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3 Giugno 2000 STORIA
Mario Di Martino l´astronomia
UNA CATENA DI IMPATTI DEL TRIASSICO
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SULLE TERRE EMERSE del nostro pianeta sono note oltre 150 strutture da impatto, di dimensioni comprese tra alcune decine di metri sino ai circa 300 km del cratere di Vredefort (Sud Africa), molte delle quali hanno età inferiori ai 200 milioni di anni. Essi rappresentano soltanto una piccola parte di quelle lasciate da asteroidi e comete nei 4, 5 miliardi di anni di età del nostro pianeta: per averne un'idea basta dare un'occhiata alla miriade di crateri da impatto che segnano la superficie della Luna. Sulla Terra la maggior parte di tali strutture è stata sepolta dai moti tettonici delle zolle continentali o distrutta dall'attività erosiva degli agenti atmosferici. Sino ad ora l'interesse dei ricercatori è stato indirizzato verso lo studio delle conseguenze derivanti dagli effetti di un singolo impatto; recentemente, però, un gruppo di tre geologi canadesi e anglo-americani ha dimostrato che anche impatti multipli possono aver interessato il nostro pianeta.

La scoperta viene dalla constatazione che una serie di cinque crateri da impatto coevi, da tempo noti, e che attualmente si trovano in Europa e nell'America settentrionale, quando si formarono, 214 milioni di anni fa, erano allineati tra loro come dovrebbe accadere quando a collidere con il nostro pianeta sono i frammenti di una cometa o di asteroide (Nature, 392, 171). Con ogni probabilità questi impatti possono aver contribuito alle estinzioni di massa di specie che ebbero luogo alla fine del periodo Triassico, uno dei cinque maggiori fenomeni di questo tipo di cui si è a conoscenza.

Quando nel luglio 1994 i frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9 si abbatterono su Giove, ci fu chi disse che un fenomeno del genere non avrebbe potuto interessare la Terra, in quanto il campo gravitazionale del nostro pianeta è troppo debole per provocare la distruzione di un corpo asteroidale o cometario e catturarne quindi i frammenti. Questa scoperta smentirebbe però tale affermazione. Una possibilità alternativa è che una cometa o un asteroide abbia effettuato un passaggio radente con gli strati alti dell'atmosfera subendo una frammentazione multipla a causa della potente azione aerodinamica. I pezzi rallentati dall'interazione con l'atmosfera sarebbero stati quindi catturati dal campo gravitazionale del nostro pianeta e si sarebbero abbattuti su di esso al loro successivo passaggio. Si stima però che un fenomeno del genere accada molto di rado: è stato calcolato che soltanto uno ogni mille oggetti che hanno colpito la Terra abbia subito un tale destino.

Lo studio è nato dall'interesse degli autori per crateri da impatto di età simili. Essi hanno sviluppato una tecnica laser di datazione delle particelle vetrose che si formano per fusioni da impatto molto più precisa di quelle usate in precedenza. E' stato cosŤ possibile stabilire che le cinque strutture prese in esame hanno un'età che, entro gli errori, risulta coincidente. La seconda e decisiva fase della ricerca, consistente nella determinazione della localizzazione geografica che avevano i cinque crateri all'epoca della loro formazione, è stata portata a termine da D. Rowley, il terzo componente del gruppo.

Rowley è responsabile del progetto "Paleogeographie Atlas Project" dell'Università di Chicago, che ha come scopo quello di compilare un atlante completo paleogeografico e paleoclimatico del nostro pianeta nel corso degli ultimi 500 milioni di anni. I dati raccolti vengono utilizzati per testare i modelli di cambiamento climatico, per trovare probabili siti di depositi petroliferi e minerari e per fornire una visione di insieme dell'evoluzione delle caratteristiche geografiche della Terra.

Tre dei cinque crateri, Rochechouart (25 km di diametro) in Francia, Manicouagan (100 km) e Saint Martin (40 km) in Canada, si trovavano all'epoca della loro formazione praticamente alla stessa latitudine, e formavano una catena lunga poco meno di 5000 km. Gli altri due, Obolon (15 km) in Ucraina e Red Wing (9 km) in Minnesota (USA) si dispongono, rispetto a Rochechouart e Saint Martin, su due linee fra loro parallele.

Le due tracce si sovrappongono se si annulla la differenza di circa 44' di paleolongitudine, evidentemente introdotta dalla rotazione del pianeta intervenuta tra i primi e gli ultimi impatti. Tutti questi crateri sono noti da tempo e ben studiati, ma il loro antico allineamento non era stato ancora messo in evidenza. La spiegazione più probabile è che i cinque crateri si siano formati per la caduta di frammenti di un unico corpo cosmico. E' probabile che i pezzi fossero più di cinque, ma, essendo la Terra a quella latitudine ricoperta per la maggior parte dal mare, non sono rimasti i segni della loro collisione. Secondo Rowley la probabilità che questi crateri si trovino allineati per caso è praticamente uguale a zero.

Manicouagan, il maggiore dei cinque ha un diametro paragonabile a quello famoso di Chicxulub, databile alla fine del periodo Cretaceo, che fu provocato dall'impatto di un corpo celeste di dimensioni prossime ai 10 km. Le estinzioni del Triassico furono di portata equivalente a quelle del Cretaceo/Terziario: circa l'80 per cento delle specie allora viventi sul pianeta scomparvero in breve tempo.

Visto il successo dello studio, i tre ricercatori stanno ora analizzando se esistono altri crateri che all'epoca della loro formazione costituivano delle catene e che quindi possono essere stati provocati da una raffica di frammenti cosmici.

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