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23 Gennaio 2009 SCIENZA
Corriere della Sera
Test del Dna per svelare i misteri di Galileo
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MILANO - Quando Galileo Galilei muore nel 1642 a Firenze nella condizione di «condannato dalla Chiesa» porta con sé nella tomba un mistero che ora astronomi, genetisti e oftalmologi cercano di sciogliere con l'esame del Dna dei suoi resti. Il genio che aveva posto i fondamenti della scienza moderna e aveva rivoluzionato l'astronomia grazie alle prime osservazioni con il cannocchiale soffriva di un grave difetto alla vista. Negli ultimi anni di vita, quasi cieco, per leggere e scrivere lo aiutava il discepolo Vincenzo Viviani. Ma — si sono sempre chiesti gli scienziati — come è riuscito a vedere quelle macchie solari, i mari lunari o i satelliti gioviani che davano ragione a Copernico diventando poi materia d'accusa per il Sant'Uffizio? E i suoi problemi spiegano anche alcuni «errori» delle rilevazioni? «La risposta arriverà dall'analisi del Dna che affronteremo su alcuni campioni prelevati dalla tomba» risponde Paolo Galluzzi, direttore del Museo di storia della scienza di Firenze. L'operazione coinvolge l'Istituto di ottica fiorentino, l'Osservatorio di Arcetri e due oftalmologi di Cambridge (Gran Bretagna) tra cui Peter Watson, presidente dell'Accademia Oftalmologica Internazionale. Per i genetisti si sono fatti avanti specialisti inglesi, «ma ne abbiamo di esperti anche tra Pisa e Firenze», nota Galluzzi. Galileo Galilei riuscì ad essere sepolto dove adesso si trova nella Basilica di Santa Croce la sera del 12 marzo 1737. Finalmente, dopo 95 anni trovava degna sistemazione uno dei geni dell'umanità in seguito all'intervento della massoneria fiorentina e del granduca Gian Gastone condividendo un atto politico mirato a circoscrivere il potere della Chiesa e restituire pienezza allo Stato. Prima, le sue spoglie erano nascoste in una celletta del campanile perché la Chiesa di Roma imp ediva una collocazione capace di magnificare l'uomo che aveva giudicato per «veemente sospetto d'eresia». Ma quando si compie il trasferimento c'è una sorpresa che mette a disagio le autorità convenute, incapaci di dare un'identità al ritrovamento, come dimostra un documento notarile scoperto da Paolo Galluzzi.

Nella tomba oltre a Galileo e al discepolo Vincenzo Viviani c'è pure lo scheletro di una giovane donna. «Riteniamo sia suor Maria Celeste, figlia amata del grande scienziato e morta giovanissima a 33 anni — nota Galluzzi —. Ma per aver certezza compiremo l'esame del Dna anche dei suoi resti». Sin da giovane, come racconta in alcune lettere, Galileo si lamenta dei suoi problemi agli occhi. L'ipotesi è che fosse vittima di una malattia genetica all'uvea che provoca alterazioni nella vista. Ora spetta ai genetisti trovare conferme o smentite. E per le stranezze o gli errori di certe osservazioni di cui ci ha lasciato prova negli schizzi? «Galileo aveva notato — racconta Galluzzi — dei rigonfiamenti laterali a Saturno che non esistono, invece degli anelli. Egli inseguiva delle idee e tendeva a vedere talvolta ciò che era nelle sue aspettative. Ad esempio immaginava di trovare dei satelliti anche intorno ad altri pianeti come li aveva individuati intorno a Giove. Inoltre ci si domanda se alcuni profili lunari da lui riprodotti corrispondano alla realtà o non siano il risultato di una deformazione ottica legata alla sua patologia». L'operazione fiorentina, che si avvia nell'Anno Internazionale dell'Astronomia voluto dall'Unesco proprio per celebrare i 400 anni dalle scoperte galileiane, richiederà tempo e fondi adeguati. «Non meno di 300 mila euro — precisa Galluzzi — ma per la storia della scienza si tratta di un chiarimento importante da raggiungere ».