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2 Novembre 2014 ARCHEOLOGIA
ilfattostorico.com
CIMITERO DI ANFORE IN DUE NAVI ROMANE NELLE EOLIE
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Verrebbe quasi da definirlo un "cimitero subacqueo delle anfore", ad evocare l'imponenza di due relitti romani affondati oltre duemila anni fa. È la sorpresa che, a oltre 120 metri di profondità, nelle acque delle isole Eolie, tra Lipari e Panarea, gli archeologi subacquei si sono trovati di fronte.

Nel mese di settembre l'équipe di tecnici della Soprintendenza del Mare, capitana da Sebastiano Tusa e Roberto La Rocca con l'ausilio di Salvo Emma, ha effettuato una serie sistematica di immersioni nei siti subacquei di Capistello, per indagare i relitti Panarea II e Panarea III già individuati negli ultimi quattro anni. Ma stavolta è stata la collaborazione con la Global Underwater Explorers (GUE) nell'ambito del progetto "Project Baseline", a dare una svolta alle ricerche, grazie a due sommergibili "Triton submersibles" biposto dotati di braccio meccanico e attrezzature di documentazione videofotografiche. L'area dei relitti, a 120 metri di profondità, è stata così indagata in modo più approfondito con importanti risultati.Del relitto Panarea II è stata scoperta una parte inedita del carico, scivolato più in profondità e quindi rimasto nascosto. Inoltre sono riemersi numerosi ceppi d'ancora in piombo (alcuni con le contromarre presenti). "La presenza di un numero consistente di ancore conferma la caratteristica del sito come luogo di sosta ed ancoraggio lungo le rotte antiche che interessavano l'arcipelago eoliano", racconta Sebastiano Tusa. Non solo, ma del relitto si è potuto constatare che conserva una porzione lignea della chiglia.Del relitto Panarea III si è esplorato l'intero carico per la prima volta. La maggior parte delle anfore sono del tipo greco-italico, comprese anfore puniche. Sono riemersi anche una macina (catillo), alcuni vasi cilindrici del tipo sombrero de copa (alcuni impilati uno dentro l'altro), alcuni piatti cosiddetti da pesce, altri piccoli piattelli e ciotole e un "thymiaterion" intero rotto in due parti con la base modanata recante un'iscrizione in greco costituita da tre lettere (ETH).

"La giacitura del carico - riflette Tusa - ci porta ad ipotizzare una dinamica di affondamento che portò la nave a coricarsi sul suo lato sinistro. Ciò è desumibile dalla posizione delle anfore e dalla presenza degli oggetti di bordo (piatti, macina, thymiaterion), che dovevano trovarsi in stiva e sulla prua, ribaltati e quasi scaraventati fuori dall'areale di dispersione del carico".A Pantelleria, poi, sono state effettuate ricognizioni subacquee sui fondali di Cala Levante, Cala Tramontana e Cala Gadir fino a profondità di oltre 100 metri individuando vari areali con presenza di anfore di varia tipologia (principalmente greco-italiche e puniche).

"Essere riuscito a raggiungere un relitto di una nave naufragata 2000 anni fa che si trova nel buio e nel silenzio di 130 metri di profondità mi dato un'emozione indescrivibile che non avevo mai provato - dice Tusa - Avere la possibilità, grazie al batiscafo messo a disposizione dalla GUE, di adagiarmi dolcemente sulla distesa di anfore ed osservarle una ad una per oltre tre ore, di "toccarle" con il braccio antropomorfo facile da usare come un gioco elettronico da Luna Park, è stata una delle esperienze più interessanti della mia vita che mi ha fatto toccare con mano quanto la tecnologia possa ormai aiutare la scienza".

"Il risultato più eclatante è stata la scoperta di un reperto eccezionale - sottolinea Tusa - un altare in terracotta su colonnina con decorazione in rilievo ad onde marine. Avevo letto sia su saggi scientifici che sulle fonti storiche che a bordo si sacrificava agli dei dopo aver superato un passaggio difficile, prima di salpare o prima di arrivare al fine di trovare genti non ostili e ristoro alla navigazione. Mai avevo, però, scoperto un vero e proprio altare intuendone la diversità in mezzo a centinaia di anfore rotolate dal carico dopo il ribaltamento della sfortunata nave".