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30 Giugno 2004 MISTERO
Paola Mastrorilli
Monte Sant´Angelo tra magia e sacralità
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Nell'immaginario comune la Puglia è ricordata come la terra del sole, conosciuta per le sue spiagge coi due mari che le fanno da contorno, l'Adriatico e lo Ionio, per le bellissime giornate dai cieli tersi e "caldi", per i trulli e per l'ottimo cibo.
Ma non tutti sanno che anch'essa vanta una tradizione mistico-esoterica non indifferente!
Calcando le vestigia degli antichi padri di questa rigogliosa terra del Sud è possibile tracciare un interessante itinerario di luoghi più o meno "misteriosi", sede di culti pagani o di reminiscenze orientaleggianti che fa capo a una delle zone più belle da un punto di vista naturalistico e più suggestive da un punto di vista storico-archeologico.

Il Gargano è uno splendido promontorio che si estende lungo il tacco dello stivale d'Italia e si affaccia sul Mare Adriatico.
A guardarlo da lontano la sua particolare forma farebbe probabilmente pensare a una formazione vulcanica ma buona parte del suo territorio è caratterizzato da strutture carsiche che hanno favorito il proliferare di grotte e caverne ed è coperto da un'estesa foresta che prende il nome di Foresta Umbra.
Di primo impatto sembra presentarsi come un territorio arcigno e inospitale ma il suo fascino consiste proprio nelle forme frastagliate delle curve montuose e nell'aspetto primitivo delle sue terre.
Fin dall'antichità è stato abitato da popolazioni, prima pagane e poi cristiane, che hanno utilizzato le sue caverne come rifugi, templi o luoghi di culto ed è stato spesso decantato per le sue bellezze paesaggistiche da nomi eminenti della classicità storica e letteraria.
I reperti archeologici attestano una sicura presenza umana sul territorio fin dalla Preistoria, in particolare gli scavi hanno portato alla luce una serie di reperti litici sotto forma di utensili appartenenti tanto all'epoca Neolitica che a quella Paleolitica, datati a circa 30.000/40.000 anni fa. Elementi rappresentativi del passaggio di popolazioni mesopotamiche, anatoliche e greche sono la venerazione di miti eroici, i riti dell'acqua salvifica e le diverse forme di culto come quelle di Mitra, Michael e Mercurio.
Uno dei posti più suggestivi e ricchi di mistero del Gargano è sicuramente Monte Sant'Angelo, un paese che si staglia all'apice del promontorio (a circa 800 mt) e che ha suscitato da sempre un enorme fascino nelle popolazioni "straniere".
La sua collocazione rientra nella logica delle formazioni carsiche ed è rappresentativa di una delle più antiche cave di tutta la zona.
L'elemento di maggior attrattiva, presso le popolazioni circostanti e non, fu sicuramente la chiesetta che fu ricavata all'interno della grotta e che fu consacrata nel 493 all'arcangelo Michele, in seguito all'apparizione al vescovo di Siponto.
Come le altre zone del Gargano questo santuario è in particolar modo invischiato in antiche storie di magia, riti sacri e pagani e mitologia.
Alla figura divinatoria dell'Iliade, ovvero Calcante, sarebbe dedicata la parte anteriore del santuario che, per altro, in epoca Paleolitica era già sede di insediamenti umani che beneficiavano del volere divino attraverso riti sacri. Il santuario si colloca sul monte Drion, monte delle querce che, se rimanda da un lato all'influsso di correnti celtiche, dall'altro ricorda il culto del Podalirio. Sembra infatti che questa zona fosse provvista di un'acqua salvifica utilizzata in detto culto per la guarigione di esseri umani e di animali.
La grotta è profonda 60mt e offre resti di un'arte antica, frutto della maestria di artigiani illustri che si manifesta attraverso affreschi e iscrizioni che arricchiscono le pareti e il pavimento sottostante. Molti degli antichi visitatori inoltre lasciavano segni testimoni del loro passaggio, la maggior parte senza alcun significato particolare, magari scarabocchi o l'incisione del proprio nome. Ma quattro epigrafi appaiono scritte in caratteri molto diversi dall'alfabeto tradizionale greco o latino. Si tratta delle famose rune, segni utilizzati nelle isole Britanniche tra il VI e il IX secolo.
La funzione delle rune è ben diversa da quella delle lettere dell'alfabeto comune. Esse non servivano per scrivere testi o come elementi minimi di un significato più vasto. Essere erano già di per sé significanti, alla stregua di un'intera parola. Avevano carattere molto spesso iniziatico o un utilizzo magico-sacrale. Appaiono senza alcuna curva, sotto forma di segni angolari e spigolosi, al fine di essere tracciate su supporti di materiale diverso, quali le pietre, il legno o altri elementi della natura. Tali segni rimandano all'antica saggezza druidica di tradizione celtica e contengono frammenti di una scienza a noi sconosciuta, che considerava l'uomo nel suo aspetto bipolare di corpo e anima. Tali cognizioni erano a fruizione di pochi eletti che entravano a far parte di una sorta di "casta" sacerdotale (ma non solo) dopo un apprendistato durato circa 20 anni.
La zona del santuario è ricordata anche da Strabone come luogo di antichi culti: "Nel territorio della Daunia, su un monte chiamato Drion esistono due templi: uno sulla sommità, dedicato a Calcante, e l'altro, sulla parte più bassa, a cento stadi dal mare, dedicato a Podalirio."
La grotta dedicata all'arcangelo Michele diventa così luogo di incrocio di culture, religioni ed etnie diverse.

