Paestum - Anche gli antichi marinai mediterranei affrontavano traversate d'alto mare, con tecniche di navigazione e di orientamento che ancora dobbiamo socprire: a sfatare definitivamente la teoria che in antico l'unica navigazione fosse di piccolo cabotaggio, a ridosso delle coste, arrivano le nuove prove di antichissima frequentazione navale dell'isola di Ustica, scoperte dalla missione di scavo subacqueo diretta l'estate scorsa da Giuliano Volpe, professore di archeologia all'universita' di Foggia, sostenuta dalla prevista "Archeologia viva" e dalla sovrintendenza archeologica di Palermo.
Molte delle tracce di questa antica frequentazione di Ustica (l'isola sorge a meta' strada fra Sicilia e Sardegna, lontana da qualsiasi costa) sono esposte in un museo sommerso.
E' il percorso archeologico subacqueo allestito attorno a Ustica, che e' stato illlustrato, alla festa Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, in corso di svolgimento a Paestum, da Piero Pruneti, direttore di archeologia viva. Il visitatore subacqueo che segua il filo d'Arianna sommerso sui fondali rocciosi dell'isola, spiega Pruneti, trovera' incastrati negli scogli i ceppi d'ancora in piombo contorti; sono l'emozionante testimonianza della violenza dei venti che investirono quelle navi all'ormeggio, i cui marinai dovettero affrettarsi a tagliare i cavi abbandonando le ancore conficcate nella roccia.
"In un museo terrestre - commenta Pruneti - quei ceppi contorti perderebbero tutta la loro spettacolare drammaticita'". La missione di archeologia subacquea diretta da Volpe, sull'unico fondale sabbioso di Ustica davanti al porto di Cala Santa Maria (era un porto anche in antico), ha invece restituito grande quantita' di frammenti di ceramiche e di anfore vinarie e olearie, attribuibili ad un ampio arco temporale, fra il terzo secolo a.C e il sesto secolo d.C: erano merci di accertata provenienza africana, spagnola, egea e sud-italica e dirette presumibilmente a Roma, testimonianza del fatto che a Ustica facevano scalo molti dei mercantili che compivano la traversata del Mediterraneo occidentale. Secondo Volpe, il materiale rinvenuto su quel fondale e' solo in piccola parte attribuibile a naufragi: doveva essere piu' probabilmente vasellame di scarto perche' andato in pezzi durante il viaggio, e buttato in mare perche' inutile o per alleggerire la nave prima dell'ingresso in porto. "La rotta d'alto mare - commenta Volpe intervistato telefonicamente dall'Agenzia Italia, anticipando il resoconto dello scavo di imminente pubblicazione sulla rivista "L'Archeologo Subacqueo" da lui diretta - era piu' sicura del piccolo cabotaggio lungo la costa: evitava i pirati e le pericolose correnti e i colpi di vento sottocosta. Dobbiamo dedurre che gli antichi marinai disponevano di conoscenze navali e di una strumentazione di orientamento piu' progredite di quanto noi supponessimo".
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