

Le iscrizioni libiche identificate dai diffusionisti
Il diffusionismo sostiene che l'uomo s'installò sin da tempi
antichi su tutti i continenti e che molteplici furono, sin dall'Antichità,
i rapporti mutui tra le culture delle diverse parti del Globo.
Nel corso degli ultimi trent'anni i diffusionisti, con in testa
il professor Barry Fell, hanno attribuito a popoli provenienti dal
Mediterraneo diverse iscrizioni, ritrovate in Asia, Oceania ed America.
Essi ritengono che antichi Egizi, Celti, Fenici, Iberici, Baschi,
Libici, fossero arrivati alle coste americane, che avessero anche
risalito i fiumi (in particolare il Mississippi con i suoi affluenti)
e che mantenessero regolari rapporti commerciali, documentati da
influssi culturali e stilistici, ma anche da ritrovamenti di statuette
ed iscrizioni, qua e là nel continente americano.
Tra le iscrizioni studiate da Barry Fell spiccano quelle in caratteri
ogam (e lingua celtica), ma anche quelle in caratteri e lingua libico-berberi.
A tale proposito, appare molto strana la diffusione oltre gli oceani
d'una lingua e d'una scrittura, che nella loro patria d'origine
sono rimaste sepolte sino a tempi recenti in un mistero quasi assoluto.
I ricercatori diffusionisti hanno giustificato tale anomalia con
l'attribuzione delle iscrizioni in lingua e caratteri libico-berberi
a marinai della Cirenaica, in servizio nelle flotte dei Faraoni
d'Egitto.
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L'ipotesi di collocazione di Atlantide, secondo gli studi di Arecchi |
Come mai - salvo qualche rarissimo caso - non si trovano in tali
iscrizioni "egizie", identificate in America, né
la scrittura né la lingua ufficiale del regno?
Sembrerebbe - stando all'interpretazione di Barry Fell - che per
questi prodotti di "esportazione" gli Egizi preferissero
usare la lingua e la scrittura dei vicini popoli libico-berberi...
ma l'ipotesi appare un po' troppo "forzata". Anche se
gli Egizi avessero fatto ricorso a flotte composte di marinai libici,
sembra infatti logico pensare che la lingua in uso sulle navi delle
loro flotte (se non l'unica lingua "colta" e scritta,
da parte del personale di comando) dovesse essere quella ufficiale,
non un "dialetto" nativo, poiché tale la lingua
libica doveva essere ritenuta presso il regno dei Faraoni. Le iscrizioni
dovrebbero invece presentarsi con la lingua ed i caratteri egiziani,
o piuttosto con quelli greci, nei casi attribuiti all'epoca delle
dinastie tolemaiche (come potrebbe essere quello del presunto "viaggio
di Eratostene").
Barry Fell scrive, nel suo libro America B.C.:
"... Ho scoperto con mia sorpresa che l'ignota lingua libica
era di fatto quasi la stessa dell'antico egizio. La principale differenza
consisteva nel fatto che i libici usavano un alfabeto derivato da
quello dei cartaginesi, mentre gli egizi usavano il sistema molto
complicato ed ingombrante dei geroglifici, la maggior parte dei
quali acquisisce un valore fonetico fatto di diversi suoni. Un'altra
peculiarità era che il libico mostrava un uso molto maggiore
di termini derivati dal greco e dalle lingue anatoliche...
La lingua libica, come ho mostrato altrove, è fondamentalmente
egiziano combinato con radici anatoliche, introdotte dai Popoli
del Mare quando invasero la Libia, mentre la forma scritta della
lingua somiglia a quella dei fenici, un alfabeto che usa solo consonanti.
Le registrazioni compiute nel 1891 dal Bureau of Ethnology rivelavano
che in quell'anno la dr. Matilda Stevenson aveva assistito a tutte
le cerimonie solari del solstizio presso i clan zuni, sia d'inverno,
sia d'estate, e che aveva raccolto alcuni oggetti di culto. Il suo
rapporto include un certo numero di fotografie e di dipinti, in
cui sono visibili, sugli altari, ben noti motivi di culti solari
di tipo mediterraneo, benché ella non li identificasse come
tali...
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Una porta di Tozeur (Tunisia), con simboli di tridenti |
Queste regole fonetiche sono dello stesso tipo d'una serie che ho dimostrato nel 1973, quando ho collegato la lingua libica a quella della Polinesia. I polinesiani, come gli stessi libici, discendono dai Popoli del Mare anatolici che invasero il Mediterraneo verso il 1400 a.C. e, dopo avere attaccato l'Egitto e subito una serie di sconfitte, che gli Egizi hanno lasciato registrate, possono essersi insediati in Libia. In seguito, i marinai libici furono impiegati dai Faraoni nella flotta egiziana, e più tardi ancora i capi libici presero il controllo dell'Egitto e vi stabilirono dinastie libiche. Allora l'influenza libica si diffuse grandemente, specialmente nella regione indo-pacifica, ove gli egizi cavavano l'oro, come a Sumatra. Durante il periodo tolemaico (dopo che Alessandro Magno conquistò l'Egitto), i marinai libici al servizio dei Faraoni greci esplorarono ampiamente il Pacifico e taluni di loro s'insediarono in qualche parte di quell'Oceano.
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Il segno della dea Tanith, tra due tridenti, su una stele punica |
Le deduzioni, basate in gran parte su studi linguistici, ci hanno
obbligati ad abbandonare la teoria che supponeva che i polinesiani
fossero immigrati di incerte origini, provenienti dall'Asia orientale,
visto che le più antiche iscrizioni polinesiane sono essenzialmente
scritte in libico, sia per l'alfabeto sia per la lingua. Linguisti
come il professor Linus Brunner in Europa ed il dr. Reuel Lochore,
in Nuova Zelanda, hanno scoperto che questa nuova interpretazione
collima con le loro ricerche sulle fonti delle lingue della Malesia
e della Polinesia. Ciò spiega anche le parole greche che
si ritrovano nelle lingue polinesiane. Come ha sottolineato il professor
Brunner, le colonie greche in Libia usavano un dialetto del greco
in cui certe consonanti sostituivano quelle del greco attico, ed
è proprio questa forma di greco "libico" che si
ritrova in Polinesia. Gli elementi anatolici presenti nel polinesiano
hanno costituito oggetto dello studio di Lochore, che ritiene siano
anch'essi rivelatori dell'origine libica dei polinesiani, perché
(così sostiene Fell) sappiamo da antiche iscrizioni egizie
che la Libia era stata occupata dai Popoli del Mare anatolici..."
