Individuato l´uso della tecnica sinòpiale per la costruzione dei mosaici sui pavimenti pompeiani. L'impiego di quel procedimento, già noto per le ville di Stabiae e così chiamato dalla terra di colore rosso (era utilizzata per tracciare le linee guida necessarie a una pittura parietale) che si trovava a Sinòpia, sul mar Rosso, è stato accertato per la prima volta sui mosaici della casa di Fabio Rufo, a Pompei, nell´Insula Occidentalis, una sorta di immenso condominio con vista sul golfo, abitato dai vip cittadini dell´epoca.
«In effetti - spiega Mario Grimaldi, l´archeologo dell´equipe di studiosi dell´Istituto Suor Orsola Benincasa che ha individuato quei mosaici di secondo stile - quando si doveva realizzare un´opera musiva importante, i maestri che guidavano la bottega incaricata del lavoro mettevano in pratica un mezzo semplicissimo: tracciavano disegno e scene sul pavimento nudo e le dipingevano con gli identici colori dei marmi che vi sarebbero stati incollati sopra».
In quella maniera per l´operaio posatore, che poteva anche essere a digiuno di ogni tecnica, non ci sarebbe stata nessuna possibilità di sbagliare su numero e colore delle tessere da inserire. Le scoperte tuttavia non si fermano ai mosaici.
Le indagini hanno permesso di svelare come la casa di Marco Fabio Rufo fosse una vera e propria villa e tra le più belle della città. Gli architetti di 2000 anni fa, partendo da un nucleo base fatto di abitazioni senza alcuna pretesa, erano riusciti a realizzare un unico fabbricato a più livelli.
C´era un portico esterno, in tufo giallo, con un giardino al cui centro si trovavano fontane con giochi d´acqua. L´ambiente, poi, continuava con una serie di giardini pensili degradanti verso il mare, distante solo qualche centinaio di metri.
Le scoperte fatte nella casa di Rufo e le altre nelle case e nelle ville adiacenti (Umbricio Scauro, Maio Castricio, Casa del Bracciale d´oro, lo scavo del principe di Montenegro) hanno quindi consentito la pubblicazione di Pompei, insula Occidentalis, saggio imponente, che accoglie tutti gli studi fatti di recente su circa trecento metri di fronte ovest della città.
Quell´area, indagata già nel 700 e nell´800, fu sistematicamente spogliata di oggetti e decorazioni confluite nei depositi e nelle collezioni del Museo nazionale di Napoli. Nel volume, coordinato da Masanori Aoyagi, professore emerito dell´Università di Tokio, e Umberto Pappalardo, docente all´Istituto universitario Suor Orsola Benincasa, al quale hanno messo mano archeologi ed esperti in ricostruzioni 3D (Varriale, De Simone, Ciardiello, Grimaldi, Esposito, Notomista, Piccirilli, Vallifuoco) e che è stato patrocinato dall´Università di Tokio attraverso il Centro Ricerche sulla pittura di quella istituzione, dunque propongono anche tutti gli apparati spostati da Pompei e oggi presenti nelle collezioni napoletane.
La presentazione del libro è prevista a Pompei, nel mese di giugno.
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