Oggi ho pubblicato su La Stampa questo articolo.
C'è chi si prepara a passare almeno una notte in automobile, chi affitta un camper e chi prenota viaggi in paesi lontani. Tutto attorno a una medesima data, l'11 maggio 2011. Manca un mese esatto al catastrofico terremoto che distruggerà Roma e molti cittadini sono apparentati da un unico comune denominatore, mettersi presto alle spalle quella data, che viene agitata dalla voce popolare e dal web come esiziale in base alle teorie di Raffaele Bendandi, il quale avrebbe predetto quella e altre numerose sciagure (103 per la precisione). Ma chi era Raffaele Bendandi? Un illustre sconosciuto che elaborò una curiosa teoria sull'origine dei terremoti, generati da particolari allineamenti planetari, che non ha trovato alcun riscontro scientifico. E come poteva averlo, visto che veniva da un uomo a digiuno di qualsiasi nozione geofisica avanzata, un autodidatta che aveva appena la licenza elementare e che era soltanto rimasto impressionato dal cataclisma del 1908 a Messina? Intanto per cominciare, quella dell'11 maggio a Roma è certamente solo una sciocchezza autoreferenziale tipo leggenda metropolitana, tant'è che non risulta nemmeno nelle carte dello stesso Bendandi (conservate nell'osservatorio di Faenza). Ma non risulta neppure che ne abbia mai azzeccata una. In un biglietto datato 27 ottobre 1914, mostrato dallo stesso Bendandi, egli indicava un forte sisma per il 13 gennaio 1915 in Italia centrale, nozione un po' vaga per significare Avezzano (dove appunto ci furono 40.000 vittime). Il biglietto autografo non era però stato consegnato a un notaio e nessun altro ne seppe alcunché prima del terremoto, così come accadde anche per gli eventi del 1924 nelle Marche o del 1976 in Friuli, spesso riportati come "previsti". Un conto è "prevedere" che fra un mese ci sarà un terremoto in Cile: la cosa è posibile, visto che si tratta di zona sismica e che, in media, subisce qualche migliaio di sismi all'anno, ma dove esattamente? E in che giorno esattamente? Sebbene in scienza sia sempre possibile che uno solo abbia ragione e tutti gli altri torto, a tutt'oggi non è possibile prevedere un terremoto, mentre molto si può fare in termini di prevenzione. Ma quello che colpisce, nella sindrome da terremoto che sta colpendo i romani (amplificata da radio e web), è la nostra naturale inclinazione all'apocalisse, magari in scala ridotta, che riaffiora in molti aspetti della vita quotidiana. Come se ne avessimo un qualche bisogno, per esempio quando rallentiamo per vedere cosa è accaduto nella corsia opposta, dove ci sono auto incidentate, luci della polizia e lenzuoli sulle vittime. O come quando indugiamo per vedere se c'è ancora qualcuno rimasto sotto le macerie di un crollo. Non è solo la rassicurazione che l'abbiamo scampata e che è toccato a qualcun altro. E' qualcosa di più. Forse l'eco lontana delle catastrofi cui siamo scampati quando ci siamo fatti strada nell'evoluzione della vita sulla Terra: il boato cupo del vulcano Toba, che ridusse gli umani a un migliaio appena in tutto il pianeta, o l'apertura della grande frattura del continente africano, che divise per sempre i nostri antenati dalle scimmie antropomorfe. Quindi vai con le profezie Maya e il 21 dicembre 2012, dàgli con Nostradamus e il soprannaturale, o con i terremoti come castigo divino, tutto tranne che fare i conti con i nodi irrisolti del nostro passaggio sul pianeta: estremizzazione del clima, fine delle risorse e nubi radioattive. Forza catastrofe! Purché ridotta e, possibilmente, suggestiva.
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