"Se la mia teoria sull'affinità del libico con le lingue
polinesiane è valida, come appare sempre più (l'ultimo
sostegno è giunto dai linguisti israeliani), penso che l'evidenza
equivalente, che ora giunge dai miei studi sulla lingua zuni, acquista
spessore quando le analisi vengono esaminate da linguisti (il dizionario
etimologico zuni non è ancora stato pubblicato). In questo
contesto propongo un nuovo punto di vista sulle origini degli antenati
degli shiwi-zuni. Penso che essi siano i discendenti di viaggiatori
libici che attraversarono l'Atlantico qualche tempo prima del 500
a.C".
(B. FELL, America B.C.)
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Dipinto rupestre da Tabarka (Tunisia) |
I ritrovamenti
Dove si trovano le iscrizioni in lingua libico-berbera, studiate
dai diffusionisti in America?
Una prima iscrizione fu segnalata al prof. Fell il 13 novembre 1974
dal geografo George F. Carter Sr., professore alla Texas A&M
University. Si trattava di un'iscrizione rupestre trascritta da
una rivista scientifica in tedesco, pubblicata in Cile, da lui trovata
nella sezione "Special Collections" della Biblioteca Milton
S. Eisenhower, presso la Johns Hopkins University di Baltimora,
negli anni 1950. L'iscrizione era stata trascritta nel 1885 da Karl
Stolp, il quale durante una tempesta si era rifugiato in una grotta
presso Santiago.
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Sul fondo d'un lago essiccato, nel deserto libico: conchiglie
ed attrezzi litici degli antichi abitatori |
Carter pensava che l'iscrizione fosse simile a quelle polinesiane.
Aveva ragione: quando Fell riuscì a tradurla, nell'iscrizione
di Santiago lesse una data: "anno 16 del regno" ed il
nome di Maui. Altre iscrizioni in lingua e caratteri libici si trovano
in Ecuador (a Cuenca), nella California del sud, nel New Mexico
(valle del Mimbres, dove si legge il nome di Rata), nell'Oklahoma
(valle del fiume Cimarron), nello Iowa (la molto discussa "stele
di Davenport", ritrovata nell'Ottocento), nel New Hampshire,
nella Pennsylvania, sino al Quebec. I ritrovamenti sul territorio
degli attuali Stati Uniti sono dovuti in gran parte alle ricerche
della signora Gloria Farley.
Nel 1975 la Farley spedì a Fell la foto d'un piccolo cippo
di confine trovato a Warner, in Oklahoma. La risposta fu piuttosto
conturbante: la pietra recherebbe una scritta in caratteri libici
numidici, che recita "Questa terra appartiene a Rata".
Nel New Mexico, Fell arriva ad ipotizzare che la cultura della popolazione
zuni-shiwi abbia mantenuto nei secoli tradizioni e parole dell'antica
cultura libica.
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Tavoletta ritrovata a Cuenca, Ecuador. Secondo la traduzione di Clyde Keeler la scritta, in lingua libica, dice "L'elefante (aby) che sostiene la Terra sulle acque e genera i terremoti". L'iscrizione appare simile a quella del mausoleo di Msssinissa a Thougga, in Tunisia (sec. III a.C.). (da S.D. PEET, The Mound Builders, 1892) |
Leggiamo ancora il testo di Fell:
"L'arrivo dei libici è un altro degli episodi più
misteriosi della storia americana. Abbiamo trovato sulla costa pochissime
iscrizioni che parlino del loro arrivo sul continente, e della località
in cui possa essere avvenuto. Solo pochi frammenti scritti, di cui
si riferiva da alcune località isolate: uno a nord, dal Quebec,
uno dalla California, ed altri dalle pareti rocciose lungo i fiumi
Arkansas e Cimarron, nel sud del Midwest; e null'altro. Nulla più,
sino al 1879, quando l'U.S. Bureau of Ethnology avviò ricerche
nel territorio degli Zuni, nel New Mexico.
Certe caratteristiche inusuali delle tribù shiwi e hopi erano
già state notate dal professor J. Walter Fewkes (un biologo
marino, come Fell) e da James Stevenson. Il continuo lavoro loto
e d'altri collaboratori condusse alla pubblicazione d'importanti
memorie ed alla preparazione di materiali linguistici e lessicografici
sugli zuni. Benché il vocabolario avesse presto mostrato
che la lingua zuni non è imparentata con nessun'altra famiglia
di lingue amerindie, non sembra che nessuna ricerca avesse puntato
a determinare una sua parentela esterna..."
"... Potrei azzardare l'ipotesi che essi arrivassero a bordo
di navi della marina egiziana, al comando d'un navigatore libico,
durante la XXII Dinastia, detta libica, i cui faraoni erano uomini
energici, che favorivano l'esplorazione oltremare. Con loro, probabilmente,
venne un sacerdote-astronomo egiziano. Fu egli - o i suoi successori
- ad incidere la Stele del Calendario di Davenport".
(B. FELL, America B.C.)
Occorre riconoscere che, se i diffusionisti avessero voluto creare un falso "ad hoc", avrebbero potuto usare una scrittura geroglifica (o meglio greco-alessandrina, con riferimento al periodo dei Tolomei e di Eratostene), senza doversi arrampicare sugli specchi due volte, prima per decifrare un linguaggio come quello libico-berbero (tutto sommato ben poco conosciuto, anche agli studiosi di lingue antiche), e poi per giustificarne l'uso in documenti ufficiali della spedizione. Le medesime considerazioni possono valere per tutte le altre iscrizioni dello stesso tipo che il gruppo dei diffusionisti ritiene di aver ritrovato e tradotto, sia nell'area del Pacifico, sia sul continente americano. Anche in altri casi, ad esempio in graffiti rupestri lungo l'arco alpino, è capitato che i ricercatori abbiano fatto ricorso a letture ed interpretazioni che si rifanno all'uso di un alfabeto e di una lingua di matrice libico-berbera.
