A partire dal 1918, l'epidemia globale di influenza uccise circa 50 milioni di persone. Uno studio spiega perché colpì soprattutto i giovani.
Nel 1918 un'epidemia di influenza - soprannominata "spagnola" - cominciò a diffondersi in tutto il mondo e nel giro di pochi anni finì per uccidere circa 50 milioni di persone. Gran parte delle vittime erano giovani sani tra i 18 e i 29 anni di età, una fascia di popolazione che di solito è più resistente a questo tipo di infezione. Perché? Un gruppo di scienziati ritiene di aver trovato la soluzione a un mistero che da quasi un secolo appassiona gli esperti.
"Fu la più grande epidemia di influenza della storia, eppure gli anziani, che di solito sono i più colpiti dalla malattia, ne furono quasi completamente immuni", spiega Michael Worobey, il biologo della University of Arizona di Tucson che ha diretto la ricerca, pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. Secondo lo studio, i giovani furono particolarmente vulnerabili alla spagnola (che uccise un contagiato su 200) perché da bambini non erano stati esposti a un tipo di influenza simile.
I vari ceppi del virus dell'influenza si distinguono secondo le caratteristiche di due proteine: l'emoagglutinina (in sigla H) e la neuramidasi (N). Vorobey e i suoi colleghi hanno ricostruito la storia evolutiva dei ceppi dominanti a partire dal 1830, scoprendo che nel 1889 c'era stata un'epidemia - la cosiddetta "influenza russa" - dovuta a virus di ceppo H3N8. Il virus della spagnola - composto da geni provenienti da un ceppo di influenza umana "mescolati" a geni dell'influenza aviaria - era invece di tipo H1N1: chi dunque era nato dopo il 1889 non aveva sviluppato difese immunitarie adatte a combatterlo. Dopo il 1900, invece, si era diffuso un altro virus del tipo H1, più simile a quello del 1918: ecco perché anche i ragazzi sotto i 18 anni furono relativamente meno colpiti dalla spagnola. Insomma i giovani tra i 18 e i 29 anni si ritrovarono in una "finestra di vulnerabilità" che li rese vittime ideali.
In un momento in cui si teme una nuova epidemia di influenza aviaria, i risultati dello studio potrebbero aiutare le autorità a programmare meglio la risposta a eventuali infezioni globali, magari variando il tipo di vaccino non sulla base del ceppo di virus predominante in un determinato anno, ma secondo i ceppi a cui le varie fasce della popolazione sono state esposte durante l'infanzia.
Le fluttuazioni dell'influenza
Di solito un ceppo dell'influenza resta dominante per decenni tra la popolazione umana. All'interno dello stesso ceppo emergono poi varietà stagionali, come quella dell'influenza H1N1 che ha causato l'epidemia di aviaria del 2009 e che ha ucciso forse 284 mila persone in tutto il mondo, secondo i calcoli degli U.S. Centers for Disease Control and Prevention.
"Le variazioni stagionali sono un fenomeno normale: ecco perché ogni anno vengono prodotti vaccini specifici per proteggere la popolazione", spiega Michael gale, Jr., immunologo della University of Washington di Seattle.
Alla base della ricerca sulla spagnola, spiega Worobey, c'è stata la scoperta che i geni dell'influenza si evolvono a diverse velocità a seconda delle specie, che siano uccelli, maiali o esseri umani. Nei polli, ad esempio, l'evoluzione è più veloce. Tenendo conto di questa diversità e ricalcolando l'evoluzione dei ceppi di virus per ciascuna delle specie portatrici, il team di ricercatori ha potuto ricostruire il quadro della letale epidemia del 1918. Questa non fu causata da un'improvvisa "migrazione" di geni dell'aviaria verso il ceppo dell'influenza umana, ma di uno spostamento progressivo a partire dal 1900. In un ceppo già esistente, dunque, si verificò una variazione nel tipo di emoagglutinina, e fu questo a rendere la "spagnola" particolarmente virulenta.
Alla ricerca del vaccino universale
Complessivamente, sostengono i ricercatori, lo studio dà motivi di speranza. A uccidere gran parte delle vittime della spagnola non fu l'influenza vera e propria, ma un'infezione polmonare secondaria, di origine batterica, che oggi sarebbe curabile con gli antibiotici.
"Se il ceppo del 1918 fosse stato di per sé particolarmente letale, allora nel momento in cui si ripresentasse un'epidemia simile ci sarebbero ben poche soluzioni", spiega Worobey. "Ma se la virulenza della spagnola era dovuta solo al fatto che molte persone non erano state esposte al ceppo in precedenza, possiamo essere più fiduciosi nella possibilità di trovare una cura".
In questo caso, i produttori dovrebbero variare gli ingredienti dei vaccini a seconda delle diverse fasce di età, in modo da difendere le persone dai ceppi di virus a cui non sono stati esposti durante l'infanzia, l'età in cui è più facile contrarre l'influenza.
"È un passo avanti verso l'ideazione di un vaccino universale che prevenga tutti i tipi di influenza", conclude Wowobey: un vaccino che non si limiti a combattere il ceppo stagionale dominante.
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