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15 Settembre 2013 MISTERO
di Robert Kunzig http://www.nationalgeographic.it
Fu una cometa a causare l'estinzione dei mammut?
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tempo di lettura previsto 11 min. circa

La risposta potrebbe aiutarci anche a capire i cambiamenti climatici attuali. Ma sull'ipotesi gli scienziati litigano da anni.

Cosa portò alla scomparsa dei mammut, dei mastodonti e del resto della megafauna che un tempo popolava l'America del Nord?

Ecco alcune delle ipotesi formulate dagli scienziati:

1) gli esseri umani li sterminarono;

2) non riuscirono ad adattarsi al clima che seguì all'era glaciale;

3) una cometa incandescente provocò incendi, venti a centinaia di chilometri all'ora e violenti tornado sull'intero continente, distruggendo gli strati di ghiaccio che allora ricoprivano l'America del Nord, e forse anche scavando i bacini dei Grandi Laghi.

La terza opzione è la più controversa.

L'ipotesi che una cometa abbia colpito la Terra 12.900 anni fa, all'inizio di un insolito periodo di raffreddamento climatico chiamato il Dryas recente, fu avanzata per la prima volta nel 2007. Ecco le ultime scoperte che hanno riacceso l'aspro dibattito scientifico che, da allora, si rianima periodicamente.

In Pennsylvania una donna che aveva visto un programma televisivo sull'ipotesi della cometa ha trovato alcune minuscole "sferule" vetrose di roccia in un'aiuola. In un recente articolo che ha goduto di ampia visibilità, alcuni ricercatori dell'Università di Dartmouth ipotizzano che quelle sferule siano state scagliate sulla Pennsylvania a causa di un impatto che sarebbe avvenuto in Quebec 12.900 anni fa.

Il ritrovamento di tracce di platino nei depositi di ghiaccio della Groenlandia rende plausibile l'ipotesi che sia avvenuto un impatto in un periodo compatibile con questo. Alcuni ricercatori di Harvard ritengono probabile che quel platino sia di origine extraterrestre; tuttavia non verrebbe da una cometa, ma da un raro tipo di meteorite ricco di ferro.

Altre sferule sono state ritrovate in Siria. In un recente articolo, alcuni scienziati che avevano avanzato l'ipotesi dell'impatto, sostengono che, in seguito allo scontro, dieci milioni di tonnellate di sferule si sarebbero sparse su un'area di 50 milioni di chilometri quadrati, che si estende dalla Siria, attraverso l'Europa, fino alla costa occidentale dell'America del Nord.

Alcuni tra i detrattori dell'ipotesi - e sono molti - la detestano a tal punto da aver tentato di dichiararla morta. Ecco le parole di Nicholas Pinter della Southern Illinois University: "L'unica cosa che posso dire, a questo punto, è che la letteratura a favore dell'ipotesi dell'impatto ha ormai oltrepassato i confini della scienza. A promuoverla è una sola rivista scientifica", che sarebbe Proceedings of the National Academy of Science.

Altri ricercatori, invece, cercano di mantenere un atteggiamento di maggiore apertura mentale.

"La maggior parte degli scienziati ha tentato di confutarla", dice Wallace Broecker, geochimico e scienziato del clima del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University. "Presto dovranno ammettere che c'è del vero", anche se, forse, soltanto in una o due sferule.

Perché studiare quell'epoca?

Anche se non si fosse particolarmente interessati ai mammut, questo dibattito è comunque importante perché riguarda il tema della variabilità del clima della Terra. È necessario un impatto con un oggetto extraterrestre perché diventi incontrollabile, o questo può accadere anche senza interferenze esterne?

Si presume che l'impatto che avrebbe causato la scomparsa dei mammut abbia anche determinato l'inizio del Dryas recente. A quel tempo, 12.900 anni fa, gli strati di ghiaccio continentali dell'ultima era glaciale si stavano ritirando e il pianeta aveva quasi raggiunto una temperatura simile a quella attuale.

Improvvisamente, però, nell'arco di pochi decenni, le temperature si abbassarono drasticamente, ritornando glaciali, e il ghiaccio guadagnò di nuovo terreno. Il gelo durò ben 1.500 anni, e poi finì, ancora più repentinamente di come era cominciato.

Negli anni Ottanta Broecker contribuì a dare al Dryas recente un'ampia attenzione. Spiegò l'improvvisa ondata di freddo con un meccanismo interno al sistema climatico terrestre.

All'inizio del Dryas recente, spiega, il flusso di un insieme di correnti oceaniche che solitamente riscalda l'Oceano Atlantico - la Corrente del Golfo ne fa parte - venne bloccato dall'acqua dolce di fusione proveniente dagli strati di ghiaccio che si stavano sciogliendo. Per questo la regione dell'Oceano Atlantico ricadde nel gelo.

Il Dryas recente divenne il paradigma dell'idea della variabilità intrinseca del clima della Terra, della sua capacità di cambiare drasticamente all'improvviso. Quest'idea rende la prospettiva di un futuro cambiamento climatico ancora più preoccupante.

