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7 Gennaio 2003 ARCHEOLOGIA
Kataweb
Stele di Axum addio
tempo di lettura previsto 4 min. circa

Roma - E' finita. In molti ancora non si arrendono ma il destino della stele di Axum è segnato per sempre. Tornerà in Etiopia. La punta della stele, la sommità, che misura 7 metri, del peso di 48 tonnellate, in un piovigginoso venerdì di novembre, il 7, alle 17, 20, nel giorno in cui la chiesa ricorda Sant'Ernesto, abate di Zwiefalten, martizzato dai Saraceni, è stata sollevata da una gru e poi deposta a terra. Nei prossimi mesi sarà custodita in un hangar, nei dintorni di Fiumicino, in attesa dello smontaggio della parte restante che avverrà in due tempi. Dovrebbe concludersi all'inizio del prossimo anno. A quel punto un aereo riporterà l'obelisco in Etiopia, restituito alla città d'origine. Stele di Axum addio dunque, mentre c'è chi come Vittorio Sgarbi lancia maledizioni sul governo ("La decisione del rimpatrio è un'assoluta stupidaggine, legata alla totale mancanza di sensibilità culturale e storica di questo Governo. La maledizione della stele di Axum cadrà su questo Governo e segnerà l'inizio della sua sconfitta", ha dichiarato) e chi, come Domenico Gramazio di Alleanza Nazionale, continua a raccogliere firme per bloccare la partenza del monumento.

Ma ormai non c'è nulla da fare. Lo smontaggio continuerà anche se non sarà semplice come ha spiegato l'ingegnere Giorgio Croci, a cui è stato affidato il delicato compito di rimpatriare questo obelisco. Arrivò a Roma nel 1937 per espresso volere di Benito Mussolini e lo fece collocare, in coincidenza con l'anniversario dei 15 anni della marcia su Roma, sulla piazza di Porta Capena, nei pressi del Circo Massimo. Alta 24 metri, del peso di circa 150 tonnellate, in pietra basaltica scura, a sezione rettangolare, la stele, che è stata definita da un poeta della sua terra "Flauto di Dio", viene fatta risalire a un periodo compreso tra il primo e il quarto secolo d.C. e viene attribuita all'opera di artigiani egizi. L'obelisco venne trovato dagli italiani nel '35, durante l'occupazione dell'Etiopia, spezzato in tre tronconi, come altre tantissime steli della città santa di Axum. Trasportarlo al porto di Massaua, distante 400 chilometri dal luogo originario, per caricarlo sulla nave diretta per Napoli fu un'impresa senza precedenti durata due mesi, come testimonia la documentazione scritta e fotografica degli archeologi e degli ingegneri del regime fascista. Si dovette addirittura adattare al convoglio il precario tracciato stradale che portava al Mar Rosso. Giunto a Roma, l'obelisco venne rafforzato con un'anima interna di ferro e restaurato in vari punti. Una parte venne ricostruita in fac-simile per non lasciare il monumento incompleto. Si tratta di un grosso pezzo angolare, il cui originale rimase ad Axum, dove ancora si trova nel giardino della Chiesa copta di Santa Maria di Sion.

Per l'Etiopia perdere l'obelisco fu un duro colpo, anche simbolico. La stele infatti faceva parte dei 66 monumenti funerari che nell'antica capitale del regno Axum stava ad indicare la presenza di una tomba reale. I fregi che ne decorano le quattro facciate riproducono un edificio reale a undici piani, di cui si distinguono i particolari incisi con grande cura, le finestre, le porte d'ingresso con i battelli a forma d'anello, probabilmente. La parte terminale ha una sagomatura detta a "testa di scimmia".

L'obelisco, costruito secondo la leggenda sull'altipiano etiopico, è considerato il secondo colosso di Axum, là c'è un'altra stele alta più di 33 metri. La sua collocazione a Porta Capena, di fronte all'allora ministero delle Colonie, oggi palazzo della Fao, ebbe luogo tra parecchie difficoltà. Lo scavo per le fondamenta fu ostacolato dal ritrovamento di resti archeologici e vecchie fognature. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l'obelisco diventò un caso diplomatico che ha diviso l'Italia e l'Etiopia. Fin da allora Addis Abeba chiese la restituzione dei beni sottratti dal regime fascista e tra le priorità del trattato firmato tra i due paesi c'era appunto il rimpatrio della stele: entro 18 mesi. Ci sono voluti 56 anni.

Ma ora l'addio è vero. A Roma non resta che la speranza di vedere una sostituzione: un'opera di arte contemporanea al posto dell'obelisco. Ci sarà un concorso internazionale. L'amministrazione comunale ha infatti deciso di bandirlo. Un nuovo monumento coprirà il vuoto di Porta Capena. "Concorreranno le opere di tutti gli artisti del mondo, che verranno poi scelte e selezionate da una giuria di esperi, composta da storici dell'arte e architetti", ha assicurato Eugenio La Rocca, sovrintendente ai beni culturali del comune di Roma. Ma ci vorrà del tempo. Il cammino verso la contemporaneità a Porta Capena è appena cominciato.