Gli occhi spenti di Hapy si animano di riflessi verdastri alla luce della torcia subacquea. Gli archeologi della spedizione francese di Franck Goddio gesticolano tra loro in 8 metri acqua, incapaci di trattenere l'emozione. Quella colossale statua di granito è ancora in piedi, affondata fino alle spalle nel fango della baia di Abukir, 4 miglia al largo della linea di costa attuale, lungo l'incerto confine fra terra, acqua e limo costruito nel corso dei millenni dal delta del Nilo. Dalle acque limacciose del mare di Alessandria d'Egitto erano già riemersi i contorni delle antiche città di Canopus, Herakleion, Thonis e Menuthis. Sta tue, iscrizioni e reperti avevano raccontato secoli di storia dimenticata. Ma ora il busto ciclopico di Hapy sembra riassumere cinque anni di lavoro e svelare anche il tragico epilogo di quella inedita Atlantide egizia, sprofondata 1.300 anni fa alle foci del Nilo.
Hapy era il dio del fiume e della fertilità, colui che vegliava sulle piene e sulla vita stessa dell'Egitto. Il miracolo si rinnovava ogni estate, disegnando un nastro verde di campi coltivati lungo gli ultimi mille chilometri del grande fiume.
Erano state le piene stagionali del Nilo a far nascere 5.000 anni fa una delle civiltà più raffinate del Mediterraneo. E molto probabilmente furono proprio alcune disastrose alluvioni che modificarono il corso del Nilo, fecero sprofondare chilometri di costa e segnarono il destino di Herakleion e Canopus. Rispetto ai più noti siti archeologici del deserto, i templi, le tombe e le sfingi sommerse tra le sabbie, il delta del Nilo aveva restituito ben poco delle sue ricchezze. Unica eccezione la celeberrima stele di Rosetta, un testo bilingue trovato dalla spedizione napoleonica del 1798, che consentì al francese Champollion, tra il 1822 e il 1824, di decifrare il linguaggio dei geroglifici.
Il fantasma di Napoleone sembra aver guidato nella baia di Abukir anche Franck Goddio. Laureato alla prestigiosa Ecole Polithecnique, a lungo consulente delle Nazioni Unite per l'Estremo Oriente, cominciò ad appassionarsi all'archeologia subacquea alla fine degli anni '70, cercando i relitti di antiche giunche e galeoni spagnoli nelle acque delle Filippine. Fu la sua passione per i relitti a portarlo nel 1996 anche nella rada di Abukir, dove nel 1798 l'inglese Nelson aveva colato a picco la nave ammiraglia della flotta di Napoleone. Vennero recuperate monete francesi e cannoni dell' Orient, ma quelle acque nascondevano tesori ben più antichi. E Goddio, con la fortuna tipica di molti dilettanti e con strumenti hi-tech capaci di vedere anche sotto metri di fanghiglia, imbroccò subito la pista giusta. I radar subacquei disegnarono infatti i contorni di una grande città sommersa. Pur costretti a lavorare con una visibilità minima i subacquei si imbatterono in un primo ritrovamento eccezionale. E´ una stele in marmo nero alta 2 metri, fitta di geroglifici. Nell'anno 380 a.C., vi si legge, il faraone Nectanebo dedicava il 10 per cento delle tasse imposte ai mercanti greci del delta a favore del tempio di Amon, nella città di Thonis.
Ancora prima che Alessandro Magno creasse la città dedicata al suo nome (famosa in tutto il mondo antico per la sua ricchissima biblioteca, il porto e il Faro, una delle Sette Meraviglie del Mondo), lungo l'estuario centrale del Nilo sorgevano porti, città e templi. Erodoto e Strabone celebrano l'importanza commerciale di Herakleion la città greca che si sovrappose all'ancora più antica Thonis egizia. In uno spirito di tollerante sincretismo religioso, il culto di Khonsu, figlio di Amon, il dio-Sole, si era fuso con quello di Herakles. Seneca scrive invece parole di disprezzo sui costumi di Canopus, l´antica Menuthis, "la città del vizio e del peccato". La luce antica dei faraoni si spense in un interminabile tramonto all'ombra della Grecia e di Roma, con le dinastie dei Tolomei e il regno di Cleopatra. Ma sappiamo che ancora in epoca cristiana continuava la tradizione di un pellegrinaggio nel delta del Nilo al santuario di Iside.
Dopo avere ottenuto tutti i per messi necessari, Franck Goddio si è gettato nell'avventura con mezzi sempre più imponenti. Oggi ha a disposizione un catamarano specializzato e una squadra di 25 tecnici. Nonostante le difficoltà legate alla torbidità dell'acqua e ai bassi fondali, sono stati setacciati 80 ettari di territorio archeologico sommerso. Oltre alla ciclopica statua del dio Hapy, gli archeologi hanno strappato dal fango anche i busti pietra di Iside e di una Cleopatra di stile greco-egizio, la testa di un faraone, vasi e reperti di vita quotidiana. Un bottino archeologico straordinario che disegna in maniera sempre più precisa il ruolo delle città alle foci del Nilo. Colmando forse ultima grande lacuna dell'archeologia egiziana.
Le attività in mare sono state sospese da pochi giorni, in vista dell'inverno. Ma intanto prosegue il lavoro paziente di decifrazione dei dati, raccolti dagli scandagli e dai radar subacquei e trasferiti su computer. Si riportano sulle mappe i contorni di case, templi e santuari. Ma soprattutto si cerca di capire il perché della loro scomparsa.
Tutto lascia pensare che la tragedia sia avvenuta rapidamente, anche se in più fasi successive. Sono stati eseguiti carotaggi di terreno, ricostruiti al computer antichi profili di costa e il corso di bracci del fiume oggi scomparsi che hanno lasciato una caratteristica impronta sul fondo marino. Herakleion e Canopus, spiega Goddio, erano state costruite su un terreno infido, intriso d'acqua come una spugna. L´effetto combinato di alcune alluvioni eccezionali e di piccoli terremoti fece letteralmente liquefare le fondamenta delle due città, che sprofondarono di 10 metri sotto il livello del mare. Herakleion nel II secolo d.C., Canopus nell'anno 743. Anche il dio Hapy scomparve allora tra le onde, insieme a quell'ultimo brandello superstite dell'Egitto dei faraoni.
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