Per molti secoli un'ossessione ha percorso Bologna come una corsa all'oro. E proprio di oro si tratta, quello del misterioso tesoro dei Templari forse sepolto nel rettangolo di città tra Strada Maggiore, via Torleone e vicolo Malgrado. Dopo la spoliazione dell'Ordine e il suo veloce decadimento ad opera di processi per eresia spesso conclusi sul rogo, gli ori e i preziosi che appartennero ai cavalieri sono stati oggetto della più lunga e infruttuosa ricerca della storia bolognese. Tuttora la vicenda è rimasta un enigma. Anche di recente fu progettata una campagna di scavi tra la chiesa di Santa Caterina in Strada Maggiore e i possedimenti dell'Opera pia Poveri e vergognosi, ma l'opposizione di alcuni privati ha fatto desistere dall'impresa. Così il "tesoro", a patto che esista davvero, forse rimarrà per sempre sottoterra.
Certo è che i Templari di ricchezze ne avevano messe da parte tantissime al punto da risultare, sul finire del Trecento, uno degli ordini più benestanti della città. La loro storia comincia nella prima metà del Duecento quando Bologna ribolle di fervore religioso. Nell'arco di pochi anni vi si incrociano Sant'Antonio da Padova, San Francesco e San Domenico. Un entusiasmo che si colora di politica con il predominio dei guelfi e che viene da lontano se già il papa Urbano II, alla vigilia della prima crociata, nel 1096, si sente in dovere di frenare l'ardore dei bolognesi ansiosi di imbarcarsi per Gerusalemme. I Templari crescono in questo fermento e ne rappresentano il braccio militare. Bologna e Ravenna sono gli avamposti dell'Occidente cristiano per le spedizioni in terra santa.
In arme, i cavalieri bolognesi si coprono di gloria e di conquiste nel corso della quinta crociata. Intorno al 1300 sono tra gli ordini più potenti della città. Quando, nel 1312, papa Clemente V dà disposizione che tutti i loro beni vengano trasferiti ai cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, l'elenco dei soli possedimenti immobili è lungo. Si va dalle "centodue tornature (un'unità di misura che corrisponde a quanto una coppia di buoi può arare in una giornata n. d. r.) a Russi, alle 53 più sette case a Fossolo, 50 a Marano più due case, 39 a Prativalle, 25 a Puzicalimli, 19 a Medicina, 11 a Castel San Pietro, un'altra ventina tra Varignana, Castel Bretone e Clusinati, a cui si aggiungono terre arative e boschive oltre il Panaro, fino ai possedimenti in città consistenti in dieci case, 500 clusi (un'altra unità di misura n. d. r.) di terreno coltivabile più quattro chiese: Santa Croce, Santa Maria Maddalena de Turlionibus, San Giovanni Battista e Santa Maria del Tempio.
Una fortuna cui si aggiunge il fantomatico "tesoro". Sulle sue tracce si mette Aristotile Fioravanti che nel 1464 concepisce e realizza, lo spostamento di dieci metri "in piedi" del campanile della chiesa dei Templari in Strada Maggiore. Un'impresa che gli varrà una fama europea al punto da essere poi incaricato della costruzione della Chiesa di San Basilio a Mosca. Il tutto con una motivazione così futile da apparire pretestuosa: l'ordine parte dal nobile Achille Malvezzi al quale il campanile ostruiva la vista. Per questo sborserà 150 monete d'oro all'intraprendente ingegnere che vincerà anche la furia di un temporale rassicurando i bolognesi con il figlio spedito sul campanile. In realtà, lo scopo è scavare alla ricerca dell'oro. Ricerca che prosegue anche successivamente e approda nel 1825 alla distruzione dello stesso campanile ad opera di Antonio Aldini in pieno furore di rinnovamento architettonico. Anche in questo caso fu intrapresa invano una campagna di scavi. Il resto della presenza dei Templari è cancellato dalle bombe alleate nel '44.
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