ROMA - Un'eruzione molto più violenta e devantante di quella che fece scomparire Pompei ed Ercolano, nel 79 dopo Cristo. E molto, molto tempo prima, circa 4000 anni. Il Vesuvio provocò allora, nell'antica età del bronzo, una catastrofe di proporzioni difficilmente immaginabili, sprigionando una potenza peggiore di quella finora conosciuta. La ricostruzione di quanto avvenne circa quattro millenni orsono, è pubblicata sulla rivista dell'Accademia delle scienze degli Stati Uniti, PNAS, e si deve a un gruppo italiano dell'Osservatorio Vesuviano-Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).
Impronte di adulti e bambini che, a migliaia, si allontanano dall'area intorno al Vesuvio, mentre il vulcano esplode in una pioggia di cenere e lapilli: sono rimaste impresse nel terreno quasi 4.000 anni fa e oggi hanno permesso di ricostruire la più violenta eruzione del Vesuvio mai documentata, tanto da poter diventare la nuova base sulla quale elaborare nuove mappe del rischio e piani di evacuazione.
Finora si credeva che l'eruzione più violenta del Vesuvio fosse stata quella di Pompei, nel 79 dopo Cristo, ma la ricerca pubblicata oggi sulla rivista dell'Accademia delle scienze degli Stati Uniti, PNAS, indica un evento ben più grave accaduto nell'Antica Età del Bronzo, nel 3780 avanti Cristo.
Di conseguenza diventa questo l'evento di riferimento per definire lo scenario estremo, il "peggiore possibile" da considerare nella mappa del rischio, hanno osservato i ricercatori, coordinati dal vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo, dell'Osservatorio Vesuviano-Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).
Allo studio hanno partecipato Lucia Pappalardo, dell'Osservatorio Vesuviano-INGV, l'antropologo Pierpaolo Petrone, del museo di Antropologia dell'università di Napoli Federico II, e l'esperto americano di vulcani ed eruzioni catastrofiche Michael Sheridan, dell'università di Buffalo. "Abbiamo fatto un passo in avanti nella conoscenza del Vesuvio", ha detto Mastrolorenzo. Dai modelli ottenuti sulla base dell'eruzione di Pompei era emerso che le aree a Nord di Napoli non erano a rischio. Ma la scoperta dell'eruzione avvenuta 4.000 anni fa ha dimostrato che un'eruzione del Vesuvio potrebbe rappresentare un rischio per tutta l'area attorno al vulcano, a 360 gradi, nel caso di un evento analogo a quello avvenuto nell'Età del Bronzo.
I siti archeologici che hanno permesso di ricostruire l'eruzione si trovano principalmente nella zona attorno a Nola e ad Avellino, ma anche a Nord di Napoli, a Gricignano e Afragola. L'eruzione ha avuto effetti devastanti in un'area che si estende fino a 15 chilometri dal vulcano e in tutti i siti considerati nello studio sono rimaste le testimonianze di una drammatica fuga: stoviglie abbandonate a terra nelle capanne e soprattutto le impronte di uomini e animali che cercavano di lasciare i villaggi non appena dal Vesuvio avevano cominciato a innalzarsi colonne di gas e cenere. Gli unici corpi dei quali sono rimasti i resti sono quelli di un uomo e di una donna, sepolti dalla cenere in una zona che si trova a circa 17 chilometri dal vulcano. Molti altri sono morti quando la concentrazione di ceneri nell'aria è aumentata al punto di penetrare nei bronchi e dare soffocamento.
In quella zona, secondo le stime dei ricercatori, vivevano da 10.000 a 20.000 persone.
La maggior parte di esse sono riuscite ad allontanarsi dal vulcano, ma l'eruzione deve avere comunque provocato migliaia di morti. Quando i sopravvissuti tornarono ai villaggi, provarono a ricostruire le capanne, come testimoniano i resti dei pali delle capanne trovati dagli studiosi. Ma i campi sommersi dalla cenere erano ormai impossibili da coltivare. Di colpo l'intera struttura sociale e agricola dei villaggi venne cancellata e per i due secoli successivi l'intera zona è rimasta disabitata.
"Studiamo gli eventi passati per comprendere quelli futuri e la ricerca è la base per conoscere il comportamento del vulcano, in modo da fornire ai politici gli strumenti per mettere a punto piani di emergenza e mappe di pericolosità", ha osservato il coordinatore della ricerca, il vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo. Il risultato che emerge dalla ricerca, ha aggiunto, è che "lo scenario estremo, il peggiore possibile di un'eruzione del Vesuvio, non è più Pompei".
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