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Teste di terracotta ritrovate in Arkansas, con acconciature e scarificazioni di tipo polinesiano (ma Fell suppone un'origine comune, derivata da usanze nord-africane) |
Siamo quindi spinti a ritenere che i ricercatori diffusionisti abbiano
veramente trovato documenti per loro inspiegabili, poiché
- se si trattasse di falsi o di adattamenti interpretativi - sarebbe
stato più semplice e logico "crearli" sulla base
delle lingue e delle scritture in uso presso gli egizi, e non di
un'altra scrittura e di un'altra lingua che, oltre a presentare
altrettante - se non maggiori - difficoltà interpretative,
comportasse anche il riferimento ad un popolo misterioso, come gli
antichi Libici. I diffusionisti hanno ipotizzato il sistematico
ricorso, da parte dei Faraoni, a flotte composte di marinai d'una
nazione vicina, che non fu mai, nei secoli d'oro della civiltà
egizia, in rapporti pacifici con il popolo delle piramidi. Marinai
talmente acculturati da usare la propria lingua, ben diversa dall'egiziano,
in tutti i loro appunti, e addirittura in documenti ufficiali, qual
è "l'atto di possesso" inciso dal navigatore Maui
sulle montagne presso Santiago del Cile.
Tutto ciò tende a collegarsi alle ipotesi formulate nel 2001
dal sottoscritto, di "riscoperta" dell'antica Atlantide
in una collocazione al centro del Mediterraneo, che doveva corrispondere
proprio con un antico regno libico-berbero. La scrittura e la lingua
usate in tutte quelle iscrizioni corrisponderebbero quindi a quelle
dell'antica Atlantide, senza possibilità di dolo da parte
di chi le ha interpretate, poiché i ricercatori che lo fecero
non erano minimamente al corrente di tale ipotesi e non lavorarono
in vista di essa, né per dimostrarla. Eppure, le uniche circostanze
che possano aver permesso la diffusione "planetaria" di
una lingua libico-berbera e del suo sistema di scrittura, attraverso
rotte marittime transoceaniche, appaiono legate all'esistenza d'un
grande impero marinaro, nel periodo in cui Atlantide era signora
dei mari (quindi in anni certamente anteriori al 1200 a.C.). Non
è invece credibile che marinai libici, arruolati nella marineria
egizia, andassero a scrivere "atti di possesso", sulle
rocce dell'attuale Cile, nella propria lingua, a nome del Faraone
d'Egitto.
Un tale sviluppo condurrebbe ovviamente a riconsiderare globalmente
anche la ricostruzione del presunto viaggio di Rata e di Maui, che
dovrebbe essersi svolto non nel sec. III a.C., ma almeno un migliaio
d'anni prima, quando Atlantide esisteva ancora e deteneva la supremazia
delle rotte oceaniche. Ricordiamo infatti che il citato studio,
da me sviluppato su Atlantide, del 2001, ipotizza la collocazione
storica della tragica fine d'Atlantide verso il 1200 a.C. Gli elementi
utilizzati da Fell, per datare le iscrizioni di Sosorra e del Cile,
sono l'osservazione di un'eclissi e la numerazione degli anni di
regno (presunti come quelli di Tolomeo III, ma non identificati
esplicitamente come suoi). Occorrerebbe potersi riferire ad un'altra
eclissi (e non ne mancano, nella storia della Terra) e agli anni
di regno d'un altro re (ma non sappiamo quale). Inoltre, dato che
non siamo in possesso di elementi concreti che colleghino strettamente
l'una all'altra iscrizione (se non l'uso dei medesimi caratteri
e - probabilmente - d'una lingua medesima o similare), nulla impedisce
che le due iscrizioni, e le altre ritrovate, possano essere memorie
di viaggi diversi, con datazioni riferite al regno non d'uno, ma
di diversi re. Oppure possono forse bastare i nomi propri Rata e
Maui, ripetuti a migliaia di chilometri di distanza, a "firmare"
i due documenti? Potremmo forse supporre di sì... ma i
nomi Rata e Maui o Mawi a quale cultura possono appartenere?
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Pettorali (il primo polinesiano ed il secondo ritrovato in America). Fell osserva che la testa di Râ, effigiata alle due estremità del primo, è di derivazione libica |
Le ricerche archeologiche nel Sahara libico
La regione oggi conosciuta come Sahara ("il nulla, il vuoto")
non è sempre stata un deserto. Vi si sono alternati periodi
umidi ed altri secchi. Un tempo era un grande mare... all'epoca
dei dinosauri. Poi il cuore dell'Africa si seccò e l'antico
mare si sollevò in un grande altipiano. Dodicimila anni fa,
al termine dell'ultima grande glaciazione, i monsoni dell'Atlantico
portarono piogge sull'antico deserto, che nel millennio successivo
riprese a fiorire e si popolò d'animali e di cacciatori.
Quei cacciatori hanno lasciato le proprie tracce sulle rocce dei
grandi massicci montuosi, che si ergono in zone centrali del Sahara
(Adrar tra Mali ed Algeria, Ahaggar e Tassili in Algeria, Air e
Ténéré nel Niger, Acacus in Libia, Tibesti
ed Ennedi nel Ciad).
La zona era ricca di laghi e in particolare, verso il golfo della
Sirte, esisteva un grande bacino d'acqua dolce. Il "secondo
mare" sahariano occupava la regione degli Chott tunisini ed
il sud di Costantina e il pelo delle sue acque si elevava sino ad
oltre 300 m dal livello degli oceani. Il fondo di quel bacino, livello
attuale di questi "paesi bassi del Nord Africa", è
inferiore al livello del mare. Il fondo dello Chott Melrhir, che
misura 3700 km2, si trova a -31 m, quello dello Chott El Djerid,
la cui superficie è di oltre 13.000 km2, a -40 m. Questi
fondi sono ricoperti da una crosta di sale con la composizione dei
sali marini, che sul fondo dello Chott el Djerid raggiunge il metro
di spessore. Al di sotto rimangono notevoli sacche di umidità,
e poi lo strato impermeabile di un antico fondo argilloso.
