La comunicazione dei tre studiosi alla riunione scientifica del 1981 così prosegue:
«4. Tipologia, distribuzione e frequenza dei reperti ossei ...
Sulla paleosuperficie esaminata sono presenti 722 frammenti ossei ... Di questi ne sono stati determinati a livello di singola specie 365. Altri 157 frammenti ossei sono stati conteggiati per categorie sistematiche raggruppate...
Numerosi sono i resti craniali (15%), mentre minore è la frequenza delle vertebre (10, 7%)...
Orso: è presente con 15 reperti (2, 1%) ... in maggioranza mandibole e frammenti di ossa lunghe.
Elefante: è presente con 82 reperti (11, 4%) ... Il 32, 9% dei frammenti ossei di elefante è costituito da resti dentari, per lo più frammenti di zanne. Relativamente frequenti sono anche i resti di coste (22, 2%). Si sottolinea la totale assenza di ossa della scatola cranica ... I resti di elefante si distribuiscono prevalentemente nel settore ovest della paleosuperficie esaminata con resti anche di grandi dimensioni.
Rinoceronte: è presente con 103 reperti (14, 3%) ... Sono particolarmente abbondanti i resti cranici ... Frequenti sono anche i resti dentari e i frammenti mandibolari.
I frammenti cranici di questa specie sono distribuiti soprattutto nel settore Est.
Bisonte: è rappresentato da 162 frammenti ossei (22, 4%) ... numerosi sono soprattutto i resti cranici (20, 4%) ... Il bisonte, comunque, risulta ben rappresentato anche da altre porzioni anatomiche come, ad esempio, le ossa degli arti ...
Per quanto riguarda la distribuzione spaziale, i resti del bisonte presentano una sostanziale omogeneità, si rileva comunque una maggior concentrazione di frammenti cranici nella zona di maggior accumulo centrale.
Cervidi: sono presenti 13 reperti 9 dei quali rappresentati da corna di megacero ...
8. Blocchi, ciottoli e frammenti di travertino
Sono presenti con 1.256 reperti; si tratta di ciottoli di varie dimensioni e talora anche di grossi blocchi che presentano diversi gradi di alterazione e di fratturazione. Talora appoggiano direttamente sul limo lacustre (t.3b), che costituisce la base della paleosuperficie, più spesso invece sono mischiati alle ossa o le ricoprono.
I frammenti più grandi sono disposti in prevalenza lungo il margine ovest, a sud le dimensioni dei ciottoli sono più ridotte. Verso est la loro presenza tende a diminuire. Cinque grossi blocchi di travertino, che presentano un andamento subcircolare, sono posti al centro dell´area qui esaminata, due di questi sno a diretto contatto del limo (t.3b), tre invece poggiano su una grande quantità di frammenti ossei anche di grandi dimensioni.
9. Ciottoli di calcare e lastrine di selce non ritoccati
Sono presenti 70 lastrine, 66 in selce e 4 in calcare; si annoverano inoltre 214 ciottoli di cui 13 in selce e 201 in calcare. Ricordiamo, ancora, 15 frammenti di ciottoli in calcare.
Le dimensioni dei ciottoli risultano abbastanza varie con valori di lunghezza e larghezza compresi, rispettivamente, tra 20-120 mm e 20-80 mm. I reperti in calcare sono presenti in maggior quantità verso il limite sud, in questa parte si addensano anche numerosi ciottoli di travertino mentre sono molto scarsi i resti ossei. E´ possibile osservare che nella parte centrale della paleosuperficie presa in esame i ciottoli in calcare appaiono molto radi e di piccole dimensioni. In questa area frequenti sono invece le ossa e più numerosi i ciottoli in selce.
10. L´industria fitica in selce e calcare
Consta complessivamente di 130 reperti dei quali 72 in calcare e 58 in selce. Considerando la totalità dei reperti in calcare e selce lavorati non si osserva che la selce risulti più sfruttata del calcare per la scheggiatura.
Per quanto riguarda l´industria su ciottolo si ricorda la presenza di choppers, chopping-tools, rabots e numerosi nuclei; l´industria su scheggia, prevalentemente in selce, è, invece, nettamente dominata da strumenti denticolati, per lo più ottenuti con ritocco sopraelevato sommario...
Si rileva una sostanziale correlazione tra materia prima utilizzata e prodotto ottenuto: la selce, infatti, è maggiormente sfruttata per produrre strumenti su scheggia di piccole dimensioni, il calcare, invece, è utilizzato per ottenere strumenti su ciottolo di maggiori dimensioni. .
