Che la valle del Panaro sia stata un centro di antichissimo insediamento ormai è cosa ampliamente dimostrata. La vicinanza con il fiume, che permetteva un facile approvvigionamento di acqua, e delle colline che assicuravano una buona esposizione al sole delle coltivazioni e una sicura postazione difensiva hanno sempre reso queste zone estremamente vantaggiose per le popolazioni di tutte le epoche. Paesi come Spilamberto, ricco di ritrovamenti che vanno dalla preistoria all'età romana, al medioevo e ai Longobardi, o Savignano sul Panaro, sede di un villaggio preistorico scoperto durante gli scavi per la costruzione del municipio e luogo di rinvenimento dell'idoletto del paleolitico passato agli onori della cronaca con il nome di "Venere di Savignano", nonché di una importante necropoli villanoviana, non mancano mai di rivelare, in occasione degli scavi per la costruzione di edifici o di opere civili, vestigia del passato.
Ed è stato infatti proprio per la costruzione di una nuova rotonda che nella primavera scorsa, in località Magazzino di Savignano, gli operai del cantiere hanno visto emergere dal terreno, a circa 80 cm/ un metro da terra, una grande quantità di laterizi in ceramica (mattoni, tegole, cocci di vasi) nonché, dulcis in fundo, una serie di tesserine cubiche dai colori neutri e chiari, di circa un centimetro di lato, che hanno portato al ritrovamento di una porzione di mosaico intatta di fattura romana e probabilmente databile intorno al I/II secolo d.C. Dai documenti risulta che il sito fosse già stato scavato nel '700 e quindi già probabilmente deprivato dei manufatti più significativi nonché della parte centrale del mosaico stesso, che la presenza di alcune tessere di colore verde e turchino farebbe pensare essere la più raffinata e colorata. Si tratterebbe di un mosaico di tipo opus tessellatum (un tipo di mosaico a cubetti fino 2 cm di lato utilizzato per bordure, fondi o disegni geometrici) adiacente ad un altro pavimento invece costruito secondo la tecnica dell'opus signinum costituito da tessere distanziate che creano disegni geometrici su fondo in cacciopesto.
Questo affascinante elemento decorativo, la particolare posizione dell'edificio di cui esso faceva parte, in una zona pianeggiante posta appunto tra il fiume e le colline, e la presenza in loco di mattoni dal profilo circolare che lasciano intuire la presenza di colonne, hanno fatto giungere alla conclusione che ci si trovi davanti a quella che viene chiamata dagli studiosi una "villa rustica" romana, che corrisponderebbe all'odierna azienda agricola, un tipo di costruzione che incominciò a diffondersi nel III secolo a.C. con l'espansione di Roma verso il nord Italia e che fu soggetta nei secoli a varie modifiche ed evoluzioni. Nella sua forma base la villa rustica era composta però da diversi edifici suddivisi in due parti fondamentali, la pars dominica, cioè la parte abitata dai proprietari, di cui verosimilmente farebbe parte la porzione di pavimento venuta alla luce a Savignano, e la pars massaricia, fulcro dell'economia della casa, che comprendeva l'area in cui vivevano gli schiavi (pars rustica vera e propria) e quella in cui venivano effettuati i lavori domestici come la pressatura delle olive per l'olio o quella dell'uva per il vino ( pars fructuaria) nonchè la fabbricazione di oggetti ceramici per l'uso quotidiano.
In questi giorni gli archeologi stanno lavorando alla rimozione del prezioso mosaico, che verrà ricoperto da una colla idrosolubile e sollevato dalla base per poi essere trasportato in laboratorio, restaurato e messo in mostra presso il museo archeologico di Modena.
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