Lo speleologo goriziano Marco Meneghini ha partecipato, all'inizio di novembre, alla missione in Giordania organizzata dall'Università de L'Aquila e dal Consiglio Nazionale Ricerche, in collaborazione con la Società Speleologica Italiana (S.S.I.), finalizzata al rilevamento ed allo studio delle cavità realizzate dall'uomo nel sito archeologico medioevale di Shobak. La spedizione, composta da dieci partecipanti e guidata dal prof. Ezio Burri dell'ateneo de L'Aquila, si è occupata anche dello studio geologico ed idrogeologico della zona, con il rilevamento della presenza del gas radon nelle acque di sorgente e nelle cavità, e dello studio del paesaggio finalizzato alla ricostruzione delle sistemazioni agrarie del passato.
Per Meneghini, socio del Centro Ricerche Carsiche "C. Seppenhofer" di Gorizia e Curatore del Catasto Nazionale della Cavità Artificiali della S.S.I., è la seconda esperienza in Giordania: le missioni a cui ha preso parte nel 2009 e nel 2010 rientrano nel più ampio progetto di ricerca archeologica condotto dall'Università degli Studi di Firenze nel castello crociato di Shobak, per lo studio del periodo medioevale nell'area adiacente la nota e ben più antica città di Petra. La presenza di numerosi ed interessanti ipogei di origine antropica, ovvero scavati dall'uomo nel corso di epoche passate per le più svariate esigenze, ha richiesto il supporto degli speleologi che, grazie alle competenze maturate nella progressione in sicurezza negli ambienti sotterranei ed alla loro conoscenza, hanno potuto documentare siti e manufatti difficilmente raggiungibili che hanno permesso di comprendere meglio la strutturazione dell'intero sito fortificato e delle zone circostanti che gravitavano su di esso. Il castello di Shobak (la Montreal dei crociati), assieme a quello di Kerak, costituiva uno dei più importanti baluardi cristiani a difesa della Terrasanta: i luoghi degli scontri più epocali fra Arabi e Cristiani per il controllo del Medio Oriente, fatti di lunghi assedi a fortezze che passarono più volte di mano fra i contendenti, che lasciarono su di esse quei segni del loro passaggio che ora gli studiosi cercano di far riemergere da un tormentato ma epico passato.
Il team esplorativo speleologico si è occupato della ricognizione e del rilevamento topografico di alcuni sistemi di abitazioni sotterranee, la cui documentazione permette di ricostruire il sistema insediativo che gravitava sul castello: una vera e propria città la cui economia era sostenuta dalla coltivazione degli alberi da frutto, i cui prodotti venivano esportati a grande distanza. Un sistema di vita agricolo perfettamente autosufficiente legato all'oculato sfruttamento delle risorse naturali, in primo luogo l'acqua che sgorgava da tre sorgenti vicine al castello che, dopo secoli, furono incanalate una trentina di anni fa per rifornire d'acqua la vicina città di Tafileh, provocando l'abbandono degli insediamenti attorno a Shobak con una progressiva desertificazione dell'area.
Gli ipogei insediativi studiati sono di difficile datazione, ma portano segni di frequentazioni protrattesi fino a poche decine di anni fa. Oltre ad alcune ampie caverne utilizzate sia come abitazione che come stalla e piccionaia, gli speleologi, solo grazie all'utilizzo delle tecniche di risalita su corda utilizzate in grotta, hanno potuto raggiungere e rilevare delle cavità di due antichi insediamenti poste in parete: uno dei siti si presume di epoca bizantina, ma oggetto di successivi riutilizzi e rimaneggiamenti.
Nel primo villaggio, è stata rilevata una cavità in cui è stata rinvenuta una croce incisa a parete con resti di intonaco posto su vari strati e in parte dipinto di colore rosso. Nelle immediate adiacenze sono state rilevate due cisterne per l'acqua a parete ed altre caverne. Qui, nel 2009, la stessa spedizione aveva scoperto una cappella rupestre con acquasantiera incavata nella roccia e resti di sepolture. Ciò potrebbe far pensare che l'intero complesso fosse un eremo rupestre, antecedente al periodo crociato, usato in seguito sempre a scopi insediativi.
Nel secondo villaggio rupestre, all'interno di due cavità raggiungibili in sicurezza solamente con l'impiego di corde e imbragature, sono state rinvenute delle vasche perfettamente integre, costruite in fango e sassi, ed utilizzate come granai, di datazione incerta ma sicuramente costruiti seguendo modalità e tecniche antichissime. La roccia particolarmente friabile e soggetta a franamenti, suggerisce che il complesso sotterraneo poteva essere molto esteso, ma che è andato perduto a seguito di crolli, avvenuti anche in tempi relativamente recenti.
L'inaccessibilità dei luoghi ha preservato integri segni e manufatti che altrove sono andati irrimediabilmente perduti: il reperimento di queste informazioni mantenute segrete dalle cavità più inaccessibili, facilita ora le ricostruzioni archeologiche ed antropologiche.
Altre cavità sotterranee di tipo idraulico e insediativo di origine artificiale sono state individuate e catastate nei dintorni, quali una cisterna ed alcune stalle con le mangiatoie e gli anelli per legare gli animali incavati nella roccia: ma ciò che risulta particolarmente affascinante è la presenza di cunicoli di transito, in parte occlusi ed ancora da esplorare, sotto il castello di Shobak. Il più noto è la galleria che, partendo dall'interno delle mura, conduce alla sorgente sotterranea del Camaleonte, che permetteva un sicuro approvvigionamento d'acqua in caso di assedio, ma altri imbocchi che necessitano un lavoro di scavo per essere percorribili sono stati individuati: si presume facciano parte di un sistema difensivo piuttosto articolato, anche se per esserne certi, è necessario effettuare accurati approfondimenti ed impegnativi lavori di scavo, con un notevole impegno di tempo e di risorse.
Durante la spedizione di quest'anno gli speleologi hanno comunque potuto incentrare l'attenzione su un misterioso cunicolo, già noto agli archeologi che lo fanno risalire ad un'epoca precedente all'impianto crociato del castello (XII secolo), ma le cui funzioni non sono state chiarite. La galleria si diparte dall'interno della chiesa bassa del castello, dedicata a San Giovanni, (essendo stata realizzata dai cavalieri dell'ordine ospitaliero di San Giovanni, oggi cavalieri di Malta), e segue un tortuoso percorso in discesa, con frequenti cambi di direzione. Tutto fa supporre ad una via di uscita dalle mura del castello, se non che il cunicolo si interrompe in una parete di roccia viva, segno di un probabile abbandono dello scavo. E' stato effettuato un accurato rilievo topografico della cavità, completo di documentazione fotografica, e, utilizzando gli apparecchi ARVA per la ricerca di dispersi in valanga si è potuto constatare come il percorso sotterraneo effettivamente esca dalla cerchia delle mura. Anche in questo caso sarebbero necessarie indagini più approfondite con il supporto degli archeologi già impegnati negli scavi del castello. Nelle prossime missioni, che saranno organizzate a partire già dalla primavera del prossimo anno, gli speleologi si occuperanno di questo ed altri affascinanti interrogativi.
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