Gli archeologi potrebbero dover cambiare la loro visione del ruolo di Pompei nel commercio e nei traffici, dopo la scoperta recente di un esperto di ceramiche.
La studiosa australiana Jaye Pont del Museo di Culture Antiche all´Università di Macquarie dell´Università di Sydney, sostiene che gli antichi abitanti di Pompei acquistassero localmente le loro ceramiche e non le importassero da altre aree.
Pont sostiene che la scoperta potrebbe "creare subbuglio" nel mondo archeologico, in riferimento ai commerci nel Mediterraneo. I ricercatori potrebbero infatti dover ripensare alle etichette negli scaffali dei musei delle ceramiche, da sempre considerate provenire dalle estremità orientali dell´Impero Romano.
Pont si riferisce ad un particolare tipo di ceramica rossa di un quartiere della città di Pompei che si trovava sepolto sotto montagne di pietrisco e detriti del Monte Vesuvio, a seguito dell´eruzione del 79 d.VC.
Il quartiere fu abitato fino al IV secolo a.C., ed un gruppo internazionale di ricercatori, conosciuto come il Progetto Anglo-Americano a Pompei, vi ha trovato migliaia di campioni di ceramiche rosse.
Questo tipo di ceramiche veniva ricavato immergendo un piatto o coppa parzialmente asciugata in un miscuglio di acqua e argilla. In seguito il contenitore veniva cotto, e acquistava il colore rosso brillante.
In precedenza, gli archeologi avevano pensato che molto di questa ceramica fosse importata dalle remote propaggini orientali dell´Impero Romano, e che il resto provenisse dall´Italia settentrionale e dalla Francia Gallica.
Ma la Pont, che svolge il suo PhD sulle ceramiche e che è ella stessa una ceramista, ha trovato che tutte le ceramiche "importate" erano in realtà locali.
La Pont sostiene che la sua ricerca potrebbe "rovesciare" le vecchie nozioni sui traffici commerciali tra Pompei ed l´Impero Romano d´oriente.
Gli abitanti di Pompei ed altre aree come l´Africa settentrionale, dove le ceramiche sono state anche trovate, si ritiene commerciassero attivamente con l´Impero Romano orientale. "Il fatto che non abbia trovato un solo pezzo che si potesse dire importato, credo avrà ampie implicazioni per i traffici commerciali in quest´area".
Pont ed il geologo della Mecquarie University Dr Patrick Conaghen hanno esaminato 200 sezioni delle ceramiche al microscopio, ed osservato i piccoli fiocchi nell´argilla.
I fiocchi, che contenevano il minerale leucite, erano identici in composizione, ed unici per la regione della Baia di Napoli, dove si trova il Monte Vesuvio.
La maggior parte delle analisi scientifiche sono state svolte chimicamente ma non era stata svolta analisi scientifica in sezione microscopica, ha spiegato Pont. Ma ha dichiarato che l´analisi in sezione è stata piuttosto chiara.
Pont spiega che gli archeologi hanno commesso l´errore di credere che la ceramica fosse importata poiché vi erano molte variazioni nella colorazione e nella qualità delle ceramiche locali, in confronto alle ceramiche del nord dell´Italia.
E gli archeologi hanno basato la loro classificazione delle ceramiche su queste variazioni, ha dichiarato.
"Come ceramista, forse riesco a vedere cose che gli archeologi non vedono" ha dichiarato Pont. "In generale gli archeologi non comprendono come sia fatta la ceramica. Non possono identificare le tecniche di manifattura all´interno di un contenitore. Normalmente si basano sulle variazioni di colore per differenziare le terraglie.
"Io invece riesco a comprendere che perfino in fase di cottura, all´interno di uno stesso forno, le sfumature di colore possono variare a seconda che gli oggetti siano messi in alto o in basso rispetto al calore."
La ceramica è anche classificata per forma, ma la ceramica "non è una scienza esatta" ha spiegato.
La ceramica rossa di Pompei, nota come terra sigillata, si differenziava anche per le condizioni della copertura che colorava il contenitore.
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