Il fascino e l'arte dell'Antico Egitto si schiudono a Trieste accanto alle spoglie di uno dei padri dell'Archeologia, Johan Joachim Winckelmann, che proprio dalla civiltà del Nilo era stato al contempo attratto e confuso. Perché lui, il teorico del Neoclassicismo e dell'archeologia come storia dell'arte antica, il concetto di "bello" lo aveva costruito direttamente sull'arte greca dalla "nobile semplicità e quieta grandezza". Invece l'arte dei faraoni l'aveva conosciuta non "sul posto", ma a Roma catalogando la sterminata collezione del nipote di papa Clemente XI, il cardinale Alessandro Albani. Solo nel 1768, a 51 anni, quando ormai erano quattro che aveva dato alle stampe la sua opera più importante "Storia dell'arte dell'antichità", aveva finalmente ultimato i preparativi per salpare per l'Egitto e coronare così il suo sogno. Ma una mano assassina con una coltellata mortale spense per sempre quel sogno in una locanda di Trieste.
Quasi 250 anni dopo, il capoluogo giuliano corona il desiderio del grande archeologo e storico dell'arte tedesco portando l'Antico Egitto proprio accanto alla sua tomba, sul colle di San Giusto, nell'Orto Lapidario del museo civico di Storia e arte. Nei secoli, attorno al monumento funebre del Winckelmann, erano state poste "memorie storiche" della città, testimonianze lapidee per onorare la figura dello studioso tedesco.
Ora c'è una vera e propria sezione di Egittologia che, con l'apertura di due nuove sale, riunisce in un'unica sede tutti i reperti egizi delle collezioni triestine che dal 1874 erano distribuite tra il museo d'arte e il museo di storia naturale. Così a luglio, grazie a un generoso finanziamento della famiglia Costantinides, per onorare la memoria di Giorgio Costantinides, due mummie con i loro sarcofagi, un pettorale e una maschera, oltre ad alcune mummie di coccodrillo (per ricordare i reperti più preziosi) hanno traslocato dai musei scientifici al colle della Cattedrale. Questa collezione è andata ad aggiungersi all'altro migliaio di oggetti del museo civico d'Arte, dal 2000 esposti con un nuovo allestimento, scenografico e coinvolgente.
«Questa riunificazione delle collezioni egizie», spiega Marzia Vidulli Torlo, «accresce la valenza scientifica e la valenza didattica della sezione dell'Antico Egitto a Trieste».
Tre mummie umane e alcune di animali, tre sarcofagi lignei figurati e dipinti, uno in granito e uno in calcare, vasi canopi, stele, un pyramidion, fogli di papiro, usciabti, bronzetti di dei e animali sacri, centinaia di amuleti, accanto a manufatti del periodo greco-romano, di quello copto e di vasellame islamico, riescono a illustrare molto bene i caratteri peculiari della civiltà della terra dei faraoni.
Tra le mummie umane esposte, quella di Pa-sen-en-Hor è intatta, ancora fasciata nelle sue bende, e solo le radiografie permetteranno di svelare i misteri che nasconde. C'è poi il famoso sarcofago Panfili, dalla famiglia triestina che lo donò al museo, in granito di Assuan, appartenuto a uno scriba.
Fanno parte della collezione anche quattro fogli di papiro di eccellente qualità, provenienti da un Libro dei Morti dello scriba Imen-hotep vissuto all'epoca della XVIII dinastia. Invece appartiene almeno alla dinastia successiva il pyramidion, piccola piramide in mattoni, posta sulle tombe del villaggio di Deir-el Medina, dove vivevano gli artisti e gli artigiani delle tombe della Valle dei Re.
Le collezioni sono frutto di donazioni e acquisti di triestini che nell'Ottocento e all'inizio del Novecento avevano intrattenuto rapporti con l'Egitto. Colpiti dalla bellezza dei manufatti antichi di questo Paese, "contagiati" dalla dilagante moda dell'egittomania, ne avevano acquistato alcuni di grande e piccolo valore. «In seguito», conclude Marzia Vidulli Torlo, «hanno ritenuto importante farli confluire nelle raccolte civiche perché potessero essere messi a disposizione di un più vasto pubblico». E ora sono visibili da tutti.
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