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14 Gennaio 2003 ARCHEOLOGIA
Kataweb
Sanaa. Nello Yemen ripresi gli scavi a Baraqish
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Sanaa - Per chi arriva da Sanaa, capitale dello Yemen, dopo quasi 140 chilometri in jeep, preceduta e seguita da quelle che in Somalia chiamano "tecniche", furgoncini pieni di poliziotti con mitragliere antiaeree sul tetto, le antichissime mura di Baraqish appaiono come una corona sulla cima di una collina che si erge dal deserto yemenita. La pianura nella quale la città fu costruita apre l'area desertica a ridosso delle catene montuose che proteggono Sanaa ed i suoi dintorni. Attraverso di esse si snodano serpeggiando strade che fino a cinquant'anni fa si percorrevano solo con i muli, e ciò aveva consentito nei secoli a vari regnanti di difendersi facilmente da attacchi di conquistatori.

Le mura di cinta esterne di Baraqish sono intatte ed all' interno ancora oggi ci si può immaginare un gran movimento: nei templi, assiepati di fedeli, al mercato, con le grida dei venditori di frutta, verdura, pane, fino alle attività forensi. Ma quando, attraverso un' apertura che fa passare una persona alla volta, si entra nel recinto, si scopre un'area pressocchè omogenea di suolo compatto. I primi ruderi che si notano sono resti della città ottomana sorta sulle rovine di abitati di periodi diversi. Se poi si sfogliano gli strati, come pagine di un libro antico, si trovano tracce dell'epoca islamica, ma prima ancora di quella pre-islamica, fino a risalire ai primi costruttori, sabei e minei. La loro presenza è collocabile presumibilmente tra il sesto ed il quinto secolo avanti Cristo. Lì, in quella fortificazione, soltanto l' ostinazione di una squadra di archeologi italiani ed operai yemeniti è riuscita ad individuare le tracce e quindi a far emergere, come per miracolo, una sala ipostila ed altri muri di un tempio, quello del dio "perdonatore" Nakrah. Tra le colonne sono installati tavoli con lastroni di pietra che sui lati hanno iscrizioni sabee e minee.

"E' stato necessario un lavoro molto attento di epigrafisti - racconta Alessandro De Maigret, l' archeologo dell' Orientale di Napoli che cominciò gli scavi nel '91 e dovette poi sospenderli per mancanza di fondi - per decifrare le iscrizioni. Alcune erano gia' conosciute perchè ne erano stati fatti calchi, portati poi in giro per il mondo. Ma queste sono le prime recuperate in loco e lasciate lì proprio da quei popoli che per primi abitarono l' 'Arabia Felix' ".

A questa terra la definizione verrà attribuita nei secoli successivi, quando diverrà il crocevia nei traffici sulla via dell' incenso, e delle carovane che portavano sete dalla Cina, pietre preziose, spezie e armi dall' India o dall'Africa al Mediterraneo. "Felix" perchè in una posizione importante e in contrapposizione con l' Arabia Petrea, petrosa - da cui prende il nome Petra, l' antica capitale dell' area, oggi meta di turisti per i suoi singolari monumenti nella roccia - e con l'Arabia Deserta, l' attuale Arabia Saudita. Perciò gli scavi ripresi quest'anno da De Maigret, con il patrocinio dell' Isiao di Roma - "abbiamo avuto la fortuna di incontrare chi ci ha assistito e capito, procurandoci i fondi necessari", dice De Maigret, rivolgendo sguardi grati all' ambasciatore italiano Giacomo Sanfelice - potrebbero continuare a lungo. Magari per completare lo studio dell'area sacra, dove è stato individuato anche l' impianto di un altro tempio, non ancora portato alla luce.

"In quello dedicato al dio Nakrah - spiega De Maigret - le iscrizioni che hanno valore di ex voto, raccontano le confessioni che gli abitanti di Baraqish andavano a incidere per ottenere il perdono dei propri errori e guarire così dei propri mali. E dal loro studio vengono fuori elementi importanti di conoscenza sulle abitudini di vita di quel tempo". Ma De maigret non si meraviglia di un'altra interpretazione data al nome di quel dio, che potrebbe, forse, anche essere una dea: "nak" nell' antica lingua locale - suggerisce uno studioso yemenita - significa fare all'amore e "rah", se per gli antichi egizi era il sole, per i sabei era la luna. Nel tempio, quindi si venerava un dio (o la dea) che faceva all' amore con la luna.

Vere o meno che siano le interpretazioni di oggi, la ricerca in corso a Baraqish - De Maigret è assistito dal suo fido aiutante Mario Mascellani e da due restauratori arrivati da Roma qualche mese fa, Saverio Scigliano e Alessandra Paladino - è molto apprezzata dal governo yemenita. "Certo per il suo valore conoscitivo e scientifico - dichiara il viceministro della cultura e turismo e presidente della Organizzazione Generale delle Antichità e dei Musei (Goamm), Yusuf Abdullah - ma anche perchè è il primo tentativo di valorizzare i nostri patrimoni archeologici, che sono conosciuti solo dagli studiosi. E invece potrebbero attirare chi sa quanti turisti. E ne avremmo tanto bisogno".