Gli elementi litici lavorati nel loro complesso sono distribuiti prevalentemente a semicerchio; ciò vale in particolare per i reperti in calcare. Essi si dispongono per lo più all´esterno dei grandi blocchi di travertino individuati al tetto della paleosuperficie (si veda paragrafo 8); nell´area centrale la presenza di reperti litici è sporadica.
11. Considerazioni conclusive
L´area analizzata in questo lavoro (circa 24 mq) pur rappresentando una piccola porzione della superficie fino ad ora messa in luce (circa 150 mq), ha restituito un elevato numero di reperti ossei appartenenti almeno ad una cinquantina di individui (M.N.I.) principalmente rappresentati da bisonti e rinoceronti (si veda paragrafo 4). Ciò difficilmente sembra armonizzarsi con una frequentazione di breve durata di un´ gruppo umano numericamente limitato.
D´altra parte non ci sono prove per ipotizzare l´attività di un gruppo umano numeroso. Non vi sono, poi, allo stato attuale delle ricerche, evidenze che consentano di avanzare la tesi di una frequentazione pluriennale del sito, magari con cadenze stagionali.
A nostro avviso è ancora prematuro avanzare precise ipotesi in relazione alla grande quantità di reperti ossei e litici, i quali evidentemente rappresentano una testimonianza di attività umane complesse. A tale proposito molti dati sembrano riconducibili ad una attività di macellazione; fra questi ricordiamo la presenza di ossa fratturate intenzionalmente, di elementi ossei in connessione anatomica, di un maggior numero di frammenti di arti anteriori rispetto ai posteriori, nel bisonte e nel rinoceronte e ancora la scarsità di vertebre in rapporto al Minimo Numero di Individui calcolato. Questi dati, Soprattutto quelli relativi agli arti e alle vertebre potrebbero indicare il trasporto di parti di carcasse di animali, ad esempio dal luogo dell´abbattimento al sito qui scavato (trasporto di quarti anteriori o posteriori, di porzioni craniche, ecc.), oppure dal sito ad altro luogo (ad esempio di porzioni toraciche).
Le particolari distribuzioni subcircolari dei travertini, dei ciottoli incalcare e degli elementi lavorati potrebbero accordarsi con la presenza di una qualche struttura abitativa edificata al di sopra della superficie e comunque non sembrerebbero poter contrastare con l´ipotesi di una intensa attività di macellazione».
La seconda comunicazione, presentata alla riunione scientifica del 1991 dagli studiosi P. Anconetani, G. Gusberti e C. Peretto, verteva Su alcuni nuovi reperti di bisonte (Bison schoetensacki Freudenberg) con tracce di fratturazione intenzionale del giacimento paleolitico di Isernia La Pineta.
Ancora il prof. Carlo Peretto, assieme ai colleghi Ferrari e Vianello, era autore della terza comunicazione, intitolata L´industria litica del II settore di scavo di Isernia La Pineta (Molise, Italia): caratteri tecnico-tipologici e distribuzione areale dei reperti (pag. 219). Qui sotto la presentazione dello studio.
«Il II settore di scavo di Isernia La Pineta ... esplorato su una superficie rettangolare di circa 19 x 5 m, ha restituito reperti osteologici (piccoli frammenti di diafisi e scarsi resti dentari) e forti concentrazioni di manufatti litici ricavati esclusivamente da selce (4.589 oggetti, così ripartiti: 1.296 strumenti, 100 nuclei, 1.529 schegge e 1.664 frammenti indeterminabili). In questa nota si presenta una sintesi delle osservazioni sulle principali caratteristiche tecniche e tipologiche dell´industria e sulla distribuzione plani metrica dei manufatti...».
Nel riassunto della comunicazione dei professori Peretto, Ferrari e Vianello si legge quanto segue (pag. 230).
«Fra le principali caratteristiche tecniche dei manufatti litici del II settore di Isernia, ricavati esclusivamente da selce per lo più di scadente qualità, si evidenziano: le ridotte dimensioni; i talloni lisci, estesi e fortemente inclinati, spesso interessati dal ritocco; l´elevata frequenza di schegge fratturate intenzionalmente, di oggetti a faccia ventrale diedra o triedra e di tracce dell´impiego di una tecnica bipolare; la fortissima affermazione di un ritocco sopraelevato sommario la cui localizzazione è indipendente dall´orientamento del supporto. Nel repertorio degli strumenti appaiono frequentissimi spine o becchi e denticolati, che insieme superano il 90%; ben rappresentati anche incavi, grattatoi frontali, grattatoi a muso dégagé e planes. Spesso gli apici di spine e becchi appaiono interessati da minuscoli stacchi lamellari sopraelevati, derivanti forse da un particolare uso, e tendono così a sfumare verso le morfologie dei grattatoi a muso dégagé.
