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28 Aprile 2011 SCIENZA
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Il cervello umano come un hard disk, può essere salvato
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Il nome di Raymond Kurzweil, alla maggior parte del grande pubblico forse non dirà molto, eppure si tratta di uno dei grandi guru della tecnologia moderna, capace non soltanto di inventare il primo sintetizzatore musicale in grado di imitare perfettamente il suono del pianoforte, superando perciò uno dei grandi limiti degli strumenti a tastiera elettronica, ma anche di preconizzare già negli anni ottanta lo sviluppo di Internet così come la conosciamo ora.

Oltre a questo, Kurzweil ha contribuito al progresso con tecnologie quali il riconoscimento vocale, ma anche con teorie che ne testimoniano il talento visionario, ad esempio quando preconizzò l'avvento di una società moderna in cui tutte le informazioni si potessero ottenere tramite computers collegati in rete, una previsione che al tempo fece alzare più di un sopracciglio...

Pertanto, quando Kurzweil parla di futuro, è bene starlo a sentire. Secondo la sua ultima profezia, entro vent'anni sarà possibile fare una copia dei dati contenuti nel proprio cervello, una sorta di backup che, proprio come il contenuto degli hard disk di oggi, potrà essere salvato comodamente su una sorta di drive USB, e portato con sé per consultarlo tranquillamente secondo necessità, non soltanto dal "proprietario" del cervello copiato, ma da altri e, possibilmente, anche dai suoi eredi dopo la sua morte, per riviverne i ricordi ed accedere ad eventuali conoscenze che il caro estinto non abbia tramandato direttamente, leggendone i dati tramite un motore di ricerca.

Teoricamente, grazie alle nanotecnologie, questo scenario sarebbe già possibile al giorno d'oggi. Sempre grazie alla nanotecnologia, sarà possibile, sempre secondo Kurzweil, impiantare dei microscopici robot all'interno del corpo umano, che scorreranno nelle nostre vene per rilevare e curare le nostre malattie, e per darci indicazioni sul tenore di vita da seguire, i cibi da mangiare e le medicine da assumere. Insomma, una sorta di Grande Fratello dentro ognuno di noi, ma (pare) a fin di bene.

Chissà se in seguito, una volta trovata la tecnologia per fare il backup del nostro cervello, non si possa poi trovare il modo per fare il restore, ossia per reinstallare i dati del cervello di una persona deceduta all'interno di quello di un'altra più giovane, perpetuandone, se non la vita, almeno i ricordi e le conoscenze.

Lo scenario non è esattamente tranquillizzante, ma chissà, tra vent'anni forse si sarà trovato il modo di utilizzare tutta questa conoscenza in maniera costruttiva.

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