Per quello che riguarda la sua storia si apprende sia stata luogo di apparizioni mistiche almeno tre volte.
La leggenda racconta che un vecchio contadino si aggirasse nei pressi della cava alla ricerca di un toro (simbolo di fetilità) che era scappato dal resto della mandria e, trovatolo nella grotta, gli scagliò una freccia contro. Questa, però, anziché colpire la bestia tornò indietro a colpire l'uomo. Questo evento sarebbe stato considerato un segno misterico dal vescovo di Siponto che si recò sul luogo dove l'arcangelo si manifestò dichiarandosi effettivamente il responsabile del misfatto con tali parole:
"Io sono l 'Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta; io stesso ne sono il vigile custode... Là dove si spalanca la roccia possono essere perdonati i peccati degli uomini... Quel che sarà qui chiesto nella preghiera sarà esaudito. Va', perciò, sulla montagna e dedica la grotta al culto cristiano". Ma, poiché il luogo aveva ospitato culti pagani, il vescovo esitò non poco prima di consacrare la grotta.
In un secondo un aneddoto la chiesetta sarebbe sì stata spesso utilizzata dalle popolazioni primitive come culto di riti pagani ma, poi, consacrata nel 493 dal vescovo di Siponto per premiare la cittadina che aveva saputo resistere a un'incursione barbarica grazie alla premonizione dell'arcangelo assicurante la vittoria sui nemici.
Quando il vescovo, secondo la tradizione storica, si decise così a consacrare la grotta all'arcangelo questi gli apparve per dichiarare che egli stesso l'aveva già fatto. Il vescovo organizzò così una processione durante la quale si verificarono eventi straordinari: alcune aquile, durante il cammino dei monaci, li protessero con le loro ali dai raggi cocenti del sole (era Settembre). Quando giunsero alla grotta vi trovarono con grande sorpresa un altare coperto da un mantello color porpora e, nella pietra, l'impronta del piede di un bambino, segni soprannaturali lasciati dal Santo come reliquie.

Un'altra apparizione non ben testimoniata sarebbe avvenuta alla presenza di Enrico II che volle trascorrere una notte da solo nella grotta.