La distribuzione planimetrica dei manufatti sulla superficie di scavo, di circa 19 x 5 m, indica una forte concentrazione degli elementi in un´area di circa 40 mq, in cui le frequenze relative dei reperti in rapporto alla loro tipologia appaiono del tutto simili a quelle riscontrate per la totalità degli oggetti. Le schegge si concentrano particolarmente in alcuni quadrati (qq. 51 e 61 e qq. 23 e 34) e sembrano disporsi per lo più lungo il perimetro dell´area di massima densità di tutti i reperti».
Di questa stessa comunicazione fanno parte anche gli studi: Orientamento dei reperti ossei e Segmenti ossei in posizione anatomica e resti combacianti.
RICOSTRUZIONE DELL´AMBIENTE
La città di Isernia si trova al centro di un bacino inframontano delimitato dalla catena montuosa delle Mainarde, a ovest, e dall´altopiano del Matese, a sud. Isernia ha alle sue spalle due vaste pianure: a est la piana attraversata dal fiume Carpino; a nord la piana da cui nasce il fiume Sordo. Questi due corsi d´acqua scendono verso sud incidendo profondamente la loro valle e creando così lo sperone di travertino su cui nacque l´abitato. Ad est il Carpino, quasi ai piedi della città, diventa affluente del torrente di Longano, mentre il Sordo, a nord della città, raccoglie le acque del fiume Rava, poi scende ad ovest dell´abitato per unirsi, a sud, con il torrente di Longano formando il fiume Cavaliere. Quest´ultimo, raccolte le acque del torrente Vandra e di tutti gli altri corsi che nascono attorno ad Isernia, si getta, poco a sud-est di Montaquila, nel fiume principale della valle: il Volturno.
Un altro corso d´acqua piuttosto importante nelle vicinanze di Isernia è il torrente Lorda che, scendendo da Castelpizzuto, si immette nei piano di San Vito, affiancando il Cavaliere, per confluire poi anch´esso nel Volturno.
Com´è evidente, quindi, i bacini idrici più importanti dell´alta valle del Volturno sono due: quello dell´altopiano di Rocchetta a Volturno (dove sorge l´Abbazia di San Vincenzo al Volturno), caratterizzato dalla presenza delle sorgenti del fiume, e l´area intorno ad Isernia con il quadro idrografico descritto. Scendendo lungo la sua valle, a sud di Venafro il Volturno trova una prima chiusa, formata dai monti San Leonardo e Cappella; una seconda chiusa si trova tra il Monte di San Ferdinando ed il Monte Monaco. Questo complesso sistema di rilievi e corsi d´acqua disegna ai piedi di Isernia un grande bacino idrico racchiuso tra le Mainarde a ovest, l´altopiano del Matese ad est, il vulcano di Roccamonfina ed il Monte Maggiore a sud.
Questa è la situazione geologica attuale, ma alla fine dell´interglaciale Donau-Günz, circa 1.200.000 anni fa, il paesaggio attorno ad Isernia era completamente diverso. In quel lontanissimo periodo, il panorama geologico doveva apparire molto simile all´altopiano del Matese o alla pianura di Boiano: l´area oggi occupata dall´abitato doveva trovarsi vicina a modesti rilievi montuosi o collinari che facevano corona a una vastissima pianura ricca di acqua, solcata da fiumi e con zone lacustri nella parte centrale. L´ambiente botanico è stato magnificamente ricostruito dalla prof.ssa Carla Alberta Accorsi analizzando le argille, sedimentate e poi sezionate dall´incisione del fiume Cavaliere, poco lontano dall´abitato paleolitico, poi descritte nella mostra veneziana del 1985: Homo. Viaggio alle origini della storia. L´apporto della palinologia nella ricostruzione dell´ambiente; (ma vedi anche: I reperti paleontologici del giacimento paleolitico di Isernia La Pineta, l´uomo e l´ambiente a cura di C. Peretto, Istituto per gli studi storici del Molise "V. Cuoco", Cosmo lannone editore, 1994).
Sulle montagne attorno all´area dell´attuale abitato si trovavano foreste, piuttosto folte, di conifere: pini, abeti, tsuga, cedri, ginepri (queste specie non appartengono più alla flora spontanea attuale, essendo state sostituite con il passare degli anni, per evoluzione, da altre specie della stessa famiglia). Sulle colline la flora a latifoglie era composta da frassini, querce, carpini di tipo betulus e orientalis, carpini neri, castagni (anche queste specie erano diverse dalle attuali) e Zelkova ulmacea pontica, una pianta simile agli olmi attuali, considerata uno dei più interessanti ed eleganti alberi rustici del Caucaso, dunque scomparsa dal nostro territorio.