Una nuova fase di clima arido investì anche il Medio Oriente, ottomila anni fa (verso il 6000 a.C.). Gruppi di nuove popolazioni, provenienti da oriente, si stabilirono nel Sahara e probabilmente introdussero modi di vivere più sedentari. La migrazione durò secoli. Circa 7300 anni fa il mondo sahariano era completamente trasformato e dalla caccia si stava passando ad un'economia basata sulla pastorizia. Il clima era migliorato, ma 6400-6300 anni fa subentrò una nuova fase arida. Le popolazioni del Sahara si spostavano, si rimescolavano, si scambiavano conoscenze, usi e costumi. Uomini di pelle chiara vivevano a fianco d'altri di pelle scura. Poco prima del 4000 a.C., la situazione sociale e produttiva era abbastanza stabile. I pastori si erano adattati al nuovo ambiente e la gran civiltà multietnica del Sahara occupava una vasta area, compresa tra gli attuali stati di Niger, Ciad, Libia, Algeria. Verso il 3000 a.C. iniziò una nuova fase arida. Gli ippopotami ed altra fauna palustre cominciarono a scomparire (come si vede dai dipinti rupestri ritrovati). I pastori di bovini (gli antenati degli attuali fulani) emigrarono verso il Sud. Quelli che rimasero intensificarono l'allevamento di specie ovine, più piccole e resistenti, in pascoli meno fertili. Fu il periodo in cui i capi venivano sepolti sotto grandi tumuli di pietre. Ciò indica il nascere d'una precisa organizzazione gerarchica nella società sahariana. Un gruppo di popoli (quelli che i greci chiamarono Atlantòi) scese sino all'ampia pianura costiera del Mediterraneo. Qui nacque una federazione di tribù, organizzata in regni, dedita all'agricoltura ed all'estrazione dei metalli.
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Pipe ritrovate nei tumuli intorno a Davenport (da S.D. PEET, The Mound Builders, 1892). In quella in alto, si riconosce un elefante |
Più ad est, nella vallata del Nilo, era il momento della nascita della prima dinastia dei faraoni: un altro gruppo di popoli aveva adottato l'agricoltura e poneva le basi d'una cultura che sarebbe durata, tra varie vicissitudini, sino a confluire nel crogiolo della civiltà occidentale.
La datazione della fine d'Atlantide
Platone riferisce nei propri Dialoghi di avere desunto la narrazione
relativa ad Atlantide dalle memorie del viaggio compiuto da Solone
in Egitto. Si pensa che tale viaggio si sia svolto verso il 570
a.C. Una delle discriminanti di base, quando si prenda in considerazione
il racconto platonico, è quella dell'epoca in cui collocare
lo splendore di Atlantide e la sua fine. Platone parla rispettivamente
di 9000 e di 8000 anni "prima del viaggio di Solone".
Non occorre però dimenticare neppure che Platone riferisce
della testimonianza d'una serie di conflitti tra il popolo di Atlantide
ed i predecessori degli Ateniesi, alleati con gli antenati della
popolazione di Sais.
Per quanto l'ipotesi sia affascinante, sconfina certamente nel campo
di un'alta improbabilità assumere "ad occhi chiusi"
la data di 8000-9000 anni prima, poiché noi stessi, oggi,
non siamo capaci di risalire a fatti di una tale antichità
relativa alla nostra epoca. Dovremmo invece presumere che un unico
documento, conservato in una lingua ancora leggibile per i sacerdoti
del tempio di Sais, fosse stato tramandato da tale antichità
sino alla metà del primo millennio a.C.?
Siamo costretti a prendere in considerazione anche il fatto che
una memoria di fatti "mediterranei", situati nelle regioni
circostanti alla Grecia, non può essere collegata ad "antenati
degli Ateniesi" se non in un'epoca posteriore alla metà
del secondo millennio a.C., quando giunsero nella regione le grandi
migrazioni doriche.
Eudosso di Cnido disse che nel racconto platonico la misura del
tempo doveva essere considerata come misurata in mesi e non in anni;
Proclo, nel suo commento, aggiunge: "Se fosse vero quanto Eudosso
afferma, la somma di tutti quegli anni non darebbe poi un totale
straordinario". Manetone, la più alta autorità
riconosciuta sulla storia egiziana, sacerdote del tempio d'Eliopoli
nel sec. III a.C., aggiunge:
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Copia di un'iscrizione bilingue egiziano-libica, trovata nel 1888 presso Eagle Neck (Long Island). Quando, nel 1973, Fell decifrò la lingua libica, si accorse che - sia pur distorta dalla trascrizione compiuta da indigeni, l'iscrizione egiziana diceva: "L'equipaggio d'una nave dell'Alto Egitto fece questa stele per ricordare la propria spedizione", mentre quella in libico poteva essere tradotta: "Questa nave è un'imbarcazione dei domini egiziani" (disegno di D.A. YOUNG, Heye Foundation, New York) |
"Credo che l'anno lunare abbia sempre contato trenta giorni, e ciò che oggi chiamiamo 'mese' era detto un tempo 'anno' presso gli Egizi".
Anche Diodoro Siculo rende avvisato il lettore che la misura del tempo può essere in mesi anzi che in anni:
"... poiché quel gran numero d'anni appariva incredibile, alcuni sostengono che in passato... esistesse l'abitudine di comprendere in un anno ogni singola rivoluzione lunare. Di conseguenza... l'anno misurava trenta giorni... Una spiegazione simile è offerta anche a proposito di coloro che si dice regnassero trecento anni. Quello che in quei tempi si chiamava anno era diviso in quattro parti (le fasi lunari), allo stesso modo in cui l'anno si divide in quattro stagioni..."
Le obiezioni rivolte a tale interpretazione riguardano soprattutto
il fatto che le attuali conoscenze del calendario egizio rivelino
in generale un calendario solare. Il calendario basato sui cicli
lunari non era però ignoto a nessuno dei popoli dell'area
mediterraneo e medio orientale. Mi sembrano molto superiori i salti
logici connessi con l'intepretazione "8-9000 anni" di
quelli presenti nella lettura "8-9000 mesi" (lettura offerta
non solo da Diodoro Siculo, ma usata anche spesso per interpretare
le "disumane" età dei Patriarchi biblici).
Qualora si accetti che la misura del tempo riferita nel racconto
platonico su Atlantide (ossia 9000 anni trascorsi dall'apogeo del
mitico regno e 8000 dalla sua distruzione) non sia in anni solari
ma in mesi (lunari), dobbiamo valutare il fatto che un anno solare
comprende 12 mesi lunari e 11/12 giorni (cfr. l'attuale calendario
musulmano). In tal caso, 9000 mesi lunari equivalgono a poco più
di 725 anni solari. Il racconto di Platone collocherebbe dunque
la grande espansione di conquista di Atlantide, e la sua guerra
contro gli antenati degli Ateniesi, verso il 1295-96 a.C., mentre
la terribile catastrofe che pose fine a quel regno sarebbe avvenuta
mille mesi (circa 80 anni) dopo, ossia intorno al 1215 a.C.
