
Già non è facile interpretare correttamente i Vangeli. Ma quando i loro estensori citano frasi ed episodi quanto meno strani, la comprensione del testo si fa proibitiva. Anche per gli addetti ai lavori. Prendete i passi dove Gesù impone ai testimoni dei suoi miracoli «che nessuno venisse a saperlo». Ma come? Hanno visto camminare gli storpi e risorgere i morti, e non dovrebbero farne parola in giro? E poi: non doveva essere lo stesso Gesù a incentivare la divulgazione dei fatti clamorosi di cui era protagonista, anziché chiedere il silenzio? Un rebus nel quale José Miguel Garcia, teologo della prestigiosa Università Complutense di Madrid, si cimenta da anni e con risultati sorprendenti. Ospite del centro culturale di Milano ha voluto presentarli anche in Italia aggiungendo nuova legna al fuoco del mai sopito dibattito tra chi considera i Vangeli come una cronaca fedele dei fatti, scritta quasi in presa diretta, e quanti invece antepongono la finalità "catechetica" del testo sacro: meno reportage, più compendio del cristianesimo.
Il Vangelo di Marco, sul quale Garcia ha concentrato la sua lente, offre almeno due spunti per chiarire la portata del dissidio: la guarigione della figlia di Giairo (capitolo 5) e la confessione di Pietro a Cesarea (capitolo 8). In entrambi i casi, ecco l'enigmatica espressione di Gesù: «E raccomandava a loro con insistenza che nessuno lo sapesse». Più che l'apparente inspiegabilità della frase, a incuriosire Garcia è stato l'uso che di queste ripetute «ingiunzioni al silenzio» ha fatto certa critica testuale del secolo scorso giunta a ipotizzare una sorta di «segreto messianico», come lo definì nel 1901 William Wrede. In cosa consisterebbe? Wrede, il cui libro sul Vangelo di Marco molto influenzò l'esegesi del XX secolo, aveva teorizzato che le misteriose «ingiunzioni» sarebbero aggiunte successive a un testo già di per sé tardo. In sostanza, il Vangelo raccoglierebbe solo quel che la comunità cristiana credeva di Gesù: sarebbe cioè non una «relazione storica» ma un'«opera di fede», con la quale venne attribuita a Gesù la natura messianica che egli non avrebbe mai rivendicato. Di qui le «ingiunzioni» postume: «Secondo Wrede, per spiegare la discordanza tra i ricordi della vita reale di Gesù e il culto del Signore risorto - è la ricostruzione di Garcia - la Chiesa primitiva inventò il segreto messianico», cioè le altrimenti inesplicabili frasi per "zittire" discepoli e testimoni.
Oltre ad essere quanto meno contorta, la teoria di Wrede finisce per far credere che «la fede cristiana è uno schema, una interpretazione, un mito, un'ideologia che si sovrappone alla storia». Se questa è la tesi, per smontarla sarebbe cruciale la dimostrazione che i Vangeli sono stati scritti subito, e che le frasi sono dunque testuali. Secondo Garcia, gli evangelisti scrissero in aramaico e non in greco: fu l'approssimazione dei traduttori a causare errori nel testo che conosciamo.
Ripescando le probabili espressioni aramaiche, Garcia dimostra che nell'episodio di Giairo in realtà Gesù raccomandò «che il Figlio dell'uomo non fosse ringraziato per questo» mentre a Cesarea ordinò «che vedessero sempre in lui il Figlio dell'uomo». Tutta un'altra cosa.
si ringrazia il dottor Donato Calabrese www.donatocalabrese.it






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