Che si trattasse di glicerina, o di una sostanza a questa simile, l'avevano già sospettato considerando il forte odore di rancido che furiusciva dal contenitore. C'era per i ricercatori, però, da risolvere la questione della tixotropia; la proprietà di alcune sostanze di ritrovarsi in fase solida, comunemente, e di sciogliersi quando vengono scosse, caratteristica riscontrata su quel residuo ritrovato nell'ampolla conservata al Museo Nazionale di Napoli.
Le indagini effettuate con la spettroscopia all'infrarosso hanno dunque fugato ogni dubbio e accertato che nel balsamario si conservava una sostanza a base di glicerina. E, di una crema approntata con quel preparato, Plinio il Vecchio dà la descrizione quando fornisce gli elementi base per la messa a punto della glicerina, che si ottiene facendo reagire ossido di piombo e olio d'oliva.
"Le creme a base di glicerina - spiega Cecilia Baraldi, farmacista e ricercatrice dell'Ateneo modenese, che ha prodotto lo studio - avevano in antico applicazioni identiche a quelle odierne: nella cosmesi o in qualità di emollienti, idratanti o detergenti". Venendo anche usate nella farmacia casalinga come lassativo, lubrificante o emulsionante.
Le indagini, che per la Soprintendenza di Pompei sono seguite da Annamaria Ciarallo, responsabile del Laboratorio di Ricerche archeoambientali, hanno anche permesso di scoprire che in alcuni balsamari pompeiani si conservavano residui di sostanze non presenti in Italia, ma provenienti dall'Egitto. Si tratta di minerali a base di Jarosite (solfato di Ferro e di Potassio) e di Huntite (carbonato di Calcio e di Magnesio) il cui utilizzo in antichità era doppio: poteva esere usato come pigmento (ne è stata riscontrata la presenza nelle tombe egizie) per i colori, nelle decorazioni parietali di Pompei ed Ercolano, oppure, come base per la produzione di belletti per il trucco delle sofisticate matrone pompeiane.
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