Lo scorso giugno, durante uno scavo nella catacomba di Santa Tecla a Roma, è emerso un volto inconfondibile: quello di Paolo di Tarso, l´apostolo delle genti. Il ritrovamento dell´affresco ha preceduto di pochi giorni un´altra sensazionale scoperta, avvenuta grazie a un´apposita sonda che ha consentito di rinvenire frammenti di porpora e d´oro entro il sepolcro dove riposano i resti dell´apostolo, in San Paolo Fuori le mura a Roma. A dare l´annuncio, cinquant´anni dopo l´identificazione delle spoglie di Pietro, è stato il Papa in persona. La presenza della porpora e dell´oro è uno straordinario distintivo dei Principi degli Apostoli.
L´affresco di Santa Tecla va ricordato perché è una delle prime icone raffiguranti San Paolo. Vi si notano i caratteri fisionomici che resteranno invariati per secoli, gli stessi che ritroviamo nelle più antiche descrizioni del suo volto: gote incavate, zigomi sporgenti, fronte ampia, naso aquilino. Si tratta di un aspetto un po´ severo e ispirato che calza perfettamente con la forte personalità di Paolo, cui l´iconografia antica volle aggiungere come simbolo la spada con la quale fu ucciso sulla via Ostiense, e il rotolo delle Lettere. La fisionomia dell´apostolo, tuttavia, non è rimasta inalterata; ha subìto mutamenti che sono giustificabili alla luce delle nuove forme artistiche che prendono piede durante il Rinascimento, quando alla ieraticità dell´arte medievale si sostituiscono forme più classicheggianti e monumentali. È il caso di Raffaello.
Una mostra allestita a Brescia nel Museo di Santa Giulia, dall´11 settembre all´8 novembre, dal titolo "Il volto di Saulo. Saggio di iconografia paolina" (curata da Marco Bona Castellotti), vuole delineare un ritratto straordinario di Saulo, a cominciare dalle prime testimonianze d´arte che lo riguardano, risalenti all´età paleocristiana, sino al Seicento. In tutto sono esposte nove opere che per importanza potrebbero costituire, ciascuna, altrettante singole mostre. I nove capolavori coprono un arco temporale di oltre un millennio e segnano il cammino della rappresentazione del volto dell´apostolo, che, nel IV secolo, aveva assimilato i tratti somatici del filosofo neoplatonico Plotino. Ciò avvenne non per appropriazione, ma perché i cristiani consideravano Saulo il doctor gentium, il filosofo per eccellenza che poteva senza dubbio gareggiare con quelli dell´antichità pagana.
In uno splendido vetro catacombale, conservato nei Musei Vaticani ed esposto in mostra, Paolo è raffigurato mentre conversa insieme a Pietro; entrambi sono seduti e vestiti con il pallium come filosofi antichi. I "principi degli apostoli" si ritrovano anche sulla navicella in bronzo del Museo Archeologico di Firenze, oggetto prezioso che simboleggia la Chiesa in forma di nave, guidata da Pietro a prua e da Paolo a poppa che regge il timone e presenta la stessa tipologia del volto che avevamo già incontrato in ogni opera paleocristiana.
Nella Lipsanoteca di Brescia, stupefacente reliquiario in avorio forse commissionato da Sant´Ambrogio, accanto a un giovane Cristo quasi imberbe, Saulo spicca nei consueti tratti fisionomici, con le gote scavate, la calvizie e un´espressione fissa e assorta; la ritroviamo molto simile in una statuetta di bronzo proveniente da Cagliari. Qui San Paolo è da solo, perché Pietro è identificabile con la statuetta oggi ai musei di Berlino. Le principali caratteristiche del volto di Saulo resteranno più o meno invariate per tutto il Medioevo, come prova una bella tavola di Antonio Vivarini dipinta intorno al 1440. Con Raffaello – l´abbiamo già accennato – il volto dell´apostolo cambierà aspetto: verrà ringiovanito e la chioma ricciuta e folta gli nasconderà la calvizie.
Da Carracci a Serodine
Questa nuova fisionomia sarà ripresa e sviluppata dai pittori del cinquecento, in particolare nel frequente tema di Saulo sulla via di Damasco. A Brescia sono esposti due capolavori: la Conversione dipinta da Moretto per il Santuario milanese di Santa Maria presso San Celso e quella di Ludovico Carracci della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Il quadro di Moretto è il precedente diretto di Caravaggio, con Saulo caduto a terra dopo essere stato sbalzato da un cavallone spaventato, con le braccia volte al cielo. La tela non sfigura vicino a quella di Ludovico Carracci, più concitata e drammatica, quadro che si data intorno agli anni Ottanta del Cinquecento e anticipa, dal punto di vista scenografico, soluzioni barocche del secolo seguente. La mostra si chiude con un dipinto del Seicento di un pittore ticinese, morto poco più che trentenne, vissuto quasi tutta la sua breve vita a Roma. Seguace fra i più intelligenti e personali di Caravaggio, Giovanni Serodine fu una personalità singolare e autonoma; forse fu il solo, insieme a un altro caravaggesco dell´Italia del nord, Tanzio da Varallo, a cogliere nel profondo tutta la forza del messaggio religioso di Caravaggio. Nella tela della Galleria Nazionale di Palazzo Barberini è rappresentato il raro soggetto della Separazione di Pietro e Paolo sulla via Ostiense prima del martirio. Serodine celebra la potente testimonianza di Saulo che, al termine della sua vita terrena, scambia un ultimo sguardo con Pietro anch´esso pronto al martirio. Entrambi dimostrano la consapevolezza del sacrificio cui vanno incontro, nella certezza che questa separazione, questo strappo non equivaleva a una fine, bensì rappresentava un momento – arduo – di passaggio ad altra vita.
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