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27 Giugno 2003 ARCHEOLOGIA
Repubblica.it
Gli Inca scrivevano coi nodi
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HARVARD - Al culmine del proprio splendore, gli Inca comandavano su un territorio che andava dalla Colombia al Cile attuali. E questo, senza avere una lingua scritta che permettesse loro di inviare messaggi da un punto all'altro dell'impero. Almeno, questo è ciò che si è creduto finora. Ma c'è un antropologo della prestigiosa Università Usa di Harvard, Gary Urton, che ha un'idea diversa. Secondo Urton, gli Inca non solo erano in grado di comunicare senza parole, ma lo facevano con un sistema che gli occidentali avrebbero imparato ad utilizzare a fini comunicativi solo alcuni secoli dopo: quello binario.

Urton sostiene che la soluzione al mistero Inca è da sempre sotto gli occhi degli esperti: si tratta dei "quipu", sorta di cordicelle annodate considerate sinora oggetti decorativi o, al più, primitivi pallottolieri. Lo studioso, invece, è convinto di aver scoperto nei quipu quello che oggi chiameremo un codice a 7 bit, ovvero un sistema nel quale, annodando ogni cordicella in un modo o in un altro, e osservando insieme la combinazione di sette nodi, si ottiene un segno preciso.

E' la stessa logica alla base del codice Ascii, quello che governa i caratteri che possono essere battuti sulla tastiera del pc. L'Ascii è un codice ad 8 bit: combinando otto 0 o 1, permette di individuare 256 segni (2 all'ottava=256). Un sistema a 7 bit consentirebbe soltanto 128 combinazioni (2 alla settima). Ma secondo Gary Urton il codice Inca era molto più raffinato e, assegnando ai sette nodi 24 colori diversi, permetteva di gestire 1536 distinte unità d'informazione (2 alla sesta moltiplicato per 24). A scopo di paragone, si pensi che il sistema cuneiforme sumero era composto da 1000-1500 segni, mentre i geroglifici egizi e maya non fornivano più di 7-800 unità.

"Ognuno di questi elementi potrebbe essere stato un nome, un'identità o un'attività nel racconto di una storia o di un mito", ha spiegato Urton al quotidiano britannico "The Independent". "Il sistema forniva un'estrema flessibilità. Credo che un'abile possessore di quipu avrebbe riconosciuto il linguaggio. L'avrebbe visto, sentito e utilizzato proprio come facciamo noi quando leggiamo le parole".

Urton esporrà per intero la sua teoria in un libro di prossima uscita intitolato "Signs of the Inca quipu". Il professore è ancora alla ricerca della prova definitiva, quella che convincerebbe il resto della comunità scientifica, ancora scettica, e farebbe di lui il nuovo Champollion: un quipu tradotto, come la stele di Rosetta che consentì allo scienziato francese di risolvere il mistero dei geroglifici egizi. Urton è convinto di esserci quasi: "Per la prima volta abbiamo trovato un gruppo di quipu in un sito archeologico ben conservato e datato con precisione, e un gruppo di documenti scritti nello stesso tempo". In quei documenti, redatti in spagnolo, lo studioso è convinto di trovare la traduzione di almeno un quipu.