
È rimasto per 12.000 anni nascosto in una grotta sommersa al largo della penisola dello Yucatan, in Messico. Adesso secondo un gruppo internazionale di 16 ricercatori lo scheletro di una ragazza potrebbe essere il punto di contatto tra i primi abitanti del Nuovo mondo e i moderni nativi d'America. Se confermato da ulteriori ricerche, quelle ossa potrebbero risolvere il mistero del perché i paleoamericani e i moderni nativi sono il risultato di una evoluzione umana relativamente rapida e non di migrazioni successive verso le americhe.
I suoi tratti genetici sono infatti comuni tutt'oggi nel continente e secondo gli scienziati si sono evoluti in una popolazione preistorica che per migliaia di anni è rimasta isolata in Beringia, la terra oggi sommersa che collegava Alaska e Siberia e che formava un ponte tra i due continenti nell'era glaciale. Quindi secondo il nuovo studio pubblicato sul magazine Science i nativi d'America e i paleoamericani hanno lo stesso codice genetico, in entrambi i casi derivato dalla popolazione della Beringia.
Lo scheletro, praticamente intatto, apparteneva a una giovane donna. Una ragazza tra i 15 e i 16 anni, che gli scienziati hanno chiamato Naia, nome tratto dalla mitologia greca. Sarebbe morta nell'oscurità, mentre cercava dell'acqua nella grotta dove è rimasta intrappolata. Questa caverna - che oggi si trova a 40 metri sotto il livello del mare, sommersa dalle acque a causa dello scioglimento dei ghiacci - è stata scoperta nel 2007 da un gruppo di esploratori sottomarini, che l`ha soprannominata Hoyo Negro.
L'aspetto di Naia non ricorda quello dei nativi americani, visto che i tratti del suo volto sono molto più simili a quelli che oggi caratterizzano le popolazioni del continente africano. Ma il suo codice genetico dice il contrario e potrebbe porre fine a un acceso dibattito tra gli studiosi sulle origini delle popolazioni che per prime arrivarono nel continente americano.






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