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30 Maggio 2013 STORIA
di Jane J. Lee http://www.nationalgeographic.it
NIENTE NOBEL, SIAMO DONNE
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Discriminate da un mondo accademico maschilista, molte scienziate si sono viste negare il giusto riconoscimento. Ecco sei casi fra i più clamorosi.

Ad aprile, Christie's ha battuto per 6 milioni di dollari la lettera in cui lo scienziato Francis Crick descriveva al figlio dodicenne il DNA. Nel 1962, Crick, assieme ai colleghi James Watson e Maurice Wilkins vinse il Premio Nobel per aver scoperto la struttura del DNA.

Per molti, è stata un'occasione per ricordare un nome che mancava fra quelli incoronati nella cerimonia a Stoccolma: Rosalind Franklin (nella foto), la biofisica inglese che lavorò alla ricerca fornendo dati essenziali per Crick e Watson, ma il cui lavoro rimase privo di riconoscimenti.

Franklin non fu la prima donna ad aver subito le ingiustizie di un mondo, come quelo della scienza, dominato dai maschi, ma il suo caso è forse uno dei più plateali, commenta Ruth Lewin Sime, professoressa di chimica in pensione del Sacramento City College e studiosa della scienza al femminile.

Casi come quelli di Marie Curie o di Rita Levi Montalcini spiccano ancora come eccezioni: nei secoli, molte donne hanno lavorato come "volontarie" nelle università, hanno visto assegnare il merito delle proprie ricerche e delle loro scoperte a colleghi maschi, e hanno finito per essere dimenticate dai libri di testo.

Con poche risorse a disposizione e lottando duramente per ottenere risultati importanti, tante donne hanno finito per vederli "attribuiti ai mariti o ai colleghi di sesso maschile", dice Anne Lincoln, una sociologa della Southern Methodist University in Texas, che ha studiato i pregiudizi nei confronti delle donne in ambito scientifico.

Oggi l'atteggiamento nei confronti delle donne che lavorano nella scienza è cambiato, dice Laura Hoopes del Pomona College in California, ma la diffidenza nei loro confronti è tutt'altro che svanita.

In questa fotogalleria, presentiamo sei scienziate che hanno svolto ricerche fondamentali, ma i cui nomi forse non vi diranno molto: e la ragione è, semplicemente, che sono donne.

Jocelyn Bell Burnell

Nata in Irlanda del Nord nel 1943, Jocelyn Bell Burnell nel 1967 scoprì le pulsar mentre era una studentessa di dottorato in radioastronomia a Cambridge.

Le pulsar sono i resti di stelle massicce diventate supernove. La loro stessa esistenza dimostra che quelle stelle gigantesche non scompaiono nel nulla, ma lasciano dietro di sé delle piccole stelle rotanti, incredibilmente dense.

Bell Burnell individuò i segnali ricorrenti rilasciati dalla loro rotazione analizzando qualcosa come 5 chilometri di carta su cui erano riportati i dati di un radio telescopio che stava contribuendo ad assemblare.

Il risultato venne giudicato nel 1974 meritevole di un premio Nobel per la fisica, che però venne assegnato a Anthony Hewish - il supervisore di Bell Burnell - e a Martin Ryle, un altro radioastronomo di Cambridge.

Ciò generò un'ondata di simpatia per Bell Burnell, che in una recente intervista a NG ha detto: "L'idea che la gente aveva all'epoca della scienza è che fose una cosa da uomini di una certa età che avevano sotto di sè una pletora di assistenti a cui non era richiesto di pensare, ma di fare ciò che veniva loro detto".

Nonostante la simpata nei suoi riguardi e lo straordinario lavoro svolto, Bell Burnell - oggi visiting astronomy professor alla University of Oxford - continuò a subire il trattamento riservato alle donne in ambito accademico.

"Non mi sono sempre occupata di ricerca", spiega: molte delle posizioni da astrofisico che le venivano offerte erano in ruoli amministrativi.

Inoltre, prosegue la scienziata, "era difficilissimo conciliare famiglia e carriera": l'università per cui lavorava, ad esempio, non contemplava il congedo di maternità.

Da allora a oggi, l'astrofisica è diventata piuttosto protettiva nei confronti delle donne in ambito accademico; se alcune istituzioni forniscono supporto, Bell Burnell ritiene necessario un sistema più consolidato e diffuso per aumentare il numero delle donne che fanno ricerca.

Di recente ha presieduto un gruppo di lavoro della Royal Society of Edinburgh, incaricato di individuare una strategia per incrementare in Scozia la presenza femminile in settori quali scienza, tecnologia, ingegneria e matematica.

