio umano adombrato dietro la storia dell'uccisione di Remo potrebbero avere un senso alla luce di queste eccezionali scoperte.