Lo scorso febbraio uno studio del DNA di 16 mummie reali, pubblicato sul Journal of the American Medical Association (vol 303, p 638), aveva concluso tra le altre cose che il padre di Tutankhamon era Akhenaton, che i suoi genitori erano fratelli e che i due feti mummificati trovati nella sua tomba erano probabilmente sue figlie (vedi qui tutti i risultati).
L'analisi era stata svolta da un team egiziano coordinato da Zahi Hawass e supervisionata da due consulenti stranieri: Albert Zink, dell'Accademia Europea di Bolzano (EURAC), e di Carsten Pusch, dell'Università di Tubinga, in Germania.
Sembravano chiariti una volta per tutte i misteri che circondavano quell'antica famiglia reale, ora però molti genetisti sollevano dubbi sulla validità di quell'analisi, e in particolare delle tecniche utilizzate.
Lungi dall'essere definitivo, lo studio "non è rigoroso o convincente" secondo Eline Lorenzen, del Center for GeoGenetics at the Natural History Museum di Copenhagen. "Molti di noi nella comunità [scientifica] sono sorpresi che [quella ricerca] sia stata pubblicata".
Ian Barnes, paleobiologo molecolare presso il Royal Holloway (University of London) dice: "Nella mia esperienza non è molto facile ottenere questi risultati. Io non riesco a farlo, e [tuttavia] per molto tempo ci ho provato".
Zink e i suoi colleghi si sono serviti dell'analisi dell'impronta genetica.
Tuttavia è raro che i ricercatori utilizzino questo approccio con campioni antichi, perché il DNA originale ha buone possibilità di degradarsi e contaminarsi. È invece più comune sequenziare il DNA mitocondriale (mtDNA): le cellule contengono infatti circa mille volte di più le "copie" di DNA mitocondriale rispetto a quelle del DNA genomico; ci sono più possibilità di trovare grandi campioni intatti.
Zink and Pusch difendono la loro scelta: dicono che hanno preso considerevoli precauzioni per evitare contaminazioni. Per esempio, hanno estratto campioni dalle parti più interne delle ossa delle mummie, e si sono serviti di laboratori speciali per non contaminare i reperti.
Altri però dubitano che tali precauzioni siano state sufficienti. Robert Connolly, scienziato dell'Università di Liverpool che ha classificato campioni di sangue della mummia di Tutankhamon negli anni '60, sostiene che dovrebbe essere difficile raggiungere le necessarie profondità in quelle sottili e fragili ossa â€" o in quelle dei due feti â€" per raggiungere del materiale incontaminato.
La Lorenzen aggiunge che molte persone â€" non solo il team di Hawass â€" hanno maneggiato le mummie da quando sono state tolte loro le bende. Gli autori dello studio avrebbero dovuto testare campioni non umani dalle tombe per avere una controprova, dice lei.
Per giudicare la qualità dei risultati pubblicati, la Lorenzen e altri chiedono di poter accedere ai dati "grezzi" (che non sono stati inclusi nella pubblicazione), ma Zink teme che i tali informazioni possano sollevare ulteriori discussioni sugli aspetti tecnici.
Ad ogni modo, Zink, Pusch e colleghi insistono nel dire che presto chiariranno i dubbi. Dicono di aver estratto anche il DNA mitocondriale e su questo stanno lavorando. Sperano di pubblicare i risultati quest'anno.
Ma i critici consigliano ancora prudenza. "Quando si lavora con campioni che sono così conosciuti, è importante convincere i lettori che si hanno i dati giusti", dice la Lorenzen. "Non sono convinta".
Fonte: New Scientist.
Già poco dopo la pubblicazione dello studio diversi studiosi avevano espresso la loro perplessità sulle conclusioni esposte.
In tale direzioni si erano mossi anche gli scienziati tedeschi del Bernhard Nocht Institute (BNI) for Tropical Medicine di Amburgo i quali, in una lettera mandata al Journal of the American Medical Association, avevano messo in dubbio l'attendibilità di quei dati genetici.
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