Esther Lederberg

Nata nel 1922 nel Bronx, microbiologa, Esther Lederberg ha posto le basi per numerose scoperte nel campo dell'ereditarietà genetica nei batteri, nella regolazione e nella ricombinazione genica.

La sua scoperta più famosa è forse il batteriofago lambda, un virus che infetta i batteri, da lei isolato nel 1951, mentre lavorava all'Università del Wisconsin.

Assieme al suo primo marito, Joshua Lederberg, Esther mise a punto anche una tecnica per trasferire le colonie batteriche da una capsula di Petri all'altra, permettendo lo studio della resistenza agli antibiotici. Il metodo Lederberg, detto anche replica plating o piastratura delle repliche, viene usato tuttora.

Anche grazie all'invenzione del metodo, Joshua Lederberg fu premiato con il Nobel per la medicina del 1958, che condivise con George Beadle e Edward Tatum.

Esther invece non ottenne mai il Nobel. "Eppure lo avrebbe meritato per la scoperta del batteriofago lambda, il suo lavoro sul fattore di fertilità F, e soprattutto per la piastratura delle repliche", sostiene Stanley Falkow, microbiologo in pensione e suo collega all'Università di Stanford.

Esther Lederberg fu anche discriminata all'Università, aggiunge Falkow, che nel 2006 tenne l'elogio funebre della scienziata. "Ha dovuto combattere anche solo per essere nominata professore associato, mentre meritava sicuramente il posto di ordinario. Ma il suo non era certo l'unico caso: a quell'epoca le donne erano trattate molto male nel mondo accademico".

Chien-Shiung Wu

Nata a Liu Ho, in Cina, nel 1912, Chien-Shiung Wu rovesciò completamente una legge della fisica e partecipò alla costruzione della bomba atomica.

Wu fu reclutata dalla Columbia University negli anni Quaranta e partecipò al Progetto Manhattan - quello che appunto portò alla costruzione della bomba - facendo ricerca nel campo della rilevazione delle radiazioni e dell'arricchimento dell'uranio. Dopo la guerra restò negli Stati Uniti e divenne una dei migliori fisici sperimentali dell'epoca, assicura Nina Byers, docente di fisica in pensione dell'Università della California di Los Angeles.

A metà degli anni Cinquanta due fisici teorici, Tsung-Dao Lee e Chen Ning Yang, si rivolsero a Wu perché li aiutasse a mettere alla prova la loro ipotesi sulla parità in meccanica quantistica. Fino ad allora si riteneva che due sistemi fisici (ad esempio due atomi) che fossero uno lo specchio dell'altro si sarebbero comportati sempre allo stesso modo. Usando per i suoi esperimenti il cobalto 60, un isotopo radioattivo del cobalto, Wu contribuì a falsificare questa legge, introducendo il concetto della violazione di parità.

Fu una pietra miliare nella storia della fisica, che nel 1957 valse il premio Nobel a Yang e Lee. Ma Wu fu ignorata: "Fu uno scandalo", ricorda Byers.

Pnina Abir-Am, storica della scienza alla Brandeis University, aggiunge che oltre al genere anche l'origine etnica penalizzò Wu. La scienziata è morta a New York nel 1997.

Lise Meitner

Nata a Vienna nel 1878, Lise Meitner diede un contributo essenziale alla scoperta della fissione atomica - la capacità di spezzare in due il nucleo atomico - che a sua volta condusse alla messa a punto della bomba atomica.

Nel corso della sua vita Meitner subì ogni tipo di discriminazione: di genere, politica ed etnica.

Dopo aver conseguito un dottorato in fisica all'Università di Vienna, Meitner si trasferì a Berlino nel 1907, e cominciò una collaborazione con il chimico Otto Hahn che sarebbe durata per più di trent'anni.

Dopo l'annessione dell'Austria alla Germania nazista, nel 1938, Meitner, che era ebrea, fuggì a Stoccolma, da dove continuò a collaborare con Hahn per corrispondenza. I due si incontrarono anche in segreto a Copenaghen nel novembre di quell'anno.

Hahn aveva condotto esperimenti che corroboravano l'idea della fissione nucleare, ma non era in grado di elaborare una teoria che spiegasse i risultati. Furono Meitner e suo nipote, Otto Frisch, a mettere a punto quella teoria.

Hahn pubblicò i risultati senza citare Meitner come coautrice. Secondo diversi resoconti dell'epoca, la scienziata comprese che l'omissione era inevitabile data la situazione nella Germania nazista.

