La tesi del film è annunciata da una frase dello storico-scrittore Will Durant: una grande civiltà non viene conquistata fino a quando non si distrugge da sola dal di dentro. Così, quando nel 1518, gli spagnoli "conquistadores" sbarcarono per la prima volta su una spiaggia dello Yucatan, per portare la nuova civiltà, i Maya avevano già compiuto buona parte del lavoro ed erano, diciamo così, predisposti. Gibson, creativo in modo allarmante, e anche furbo, corregge dunque la tesi del paradiso naturalistico: in quel tempo l'Europa aveva il Rinascimento, i codici civili e la polvere da sparo, i Maya "indietro" millenni rispetto a quei parametri, e al riparo da quel tipo di civiltà, non erano poi così felici. Un'idea scaltra e magari strumentale, comunque accettabile, che poi permette al regista di fare il cinema violento-etnico-primordiale-iperrealista, attraverso "interpretazioni impossibili", che tanto gli sono congeniali.
Il giovane maya Jaguar vive dunque in modo primordiale, va a caccia, si diverte coi suoi amici, ha una moglie incinta e un bambino. Il suo villaggio viene assalito da una tribù più forte che fa una strage. Insieme ad altri, Jaguar, che riesce a nascondere la famiglia in una grotta sotterranea, viene portato in un villaggio lontano dove sarà sacrificato al dio del sole. Riesce a fuggire, inseguito dai nemici. Li uccide uno a uno, torna al suo villaggio, salva miracolosamente la famiglia, e dall'alto di una collina vede due galeoni nella baia e alcune barche che si stanno avvicinando alla spiaggia che portano uomini con armi, insegne e croci. Jaguar e la famiglia si rintanano nel cuore della foresta.
Nella Passione Gibson si era ritagliato molte possibilità di invenzione a cominciare dall'aramaico. Qui ripercorre la stessa strada (lingua maya con sottotitoli) ma gli si aprono orizzonti ancora più vasti: i corpi nudi che offrono un'opzione di violenza estrema che, per esempio, Braveheart coi costumi e le armature non offriva. La vegetazione umida e senza sole, nemica, e così folta che senti prima di vedere, ed è tardi. L'istinto primordiale: ci si immobilizza, gli occhi si allargano a scrutare, il pericolo mortale è vicino. L'idea delle violenza estrema ha un'altra chiave, suggestiva. Jaguar viene colpito da una lancia, letteralmente trapassato, se la toglie e riprende la fuga, poi viene colpito da una freccia, dalle parti del cuore, se la strappa e prosegue. E non sono le solite licenze del cinema d'avventura, è una considerazione sulle difese del corpo, che oggi diremmo sovrumane e cha magari, in quel tempo e in quei luoghi, erano umane. L'istantanea estrema in questo senso è alla fine, quando Jaguar si affaccia sulla grotta e vede la moglie e due figli, che stanno per annegare sopraffatti dalle grandi piogge. La donna ha partorito nell'acqua. Un'altra strepitosa occasione Gibson la coglie col rito del sacrificio maya, e non gli par vero di poter rappresentare l'asportazione del cuore, il corpo disfatto pezzo per pezzo e poi spinto lungo l'infinita parete di quelle piramidi.
Dunque per il regista una possibilità estrema, antropologica, è quello che cercava. Può essere interessante la sua prossima mossa. Un'indicazione: perché no la genesi? Gibson cristiano radicale, avrebbe possibilità ancora maggiori, medierebbe le scritture con la scienza e offrirebbe certamente un'istantanea credibile di Adamo ed Eva. E dovrebbe inventare un linguaggio questa volta davvero ex novo. Un'avventura spaventosa, ma niente spaventa Mel.
Apocalypto è un film molto importante. Per coraggio per estetica e per forza in senso lato. Va inteso, oltre che come magnifico trucco (sempre di film trattasi) anche come indicazione che certamente si porterà dietro tante, tante parole. E, indubbiamente, fa già parte del corpo del cinema.
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