Se invece ci basassimo sull'anno egizio, che secondo Erodoto comprendeva
360 giorni e 12 mesi di 30 giorni ciascuno, 9000 mesi corrisponderebbero
a 750 anni e condurrebbero al 1320 a.C., e 1000 mesi dopo corrisponderebbero
all'anno 1237 a.C. Il periodo della catastrofica fine di Atlantide
sarebbe così, ragionevolmente, da collocarsi nel periodo
1240-1210 a.C.
Un autore che si firma con lo pseudonimo "Michele di Grecia"
pone in relazione tutta la vicenda con una serie di conflitti che
- secondo la mitologia greca delle origini - ebbero luogo tra gli
antichi Ateniesi ed i Cretesi. Gli eroi di quella guerra, secondo
il racconto fatto a Solone dal sacerdote di Sais, sarebbero stati
Cecrope, Erecteo, Erictonio, Erisictone, tutti anteriori a Teseo.
Michele di Grecia ricostruisce il mito di quei re primigeni.
Cecrope (p. 140) fu il primo a nominare Zeus quale dio supremo e
ad abolire i sacrifici di sangue, sia umani, sia di animali. Si
iniziò a bruciare sugli altari i pelanos, tipici pasticci
confezionati dai Greci. Egli proveniva dalla città egiziana
di Sais. Sotto il suo regno ebbe luogo la disputa tra Atena e Poseidone
per il controllo sulla città di Atene, disputa che può
coprire proprio una contesa relativa al predominio sulla città
dei Cretesi (Atlanti), devoti al culto eponimo di Poseidone. "Poseidone
fu il primo a venire in Attica... e dopo di lui arrivò
Atena" e in una tribù della regione del lago Tritonide
si raccontava che Atena, figlia di Poseidone, litigò col
padre e si fece adottare da Zeus. Apollodoro e Diodoro Siculo concordano
sull'attribuire tali avvenimenti al periodo in cui regnò
Cecrope . Sant'Agostino ricorda anche che il ruolo delle donne nella
società diminuì d'importanza: "Esse non furono
più ammesse al suffragio e i neonati non ricevettero più
il nome dalla madre". Usanze matriarcali, che si ritrovano
- ad esempio - sia nelle società berbere, sia nell'antica
Creta e nell'isola di Malta, col culto della Grande Madre. Ad esempio,
Diodoro Siculo riferisce che i Cretesi avevano elevato in Sicilia
un tempio alle loro madri, "portandosele da Creta, ove si onorano
le Dee". Cecrope dovette subire una terribile invasione. "Secondo
Filocoro, quando questo Paese fu devastato dai Carii provenienti
dal mare e dai Beoti che venivano da terra... Cecrope installò
la sua gente in dodici città..." Ora, sappiamo che
Caria e Beozia erano due "province" cretesi.
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La Pietra di confine di Warner, con la scritta "Questa terra appartiene a Rata (da G. FARLEY, In Plain Sight, Chelsea, Michigan, 1994) |
Erictonio istituì le feste panatenee, in onore di Atena, ma il suo successore figlio, Pandione, era probabilmente un cretese. Il figlio di Pandione, Lico, è tramandato come il fondatore del regno di Licia. Nota: ritroviamo i Lici tra i Popoli del Mare che tentarono d'invadere l'Egitto poco prima del 1200 a.C. Apollodoro ricorda che sotto il regno di Pandione "Demetra e Dioniso vennero in Attica". La prima era certamente una divinità originaria di Creta. è vero che alcuni autori pongono tale adozione di nuovi dei sotto il regno di Erecteo. Anche sotto il regno di Pandione, troviamo menzione di guerre:
"La guerra t'impediva di compiere i tuoi doveri. Battaglioni di barbari avevano attraversato il mare e gettato il terrore tra le tue mura".
Uno dei successori, Erecteo, dovette subire l'attacco di un "devoto
di Poseidone": Eumolto, re di Eleusi. Gli Ateniesi, per difendersi,
dovettero ricorrere all'aiuto di truppe mercenarie. Secondo Apollodoro,
la fortuna aiutò gli Ateniesi, ma Poseidone, adirato, distrusse
la casa di Erecteo, che si trovava sull'Acropoli, e l'uccise con
tutta la sua famiglia.
Manetone, nella sua nomenclatura dei re d'Egitto, afferma che il
primo dei "re pastori", per lui un fenicio,
"era Saites, che regnò per diciannove anni e diede il proprio nome alla provincia di Sais".
"Il primo dei conquistatori avrebbe dunque ribattezzato col proprio nome una città, di fondazione più antica. Essa sarebbe stata 'fondata' una seconda volta. L'ipotesi potrebbe spiegare perché il sacerdote di Neith sostenga che Sais è più recente d'Atene. Sais sarebbe stata la capitale d'un principato d'occupazione del Delta... Sais città degli Hyksos... dei Cretesi...".
Secondo l'ipotesi cui erano giunti ricercatori francesi e tedeschi nel corso degli anni 1920-1940, e da me riprese e sviluppate, il popolo d'Atlantide si era installato nella cerniera fra tre mari: il "secondo mare" sahariano, con acque dolci, il Mediterraneo occidentale, collegato agli oceani, e quello orientale, che in quell'epoca era un mare chiuso, con un livello nettamente inferiore agli altri. Atlantide viveva d'agricoltura e di navigazione; costruì un grande impero marittimo, del quale l'antica Creta e tante altre comunità del Mediterraneo non erano che "colonie". In America, oggi, si scoprono altre colonie, che usavano la stessa antica lingua libica delle iscrizioni che si trovano nel Nord Africa.
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La stele di Davenport |
La stele di Davenport
Nel 1874 il reverendo M. Gass, con due studenti, trovò all'interno
d'un piccolo tumulo sepolcrale, presso Davenport, Iowa, due scheletri
d'adulti ed un terzo d'un bambino. Nei pressi c'era una tavoletta
incisa, con segni strani ed allora incomprensibili. La pietra è
oggi conosciuta come la Stele del Calendario di Davenport. A quel
tempo, suscitò grande interesse. Più tardi fu dimenticata,
perché studiosi di Harvard e della Smithsonian Institution
avevano dichiarato che si trattava d'un falso.