"Fu così che a Meitner cominciò a essere negato il merito della scoperta della fissione", spiega Lewin Sime, che ha scritto una biografia della scienziata.

Ma Meitner fu discriminata anche per via del suo genere. Una volta scrisse a un amico che essere donna in Svezia era quasi un delitto. Un ricercatore che faceva parte del comitato del Nobel si impegnò attivamente perché fosse esclusa. Così, il premio per la chimica del 1944 andò al solo Otto Hahn per le sue ricerche sulla fissione nucleare.

"Tutti i suoi colleghi dell'epoca, compreso il grande fisico Niels Bohr, non avevano dubbi sul fondamentale contributo di Meitner alla scoperta della fissione", spiega ancora Sime. Ma poiché il suo nome non era mai comparso su quel primo articolo firmato da Hahn, e poiché il Nobel l'aveva trascurata, i meriti di Meitner furono a lungo ignorati. La scienziata morì nel 1968 a Cambridge, in Inghilterra.

Nettie Stevens

Nata nel Vermont nel 1861, Nettie Stevens condusse ricerche fondamentali per stabilire che il sesso di un organismo è dettato dai suoi cromosomi e non da altri fattori.

Dopo aver conseguito il dottorato al Bryn Mawr College, in Pennsylvania, Stevens restò nell'ateneo come ricercatrice nel campo della determinazione del sesso.

Studiando i vermi della farina, Stevens riuscì a stabilire che lo sperma dei maschi conteneva entrambi i cromosomi che determinano il sesso, X e Y, mentre le cellule riproduttive delle femmine contenevano solo il cromosoma X. Fu la prova del fatto che il sesso di un organismo è determinato dal suo patrimonio genetico.

Nettie Stevens fu tra le prime vittime del cosiddetto "effetto Matilda", la negazione del ruolo delle donne nella ricerca scientifica. Il merito della scoperta delle basi genetiche della determinazione del sesso viene infatti spesso attribuito a Thomas Hunt Morgan, un genetista molto noto al tempo: fu lui a scrivere uno dei primi manuali di genetica, ingigantendo il suo contributo alla materia.

"C'è questa terribile abitudine per cui i libri di testo tendono a reperire informazioni dai libri di testo precedenti", spiega la storica Laura Hoopes. Così, il nome di Nettie Stevens fu a lungo ignorato.

Eppure non c'è dubbio che Morgan dovesse molto al lavoro della studiosa. "Morgan corrispondeva con altri scienziati in merito alle sue teorie", continua Hoopes. "Ma nelle sue lettere a Nettie Stevens si limitava a chiederle i dettagli dei suoi esperimenti. Quando poi Stevens morì, nel 1912, Morgan scrisse un articolo in cui sosteneva che lei avesse una visione limitata della scienza. Ma solo perché non le aveva fatto abbastanza domande".

Rosalind Franklin

ata a Londra nel 1920, Rosalind Franklin usò i raggi X per scattare una fotografia del DNA che cambiò per sempre la storia della biologia.

Il suo è forse il caso più conosciuto - e più vergognoso - di disconoscimento dei meriti di una scienziata, sostiene lo storico Lewin Sime.

Franklin conseguì un dottorato in chimica fisica all'Università di Cambridge nel 1945, poi studiò per tre anni a Parigi apprendendo il metodo della diffrazione dei raggi X, con cui è possibile determinare la struttura molecolare dei cristalli.

Tornò in Inghilterra nel 1951 come ricercatrice associata King's College di Londra, assegnata al laboratorio di John Randall. Qui incontrò Maurice Wilkins, che guidava un altro gruppo di ricerca sulla struttura del DNA.

Franklin e Wilkins lavorarono a progetti separati, ma a quanto pare Wilkins equivocò il ruolo della collega, ritenendo che fosse una semplice assistente e non il capo del suo gruppo di ricerca.

Nel frattempo, a Cambridge, James Watson e Francis Crick stavano anch'essi cercando di determinare la struttura del DNA. Comunicarono con Wilkins, che a un certo punto mostrò loro la cosiddetta Foto 51, scattata da Franklin, senza che lei ne sapesse nulla.

Grazie alla Foto 51, Watson, Crick e Wilkins riuscirono a determinare l'esatta struttura del DNA, cui dedicarono una serie di articoli pubblicati dalla rivista Nature nell'aprile del 1953. Anche Franklin pubblicò un articolo sullo stesso numero, fornendo ulteriori dettagli.

Furono però solo Watson, Crick e Wilkins a ricevere il premio Nobel, nel 1962, quando Franklin era già morta da quattro anni.

TAG: DNA, Nazismo