Della terza sarebbe stato invece testimone l'arcivescovo Piccinelli che ne l 1656 si trovò a dover debellare un'orrida ondata di peste che travolse tutto il Mezzogiorno.
Fu così che implorò l'arcangelo di mettere fine alla peste. Egli avrebbe ascoltato le sue preghiere suggerendogli di prendere delle pietre dalla cava, di segnarle con una croce e di darle ai malati come talismano finalizzato alla guarigione. I documenti storici dell'epoca attesterebbero che le cose andarono esattamente a buon fine e che, non solo i malati della zona, ma chiunque riuscisse a entrare in possesso di una pietrolina guarì dalla peste.
Come ringraziamento l'arcivescovo volle veder costruire nella piazza del paese una statua in onore a S. Michele che porta la seguente iscrizione in latino:

AL PRINCIPE DEGLI ANGELI
VINCITORE DELLA PESTE
PATRONO E CUSTODE
MONUMENTO
DI ETERNA GRATITUDINE
ALFONSO PUCCINELLI
(1656)


In realtà pare che l'utilizzo di talismani simili sia riconducibile ad antichi culti pagani che i monaci cercarono di arginare senza risultati, esattamente come avvenne per la venerazione dell'acqua salvifica che filtrava attraverso la grotta per finire in un piccolo pozzo.
Inoltre lo studioso Aldo Tavolato avrebbe identificato su alcune simulacri della chiesetta l'"omphalos", ovvero la triplice cinta, simbolo ricco di riferimenti di tipo ermetico.
Sempre su una lapide, in alto a destra rispetto alla porta d'ingresso della chiesetta si trova un'iscrizione che recita: "Terribilis est locus iste hic domus est dei et porta coeli" (questo è un luogo terribile, è la casa di Dio e la porta del cielo).
Così la grotta dal culto micaelico e la relativa cittadina di epoca medievale divennero ben presto un crocevia per pellegrinaggi dai posti più disparati del mondo e per scambi commerciali e culturali non indifferenti. In particolare questa misteriosa zona del Mezzogiorno suscitò attrazione nei popoli Longobardi che videro nella figura dell'arcangelo Michele una trasposizione del loro dio della guerra Wotan, che l'iconografia classica definiva dotato di spada e scudo, simile a un guerriero. La grotta sacra infatti custodisce al suo interno una statua di marmo scolpita da Andrea Sansovino rappresentante il santo in atteggiamento di guerriero vittorioso mentre calpesta un essere mostruoso. Questo cimelio è custodito in un'urna d'argento e cristallo di Boemia.
I longobardi ne fecero così tappa importante della famosa "Via sacra Longobardorum" che si snodava da Benevento lungo l'antica Via Traiana, fino a san Severo di Puglia e infine a Monte Sant'Angelo.
La consacrazione del posto, rifugio nel X secolo per i cristiani contro gli avamposti bizantini, rese necessario pensare a strutture che potessero ospitare i pellegrini, per cui l'antico quartiere Junno, ancor oggi visibile e caratteristico per la molteplicità di palazzotti bassi con porta centinata sormontata da un unico piccolo balconcino, fungeva da nucleo centrale da cui si sarebbe poi sviluppato il resto del paese in tempi più recenti. Le cinta murarie del paese testimoniano la presenza normanna e quella aragonese. Inizialmente il santuario e il villaggio costituivano due nuclei separati ma, dopo la costruzione della prima cinta muraria nell'XI secolo, la rivalità tra popolo civile e popolo religioso fu estinta quasi del tutto, mentre quella che fu la parte costruita nel XIII secolo, la terza cinta muraria, è ancora relativamente visitabile.
Si vocifera ancor oggi che, durante particolari notti, nel santuario di Monte Sant'Angelo si sprigionerebbero forze sovrumane e alcuni abitanti del luogo avrebbero assistito a strane apparizioni. Sicuramente la bellezza paesaggistica del posto e la suggestione delle numerose testimonianze artistiche all'interno della grotta (statue, affreschi, pitture su legno, la cattedra di Acceptus e icone in bronzo del santo) scatenano la fantasia popolare. Ma la storia sembrerebbe suggellare la magia di questa zona che conserva alcune tra le tracce più antiche e variegate di tutta Italia e, quindi, credi e apparizioni sembrano legittimati in modo quasi incontestabile.


di Paola Mastrorilli
nyamh@libero.it