È plausibile che una cometa possa aver dato il via al Dryas recente, contribuendo a rompere gli strati di ghiaccio e a far arrivare l'acqua di fusione nell'Oceano Atlantico. Dovrebbe essersi trattato di una cometa molto grande, con un'energia pari a un milione di volte quella del bolide che scavò il Meteor Crater in Arizona, che è largo più di un chilometro.

Il problema è che non è stato mai ritrovato alcun cratere, Ma i sostenitori dell'ipotesi ribattono che la cometa potrebbe anche essere esplosa in volo, producendo diversi impatti più piccoli.

In cerca di metalli di meteorite

Oggi Mukul Sharma di Dartmouth e i suoi colleghi sostengono che, da qualche parte in Quebec, almeno un impatto sia avvenuto. La loro conclusione si basa su un'analisi molto complicata della terra del cortile di casa di Yvonne Malinowski a Melrose, in Pennsylvania.

Allen West, geologo a favore dell'ipotesi dell'impatto, ha spedito a Sharma campioni di sedimenti provenienti da una dozzina di siti, tra i quali Melrose, che riteneva potessero contenere le tracce di un impatto avvenuto nel Dryas recente. Uno studente di Sharma, Yingzhe Wu, ha analizzato i sedimenti in cerca di osmio, un metallo raro nella crosta terrestre ma molto più abbondante nei meteoriti.

Come l'iridio, altro componente del gruppo del platino, l'osmio è considerato una prova affidabile dell'impatto con un oggetto extraterrestre. La prova definitiva del fatto che fu l'impatto con un asteroide a causare l'estinzione dei dinosauri 65 milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo, è rappresentata da un grande cratere scoperto nella Penisola dello Yucatan. All'inizio, però, la scoperta venne ricondotta a uno strato radioattivo ricco di iridio che si registra in modo inequivocabile in tutto il mondo.

I segreti delle sferule

Con i suoi campioni del Dryas recente Sharma non è stato così fortunato.

"I sedimenti non contenevano osmio di meteorite", dice. Ma lui e Wu non si arrendono, e ipotizzano che forse la quantità di osmio nel meteorite era troppo esigua per poterla rilevare nella maggior parte dei sedimenti.

Gli studiosi hanno poi deciso di soffermarsi sulle singole sferule trovate nella terra di Melrose. Le sferule sono minuscoli grani di vetro di dimensioni tra il micron e i 5 millimetri. Si formano quando le rocce o il terreno, per qualche ragione, si fondono e poi si raffreddano in modo molto rapido.

A produrre le sferule possono essere impatti con meteoriti, ma anche vulcani, fulmini e altoforni. Distinguere quelle dovute a un impatto dalle altre non è semplice.

Secondo Sharma, la forma delle sferule di Melrose - alcune erano a forma di goccia - farebbe pensare che si siano raffreddate e solidificate in volo. La presenza di specifici minerali, tra cui granelli di ferro puro, hanno mostrato che si sarebbero formate a temperature superiori ai 2.000 gradi, simili a quelle che si raggiungono nella parte più calda di un altoforno.

Vicino a Melrose non c'è mai stato alcun altoforno: "Questo ci induce a pensare che probabilmente le sferule si siano formate per l'impatto con un meteorite", spiega Sharma.

Quando i ricercatori, tuttavia, hanno analizzato le singole sferule, ancora una volta non sono riusciti a trovare osmio di origine meteoritica. Tuttavia, nei rapporti isotopici tra osmio e neodimio, hanno trovato una caratteristica chimica che si riscontra in modo simile anche nelle rocce del Quebec risalenti a 1.5 miliardi di anni fa.

Questo li ha portati a concludere che sia stato l'impatto con un meteorite in Quebec a scagliare minuscoli pezzetti di vetro su Melrose.

Altri scienziati mettono in dubbio questa loro conclusione. Bill Glass della University of Delaware, autore di un trattato sulle sferule prodotte da impatti, spiega che di solito sono quasi perfettamente sferiche o a forma di goccia, mentre quelle trovate a Melrose sono più irregolari.

"Non credo che le presunte sferule di Melrose siano state prodotte da un impatto", continua. "La mia ipotesi è che si tratti di qualche tipo di contaminazione".

Jay Melosh, studioso di pianeti e di impatti della Purdue University - che è stato uno dei primi a proporre la teoria per cui l'estinzione dei dinosauri nel Cretaceo venne causata da un impatto - sembra non approvare, più in generale, il modo di ragionare dei ricercatori di Dartmouth.

"In sostanza si riassume così: 'va bene, non capiamo cosa sia successo: deve essere stato un impatto', dice Melosh. "È un modo di pensare che è molto diffuso, che quasi sempre porta alla conclusione sbagliata. Gli impatti sono tra le cose più rare da trovare sulla superficie terrestre. Servono test molto convincenti per provare che ne sia avvenuto uno. E questo che secondo loro sarebbe avvenuto nel Dryas recente non li supera".