Secondo l'interpretazione di Barry Fell, intorno alla scena incisa
al centro della stele vi sono iscrizioni in tre lingue, egiziano,
iberico punico e libico, ciascuna nel proprio alfabeto o carattere
geroglifico. In realtà non si capirebbe il motivo della triplice
scrittura, se si supponesse valida l'ipotesi - fatta dall'autore
e dai suoi colleghi - che il libico fosse usato in sostituzione
della lingua ufficiale egiziana. I testi iberico e libico, scritti
su fasce incise che circondano la figura, sono come delle didascalie,
e riferiscono entrambi che la pietra offre il segreto per regolare
il calendario. Il resto è scritto in geroglifici ieratici
egiziani, il suo contenuto è riportato letteralmente nelle
figure e può essere così reso in lingua corrente:
"Si attacchi uno specchio ad un pilastro, in modo che quando il sole sorge nel giorno di capodanno esso rifletta la luce sulla pietra detta 'l'osservatorio'. Il capodanno cade quando il sole è in congiunzione con la costellazione zodiacale dell'Ariete. Nella Casa dell'Ariete il rapporto tra la notte ed il giorno si rovescia. In quel tempo (equinozio di primavera) cade la festa del nuovo anno, con il suo rito religioso".
La tavoletta rappresenta la celebrazione egiziana dell'anno nuovo, la mattina dell'equinozio di marzo. La festa consiste nell'erezione cerimoniale tramite funi, tirate da fedeli, d'una particolare Colonna dell'Anno Nuovo, chiamata Djed, fatta di steli di canne e sormontata da quattro o cinque anelli. Essa rappresenta la spina dorsale d'Osiride.
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Il retro della stele di Davenport, con scene di caccia |
A sinistra si vede uno specchio; dietro si legge in geroglifici:
"specchio degli egizi" e sullo specchio, sempre in geroglifici,
è scritto "metallo riflettente". A destra è
il sole nascente, con la scritta Râ (dio del sole). Nel cielo
del mattino, in alto, si vedono le stelle. Come si vede nella didascalia
dell'illustrazione, la stele dello Iowa conferma ciò che
già sappiamo da una tomba di Tebe, sulla cerimonia della
colonna Djed nel giorno del capodanno. Il testo egiziano della stele
di Davenport prosegue dicendo che si tratta dell'opera dello Wnty
(osservatore di stelle), un sacerdote d'Osiride delle regioni libiche.
La stele è di manifattura locale, americana, e Fell suppone
che fosse stata realizzata forse da un astronomo libico o iberico,
che copiava un modello più antico proveniente dall'Egitto
o meglio dalla Libia, portato sin qui probabilmente da una nave
libica. Il sacerdote d'Osiride può aver prodotto la stele,
in origine, come un modo per regolare il calendario in terre molto
lontane. La data non può essere anteriore all'800 a.C. ("perché
non conosciamo iscrizioni iberiche o libiche anteriori a quella
data", annota Fell). Il testo egiziano, come detto sopra, può
essere una semplice copia americana di qualche originale. L'originale
poteva anche risalire al 1400 a.C., a giudicare dallo stile di scrittura.
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La caricatura d'un "costruttore di tumuli" dello Iowa, bassorilievo su calcare (da McKUSICK, 1991) |
Fell azzarda l'ipotesi che i coloni arrivassero a bordo di navi
della marina egiziana, al comando d'un navigatore libico, durante
la XXII Dinastia, detta "libica", i cui faraoni erano
uomini energici, che favorivano l'esplorazione oltremare. Con loro,
probabilmente, venne un sacerdote-astronomo egiziano. Sarebbe stato
egli - o qualcuno dei suoi successori - ad incidere la Stele del
Calendario di Davenport.
Probabilmente intorno a quel tempo giunsero altri sacerdoti-astronomi
egiziani, che accompagnavano altre spedizioni, come quella a Long
Island, New York, ed i viaggiatori libici che raggiunsero il Quebec,
ove lasciarono l'iscrizione che è stata ritrovata negli anni
'70 dal professor Thomas Lee della Laval University.
Le grotte d'Anubis
Abbiamo già detto che Gloria Farley, oggi ottantasettenne,
è stata per molti anni la principale corrispondente di Barry
Fell, e gli ha fornito ampio materiale di scoperte effettuate nelle
zone del New Mexico, dell'Oklahoma e degli altri Stati Uniti centrali.
Nel 1968, un giornale dell'Oklahoma pubblicò una notizia
su una misteriosa grotta coperta di segni e figure. Dieci anni dopo,
in un giorno di giugno del 1978, il gruppo di ricerca della Farley,
guidato da un allevatore locale, andò a vedere un petroglifo
d'un bufalo con le costole in evidenza, che si pensava raffigurasse
un animale durante una carestia. Non sapevano ancora che si trattava
d'un carattere distintivo dell'arte celtica. In quella zona, trovarono
cinque grotte, che la Farley numera da sud a nord. La prima grotta
che scoprirono era quella indicata col numero due. Tre pareti di
questa grotta erano letteralmente ricoperte di scritte e petroglifi.
La figura più rilevante era un'immagine canina con orecchie
a punta e folta coda, che indossa una corona e reca sulla schiena
una specie di frusta col lungo manico, simile al flagello regale
dell'antico Egitto.
La corona è composta di due lunghi segni incurvati, come
parentesi, ai lati delle orecchie, quasi congiunti alla cima. Il
pastorale uncinato ed il flagello appaiono di solito incrociati
sul petto del Faraone e del dio Osiride, come simboli d'autorità.
Inoltre, la Farley segnalò la presenza nella grotta sia di
caratteri ogam, sia di scritte numidiche, una combinazione che si
era trovata in altri due siti di quella zona con caratteristiche
riferibili alla presenza degli Egizi.
Sulla parete, in alto a sinistra, c'era una figura antropomorfica
con una corona raggiata, in piedi sopra un cubo, ovviamente un Dio
Sole. A sinistra era una finestra rotonda, intagliata nella pietra,
forse un'apertura naturale rimodellata. Essa dava accesso alla grotta
numero tre, insieme ad un piccolo foro al di sopra di essa.
Nella grotta numero tre il gruppo ricopiò un'iscrizione ogam
lunga un po' più d'un metro, incisa in modo molto chiaro
sul muro di fondo. Quell'iscrizione si rivelò la chiave d'interpretazione
per l'intero sito. L'iscrizione sarebbe diventata famosa come "l'iscrizione
dei sei mesi". Fell stabilì che i sei segni verticali
sopra la riga dell'iscrizione rappresentavano il numero 6. Poteva
così ricondurre l'iscrizione alla lingua gaelica. D'accordo
coi colleghi, pubblicò una traduzione che era: "Il sole
è per sei mesi a nord, per altri sei a sud, per un periodo
dello stesso numero di mesi". Questa fu perciò chiamata
"l'iscrizione dei sei mesi", perché afferma che
il sole sta per sei mesi a nord e per sei mesi a sud.
