In 50 anni di era spaziale gli esperimenti svolti in orbita sono stati cruciali per comprendere il comportamento delle cellule tumorali.
La forza di gravità cambia il comportamento delle cellule. Studiarle in una condizione di microgravità, come quella che si sperimenta nella bassa orbita terrestre, da 10.000 a un milione di volte meno forte della gravità terrestre, consente di capire meglio come le cellule si comportino e cosa può andare storto in presenza del cancro.
Ma come è possibile che nello spazio si studi il cancro meglio che sulla Terra? "Togliendo la forza di gravità", spiega la biologa cellulare Jeanne Becker, direttore esecutivo del Center for the Advancement of Science in Space, e amministratore del laboratorio nazionale Usa a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, "si possono smascherare cose non si riescono a vedere sulla Terra". Per esempio? "Quando la forza gravitazionale è ridotta la forma delle cellule cambia, il modo in cui crescono cambia, i geni che attivano cambiano, le proteine che producono cambiano", spiega la ricercatrice, tra gli autori di un articolo sull'argomento appena pubblicato su Nature Reviews Cancer.
In pratica studi controllati condotti in microgravità possono aumentare la nostra comprensione del ruolo cruciale giocato dalla gravità nella crescita e nel funzionamento delle cellule tumorali. La produzione di cellule di cancro in laboratorio che ha lo scopo di studiarne il comportamento e la reazione ai farmaci, per esempio, porta con sé un errore di fondo. Le cellule si presentano in strati appiattiti dentro una capsula di Petri, un piatto da laboratorio, ma questo non permette di capire come interagiscano tra loro in maniera complessa in tre dimensioni.
"Coltivando cellule tumorali in tre dimensioni, la loro risposta ai farmaci è notevolmente diversa", spiega Becker. "Diventano più resistenti ai farmaci". Grazie a questa consapevolezza, acquisita facendo esperimenti nello spazio, è stato possibile col tempo mettere a punto strumenti di laboratorio che imitano la microgravità sulla Terra permettendo agli studiosi di vedere come si comportano le cellule in modo più realistico.
Per esempio alcuni particolari bioreattori sottopongono le cellule a un continuo rimescolamento, mantenendole più vicine possibile alle condizioni esistenti nello spazio. Altri macchinari usano campi magnetici per far levitare le cellule contrastando l'azione della gravità. Grazie a strumenti come questi è stato possibile analizzare in maniera approfondita una grande varietà di cellule tumorali, da quelle del seno, della cervice e del colon a quelle del fegato, della pelle, dei polmoni, della prostata e così via.
La riproduzione a Terra di meccanismi sperimentati in orbita, però, è tutt'altro che perfetta. Tanto è vero che i risultati ottenuti in esperimenti condotti durante diverse missioni spaziali e a bordo della Stazione Spaziale Internazionale non sembrano essere pienamente replicabili sul nostro pianeta. Durante la sfortunata missione dello Shuttle Columbia del 2003, al rientro dalla quale perse la vita l'intero equipaggio e la navicella fu distrutta, esperimenti svolti a bordo i cui risultati furono trasmessi a suolo dimostrarono che cellule del tumore della prostata coltivate nello spazio crescevano fino a raggiungere una struttura delle dimensioni di una palla da golf. Le stesse cellule coltivate nei bioreattori in laboratori terrestri arrivavano a un massimo di 3-5 millimetri.
Lo spazio resta quindi la vera frontiera per lo studio dei comportamenti delle cellule tumorali; del resto gli esperimenti condotti in orbita hanno già portato diversi benefici pratici anche in termini di cure. Sono ricerche svolte nello spazio che per esempio hanno migliorato la tecnologia della microincapsulazione, che ha permesso di sviluppare nuovi più efficaci sistemi di rilascio dei farmaci tumorali.
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