Una prova più convincente?

Anche se le sferule di Melrose si fossero originate da un impatto, non ci sarebbe modo di sapere se questo sia avvenuto all'inizio del Dryas recente; gli strati di terra sul sito non sono stati datati in modo preciso.

Questo problema non riguarda i ricercatori che studiano le carote di ghiaccio in Groenlandia, che consentono invece di ottenere una scansione temporale precisa del cambiamento climatico che si verificò durante l'ultima era glaciale. In quelle carote si possono contare gli strati di neve che si depositarono ogni anno come gli anelli degli alberi, fino al Dryas recente e anche oltre.

Per mettere alla prova in modo più rigoroso l'ipotesi dell'impatto nel Dryas recente, Michail Petaev, Shichun Huang, Stein Jacobsen e Alan Zindler di Harvard hanno deciso di cercare iridio in una carota di ghiaccio della Groenlandia. I loro risultati sono stati pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences a luglio. "Ci aspettavamo di non trovare nulla", dice Petaev.

E infatti non hanno trovato iridio.

Ma, con loro stessa sorpresa, i ricercatori hanno rilevato un picco pronunciato di platino che risale esattamente a 12.900 anni fa. La concentrazione di platino nel ghiaccio aumentò di più di cento volte nei 20 anni seguenti, per poi diminuire di nuovo.

È più o meno il profilo che ci si aspetterebbe per la polvere della stratosfera dopo un impatto con un meteorite, o forse dopo una serie di impatti, continua Petaev.

La maggior parte dei meteoriti contengono quantità simili di iridio e di platino. Un tipo più raro, chiamato meteorite di ferro magmatico, però, è invece ricco di platino ma povero di iridio.

È possibile che un tale meteorite, di dimensioni molto piccole, sia piombato proprio sulla parte di Groenlandia da cui, 12.900 anni più tardi, i ricercatori avrebbero estratto una carota di ghiaccio. In altre parole, il picco di platino potrebbe essere veritiero, ma potrebbe trattarsi di una coincidenza che non ha nulla a che fare con i mammut del Dryas recente.

D'altra parte, è anche possibile che ci sia invece uno strato di platino su tutto il globo che attende di essere scoperto, come lo strato di iridio che ha costituito la prova dell'impatto nel Cretaceo.

Il gruppo di Harvard ha calcolato che, per depositare sul mondo una quantità di platino analoga a quella che è stata trovata in Groenlandia - circa 30 parti per trilione - quel meteorite avrebbe dovuto misurare poco meno di un chilometro.

L'impatto con un oggetto roccioso di quelle dimensioni avrebbe lasciato un cratere notevole, ma, ancora una volta, non sono stati trovati crateri risalenti al Dryas recente. "Scommetterei sul fatto che l'evento non sia stato di proporzioni globali", dice Melosh.

La prova definitiva, però, si avrà quando si potrà osservare se quel picco di platino si trova anche negli strati delle carote di ghiaccio corrispondenti al Dryas recente in Antartide. Gli scienziati sono certi di scoprirlo presto.

Deus Ex o In Machina?

I detrattori dell'ipotesi dell'impatto hanno posto ogni tipo di obiezione, oltre a quella dell'assenza di un cratere.

Forse la più semplice è che potrebbe non servire un tale deus ex machina per spiegare il dramma che si svolse sulla Terra 13 millenni fa. La caccia da parte degli esseri umani o il cambiamento del clima, o la loro combinazione, sono fattori sufficienti per spiegare la scomparsa dei mammut e del resto della megafauna dell'era glaciale.

Le oscillazioni interne del sistema climatico terrestre sono sufficienti a spiegare lo stesso Dryas recente, e i rilevamenti effettuati per risalire al clima dell'era glaciale provano che avvennero molte altre variazioni climatiche improvvise simili prima del Dryas recente. "Non si può pensare che ognuno di questi cambiamenti sia stato scatenato da un fattore extraterrestre", dice Broecker.

Ma il fatto che l'impatto non sia una condizione necessaria perché iniziasse il Dryas recente non significa che non sia avvenuto.

Se nel Dryas recente si fosse verificato un impatto, forse avrebbe soltanto amplificato i fattori destabilizzanti che si trovavano già sulla Terra: cause extraterrestri e terrestri non si escludono a vicenda. "L'idea è che il sistema tenda verso l'instabilità, ma da solo non riesca a realizzarla", dice Broecker. "Quindi un impatto rappresenta il colpo di grazia".

"Se però non fosse stato un impatto a dare il via al Dryas recente, questa fase si sarebbe comunque presentata più tardi", dice.

I ricercatori, aggiunge Broecker, stanno compiendo soltanto i primi passi negli studi volti a "determinare cosa sia stato o meno causato da un impatto. Molte persone dovranno ancora dedicare molto tempo a queste ricerche".

TAG: Dinosauri