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Il disegno della grande parete col disegno d'Anubis e le raffigurazioni solari, scoperta in Oklahoma dal gruppo di Gloria Farley. In basso a destra, si vedono anche l'elefante e l'ippopotamo (da G. FARLEY, In Plain Sight, 1994) |
La Farley identificò la figura di sciacallo col flagello sulla schiena con Anubis, termine greco che indica il dio egizio Anpu, identificato con Hermes, colui che accompagna le anime. Anubis apriva ai morti le strade dell'altro mondo. Egli è generalmente raffigurato come uno sciacallo nero dalla folta coda, oppure un uomo dalla pelle nera con la testa di sciacallo. Lo sciacallo è solitamente in posizione sdraiata, accosciato con la testa levata.
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Foto e disegno della figura dello sciacallo Anubis, nell'omonima grotta (da G. FARLEY, In Plain Sight, 1994) |
L'Anubis dell'Oklahoma è molto simile ad un'immagine dipinta
su un papiro del Nuovo Regno, databile al periodo 1580-1090 a.C.,
ed oggi conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. Esso
appare in un quadro che raffigura il corso del sole e cammina al
di sotto del trono cubico di Râ-Harakte. Tale forma di Dio
solare raffigura un uomo dalla testa di falco, sovrastata dal disco
solare e dall'ureo, il serpente sacro. Anubis appare molto magro,
con le orecchie ritte e con un flagello sulla schiena. La connessione
tra Anubis ed il Dio Sole doveva essere molto importante per scoprire
la vera destinazione delle grotte d'Anubis.
Inoltre, nella stessa parete appariva la figura d'un dio solare,
coronato, appoggiato su una specie di cubo. Oltre ai raggi della
corona del Dio Sole, vi erano altri due simboli solari. Alla sinistra
del Dio Sole (per chi guarda) appariva un arco raggiante, che fu
poi chiamato "sole nascente" o "primo sole".
L'immagine raggiante, intorno alla testa del Dio Sole, fu detta
"secondo sole". Tra il Dio Sole ed Anubis c'era un ampio
semicerchio con molti raggi, chiamato più tardi "sole
al tramonto" o "terzo sole".
Nella prima visita, il gruppo aveva visto due fori profondi, come
occhi, nella parte bassa della parete. In seguito ci si accorse
che essi erano gli occhi d'una figura d'elefante, incisa in linee
leggere sotto altri segni verticali sovrapposti, come se si trovasse
dietro delle sbarre, con le grandi orecchie, la tromba pendente,
le gambe sottili, la pancia rigonfia, e la corta coda. La dimensione
delle orecchie indicava che si trattava d'un elefante africano.
L'immagine era fallica, come la figura d'Anubis. Un ippopotamo,
in piedi dietro l'elefante, non fu subito riconosciuto.
Nel 1982, Bill McGlone, segretario della sezione occidentale della
Società Epigrafica., si unì al gruppo della Farley
per esaminare le grotte al momento dell'equinozio. Al momento del
tramonto, nell'equinozio d'autunno, scoprirono una serie di effetti
d'ombra che si verificavano soltanto in quel particolare momento,
due volte l'anno.
"Mentre l'ombra di un "puntatore" di roccia si spostava,
certe parti della parete erano alternativamente illuminate o ritornavano
nell'ombra. Il primo simbolo ad essere illuminato fu quello del
Sole Nascente, a sinistra del Dio Sole. Poi fu illuminato lo stesso
Dio Sole, quindi il suo corpo, dai piedi al collo, cadde nell'ombra,
mentre il sole vero scendeva nel cielo d'occidente. Quando l'ultima
immagine del sole toccò: la lontana mesa occidentale, la
testa del Dio Sole era in luce. Allo stesso momento fu illuminato
il grande Sole al tramonto. L'ombra dell'indicatore era intanto
diventata spuntata e arrotondata e si spostava in alto, verso destra,
verso il piccolo Sole Verticale a raggi.
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Gloria Farley, la ricercatrice ottantasettenne che ha scoperto molti graffiti ed iscrizioni nel cuore dell'America |
Nell'istante del tramonto giunse il momento cul-minante e accaddero
simultaneamente tre cose. L'ombra del pomo puntatore toccò
esattamente la curva del Sole Verticale; la testa del Dio Sole,
con la corona raggiata, entrò nell'ombra; e l'intera figura
d'Anubis, coda inclusa, fu illuminata. Un secondo dopo, quando il
sole era sceso al di sotto dell'orizzonte della mesa, l'intera parete
era in ombra. Lo spettacolo era terminato, per altri sei mesi. è
necessario sottolineare che gli allineamenti sopra descritti avvengono
soltanto al tramonto più prossimo all'ora effettiva dell'equinozio.
Il giorno prima o il giorno dopo, l'indicatore non si sposta esattamente
da un vertice all'altro del cubo, i simboli solari non cadono in
luce o in ombra in modo significativo, e il puntatore non indica
esattamente le linee del Sole Verticale" .
All'equinozio accade qualcosa, non solo nella seconda ma anche nella
terza grotta, dove altri giochi di luce e d'ombra accadono simultaneamente.
Le seguenti sono le traduzioni offerte da Barry Fell al gruppo del
progetto delle grotte d'Anubis nel 1983, prima della visita all'equinozio
di primavera .
Secondo Fell, nella prima grotta appaiono le seguenti iscrizioni
in caratteri ogam:
"Prima riga G-S-C-T e un'altra riga R-T, precedeva una riga
più complessa B-UI-IA-L IA-N-B H-UI-D-L, in antico gaelico
"Gesachgt, un incanto magico, un ratto, per la buona sorte",
"Buail Inpu h-uideal, che si legge: possa Anubis impugnare
il flagello".
Se è corretto, ciò costituirebbe la prova che la figura
canina sia proprio Anubis, il cui antico nome era Inpu o Anpu. Fell
spiegava che l'autore dell'iscrizione dell'Oklahoma doveva avere
contatti con gente che parlava l'egiziano, poiché il nome
è trascritto in caratteri ogam in modo da riprodurre molto
da vicino le pronunce egiziane.
