Nuova scoperta archeologica a Canosa di Puglia, culla del cristianesimo pugliese, ricca di complessi paleocristiani fatti erigere da vescovo Sabino nel VI dopo Cristo. Una decorazione musiva rarissima, realizzata con tessere di color arancio, rosso scuro e blu, in calcare, ciottoli e pasta vitrea, che raffigura due cervi che si abbeverano ad un kantharos (una coppa per le libagioni), è emersa dagli scavi che trenta studiosi dell'Università di Foggia stanno svolgendo nell'area di San Giovanni al Piano.
"Si tratta di una importante scoperta – ha dichiarato Giuliano Volpe, rettore dell'Università e direttore dello scavo – perché l'iconografia di due animali non è mai stata attestata prima in Puglia ed è rarissima in altri complessi paleocristiani dell'Italia Meridionale". Il mosaico è stato rinvenuto il 20 ottobre, nel tardo pomeriggio, nell'ingresso della basilica di Santa Maria (metà IV – V s. d. C), la più antica cattedrale costruita a Canosa e una delle prime cattedrali realizzate in Puglia. La campagna di scavi ancora in corso, a cui partecipano circa 30 studenti e dottorandi dell'Università di Foggia, è diretta dai docenti Roberta Giuliani e Danilo Leone, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni archeologici della Puglia, con il Comune di Canosa e con la Fondazione Archeologica Canosina.
"Il ritrovamento, di enorme importanza, acquisirà agli occhi dei ricercatori e dei cittadini di Canosa una sicura centralità al pari del famoso mosaico che raffigura il pavone della basilica paleocristiana di San Leucio", ha tenuto a sottolineare Marisa Corrente, direttore archeologo della Soprintendenza per i Beni archeologici della Puglia. "L'area archeologica di Piano San Giovanni è come una miniera che ogni giorno ci regala preziosissimi reperti del nostro passato – ha detto il sindaco, Francesco Ventola - . Non è un caso, quindi, che si sia scelto di realizzare proprio in quest'area il museo archeologico. Ringrazio la Soprintendenza, l'Università di Foggia, la Fondazione archeologica canosina e soprattutto i giovani che sono qui a lavoro per il loro impegno e la loro attenzione nei riguardi della nostra storia".
"Una peculiarità del sito archeologico di Canosa, un unicum in Puglia e nell'Italia Meridionale, è quello di conservare tante testimonianze, tanti poli archeologici di notevolissimo rilievo, relativi al periodo paleocristiano, in una sola città – ha sottolineato Nicola Casamassima, assessore alle Attività culturali -: dal polo di san Giovanni sede della prima cattedrale con il Battistero "San Giovanni", a quello di san Pietro che è il luogo in cui Sabino fece costruire il proprio mausoleo insieme ad una grande basilica cimiteriale ed ad altre strutture abitative, a quello di San Leucio, una sorta di santuario prossimo alla città ma costruito al di fuori di essa nelle campagne adiacenti, alla necropoli del ponte della Lama, dove ci sono resti di sepolture e catacombe con chiare tracce di cristianizzazione degli inumati. Una caratteristica della città di Canosa che ci contraddistingue e che il Comune di Canosa ha inteso – da sempre - promuovere e valorizzare ".
La prima campagna di scavi fu effettuata nel 2006 grazie ai fondi del Comune di Canosa e del dipartimento di Scienze umane dell'Università di Foggia, a seguito dell'intuizione di Roberta Giuliani dell'esistenza di una chiesa preesistente alle costruzioni sabiniane del sesto secolo (Battistero san Giovanni). La campagna di scavo che gli archeologi stanno conducendo da circa due mesi, invece, è stata finanziata, con circa 40mila euro, dall'Assessorato regionale al Mediterraneo. I fondi fanno parte del progetto Canosa – Orikum (Albania) che prevede indagini nella città pugliese e nella baia di Valona, dove si sono realizzati, con circa la metà dei finanziamenti, indagini subacquee proprio nei pressi della città albanese. Una iniziativa ispirata alla ristrutturazione delle opere pubbliche di entrambe le città realizzate nel II secolo dopo Cristo dal senatore romano Erode Attico.
Al momento è stata indagata solo una piccola parte della chiesa, l'area comprendente il nartece (corridoio-porticato della basilica) parte della navata centrale e della navata meridionale. Solo, quindi, il 20% dell'intera chiesa, che, in base alla ricostruzione degli archeologi, doveva avere un'ampiezza pari a 20 metri per 40 metri.
"La parte antistante la cattedrale presentava un atrio scoperto rivestito di un tassellato policromo che riproduce un motivo a quadrati e cerchi che inscrivono una croce – ha detto Roberta Giuliani -. La chiesa ebbe una vita lunga, infatti, nell'alto medioevo (VIII – IX secolo d. C) furono realizzate tombe all'interno delle navate, ognuna delle quali, presenta numerose inumazioni sovrapposte. Nel corso del medioevo (XI– XIII s. d. c.) il monumento, cessata la sua funzione liturgica e utilizzato probabilmente per un periodo come luogo di sepoltura, venne occupato da alcune abitazioni. A questa fase, infatti, rimandano le fosse granarie intercettate all'interno della chiesa e due pozzi per la raccolta delle acque piovane. Queste strutture sono realizzate con materiale di spoglio, proveniente dalla chiesa, come dimostra tra l'altro una colonna in marmo verde cipollino, impiegata nuovamente in una delle strutture murarie".
Tra gli obiettivi futuri degli archeologi c'è l'ampliamento dell'area da scavare per riportare alla luce l'intero monumento, e un vasto progetto di restauro delle pavimentazioni musive e degli intonaci dipinti che ancora si conservano aderenti alle pareti, che richiedono interventi urgenti di consolidamento. Infatti, i resti della chiesa si trovano in una sorta di vasca, a quota molto più bassa rispetto alla zona circostante. Persiste, dunque, l'inevitabile rischio che possa fungere da bacino di raccolta delle acque piovane. "Si spera di poter lavorare – in un futuro prossimo - ad un progetto di conservazione e restauro complessivo di tutti gli elementi riportati alla luce e di concepire il piano di valorizzazione e fruizione dell'area archeologica", ha concluso Giuliani.
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