Un'altra iscrizione ogam nella prima grotta, che non riguarda un
gruppo di croci, sovrapposto ma che non sembra far parte dell'iscrizione,
secondo Fell, si legge "T-L-M B-G UI-G" ossia "Ata
a lam bag uilg", che significherebbe "e possa il suo braccio
essere di ostacolo al male". Sembra trattarsi d'un altro riferimento
all'uso del flagello come frusta di autorità.
Fell ritornò quindi alla parete d'Anubis della seconda grotta,
per tradurre due iscrizioni: una in ogam e l'altra in scrittura
numidica, usata dagli antichi Libici. Le lettere ogam "F-S",
che esprimono la parola "fios", sono sovrapposte al Sole
Nascente all'estrema sinistra della parete. La successiva parola
ogam, "C-R-N-C", è formata dalle dita e dalla corona
del Dio Sole e si legge "Carnaich". Le successive parole
ogam si trovano sotto il Sole al tramonto e all'interno della forma
del Sole Verticale. Esse sono "B-G-L UI-R D-G-IA G-D":
"Baaghal uiru daigea gead" Il tutto, letto insieme, significa:
"Istruzioni per il Druido. Col tempo limpido l'ombra dello
spuntone di roccia eclissa la fiamma al tramonto. L'ombra arriverà
vicino alle fauci della figura del dio sciacallo". Si tratta
proprio di ciò che accade sulla parete d'Anubis ad ogni equinozio!
La scritta numidica, letta da destra verso sinistra, comincia con
le gambe del Dio Sole e continua a sinistra. Una parte sta all'interno
del cubo. Una seconda riga si trova a destra del cubo. Le lettere
sono "T L-L D-Y-N B-L Y-F-T-N" e formano le parole "Ata
Laila dayan Bel, yafida nantans", che si traducono: "Celebrate
al tramonto i riti di Bel, riuniti in adorazione in quel momento".
Ciò identifica il Dio Solare come il celtico Bel e non con
l'egizio Râ. Tuttavia, le loro identità erano strettamente
collegate nell'antico vicino Oriente. Per Gloria Farley ed il suo
gruppo, è chiaro che le grotte erano un luogo di riti sacri
e di adorazione per gli antichi che vi incisero scritte e figure.
Il tema dell'adorazione di Bel è ulteriormente sviluppato
nella quarta grotta. Quattro righe, tra le molte iscrizioni ogam
di questa grotta, sono state trascritte da Fell come "G-R-N-G
B-L M-N-C M-EA D UI-M-L-OI-EA-B B-L": "Grian aig Bel Mionach
umih ele Lio-Meadh eabh aig Bel", che significa "Il sole
appartiene a Bel. Questa caverna nei giorni d'equinozio serve a
cantare le preghiere di Bel".
Un componente del gruppo della Farley trovò una sedia in
pietra naturale, o trono, in un angolo di questa grotta: un luogo
ideale per il sacerdote di Bel per sedersi con lo sguardo rivolto
verso occidente e cantare le preghiere a Bel, mentre il sole tramonta,
nel giorno dell'equinozio.
Un dibattito vivo
Da trent'anni ormai l'America s'interroga sulle proprie origini.
Sono sempre meno coloro che credono - per usare parole di Barry
Fell - che "un giorno, tra lo squillare delle trombe e lo sventolio
delle bandiere... Cristoforo Colombo sbarcò e iniziò
la storia del Nuovo Mondo... Per gli americani, la storia comincia
col frastuono di cimbali, all'apparire di uomini grandi e famosi,
tanto noti e documentati, che qualcuno potrebbe anche pensare di
trovare a Washington, negli archivi nazionali, i loro certificati
di nascita o le loro tessere della sicurezza sociale" .
Il dibattito però è molto acceso e molti accusano
di falso i "documenti" che altri si sforzano di portare
come prove d'un passato remoto del continente. Certo, i falsi non
sono mancati. Altrettanto certamente, molti elementi delle tesi
diffusionistiche alimentano seri dubbi sullo "sviluppo separato"
del continente americano, quale ancora oggi è sostenuto nelle
ipotesi ufficialmente accreditate.
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I due alfabeti libico-berberi: numidico e tifinagh (dei Tuaregh) (da B. FELL, Alphabetic Lybian Mason's Marks on Mochica Adobe Bricks, in Epigraphic Society Occasional Papers, vol. 20, 1991, p. 226) |
Tra questi elementi intriganti, abbiamo ritenuto valesse la pena
di porre un accento particolare su quelle tracce di cultura libico-berbera
che hanno giocato una parte molto importante nella vita di Fell
(primo a decifrare l'antica lingua libica, accolto come un trionfatore
all'Università di Tripoli). Il professor Fell, tuttavia,
non arrivò mai a collegare tali elementi a quella cultura
che noi identifichiamo col nome d'Atlantide. In questa direzione
vanno oggi i nostri studi, alla ricerca di tracce che riteniamo
debbano risalire ad anni compresi tra il 3000 ed il 1200 a.C., lasciate
da un autonomo impero marinaro che vedeva gli antenati dei popoli
libico-berberi (dei Numidi, dei Tuaregh, dei popoli autoctoni dell'Ifriqiah
maghrebina) lanciati alla conquista degli oceani. Cominciamo ad
intuire un'Atlantide "al contrario", che potrebbe aver
toccato molti mari del mondo, ma partendo da un fuoco di diffusione
posto al centro del Mediterraneo, all'epoca della grande civiltà
megalitica.
La fine improvvisa di quel fuoco di diffusione, la tragica scomparsa
del cuore di quella realtà (federazione di popoli, impero
marittimo) che Platone ha tramandato col nome di Atlantide, sembra
ancora una volta il punto nodale per riallacciare i fili della Storia
scomparsa... ma non nella direzione - che tante volte è
stata proposta - di una diffusione di cultura attraverso l'Atlantico
da occidente verso oriente. S'intravvede la possibilità che
il "popolo del bronzo" si lanciasse per gli Oceani partendo
dal cuore del Mediterraneo...
In questa direzione, contiamo di ritrovare presto nuovi elementi,
nuove tracce idonee a ricomporre un mosaico reso confuso dal tempo
trascorso e dalla grande catastrofe che causò la fine dell'impero
d'Atlantide.
di Alberto Arecchi
liutprand@iol.it
www.liutprand.it




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