Nel fondo delle valli e ai piedi delle colline, nelle zone umide, crescevano lecci, ontani, salici. Le erbacee erano in prevalenza composte da graminacee e dalle cicorie.
Secondo questa ricostruzione, dunque, si può affermare che nel bacino inframontano di Isernia si trovava un ambiente di foresta con clima temperato-fresco, simile a quello attualmente rilevabile in Asia orientale e nel Caucaso; ci si stava perciò avviando verso la glaciazione Günziana.
Duecentomila anni dopo (un milione di anni fa), alla fine del Pleistocene inferiore e dunque nel mezzo della glaciazione Günziana, il paesaggio attorno al bacino di Isernia doveva essere cambiato completamente: sulle montagne e sulle colline la foresta non è più fitta, si ha un panorama aperto con praterie pressappoco simili alla steppa. La foresta è dominata principalmente da conifere, soprattutto pini, poche betulle, tassi e basso agrifoglio; sono scomparsi il cedro e la Zelkova. Resiste ancora, tuttavia, un certo numero di latifoglie: querce, carpini e frassini e, nelle zone umide, salici e ontani. Dominano su tutto il territorio le piante erbacee; le più frequenti sono le cichorioidaeae (comunemente dette radicchio o cicoria), le graminacee, gli aster, le chenopodiaceae (di questa famiglia fanno parte anche gli spinaci e le bietole), l´Artemisia el´Ephedra. Nella piana sussiste una flora arborea legata all´ambiente umido e acquatico con Butomus, falasco (oggi impiegato per impagliare sedie e fiaschi), Lemnea o Lente d´acqua, giunchi, Sparganium (volgarmente detto biodo o coltellaccio); sul fondo dei laghetti, infine, si vedevano ondeggiare le helobiae.
Sempre lungo le sponde del fiume Cavaliere, sotto gli strati di travertino, nei livelli argillosi di circa tre metri di spessore, la prof.ssa Daniela Esu, durante le ricerche raccolse conchigliette di gasteropodi (chiocciole) pubblicate poi in "Isernia La Pineta. Un accampamento più antico di 700.000 anni, Calderini, 1983".
La raccolta malacologica comprende le seguenti specie: Lymnaea truncatula (Müller); Pupilla muscorum (Linnaeus); Succinea oblonga (Draparnaud) Vertigo pygmaea (Draparnaud); Vertigo moulinsiana (Dupuy); Vallonia pulchella (Müller). Tutte queste chiocciole vivono in un ambiente aperto, senza vegetazione arborea, con fenomeni ciclici a paludi o stagni e clima freddo-umido. Sommando i dati scientifici, botanici e faunistici, appare una situazione climatica più fredda e arida rispetto a quella di 200.000 anni prima.
Verso i 770.000 anni fa inizia l´interglaciale Günz-Mindel e di conseguenza il clima cambia di nuovo: la temperatura progressivamente aumenta, la foresta si diffonde nuovamente sulle montagne e sulle colline. Nella flora sulle alture sono presenti soprattutto le latifoglie con carpini neri, carpini tipo betula e orientalis, betulle, castagni, noccioli, querce, faggi, ecc. Tra le piante sempreverdi si contano lecci, olivi e vari arbusti tra cui mirti e pistacchi; nelle zone umide crescono ancora salici e ontani; le erbacee sono molto abbondanti: graminacee, cicorie, falasco, spinaci, cisti, ginestre, ferule, ortiche, ecc., le piante acquatiche sono rappresentate per lo più da Helobiae e Alisma (conosciuta oggi come mestola o mestolaccia).
Una flora tanto abbondante suggerisce un ambiente climatico con temperatura calda e abbondanza d´acqua. La pianura intorno a Isernia infatti era un immenso lago; questo lo si desume dalle ultime argille depositate sotto gli strati di travertino: non sono più le argille caratteristiche di acque stagnanti o paludose ma quelle di una sedimentazione sempre molto lenta e tipica di un lago. A confermare questa ipotesi sta il ritrovamento, nelle argille, di conchiglie e opercoli di gasteropodi dei generi Bithynia leachi (Sheppard) e Planorbis: fauna, questa, tipica di acque calme e lacustri.
Le acque di questo lago, tranquille e ricche di carbonato di calcio, con l´aumento della temperatura evaporarono più velocemente mettendo in moto il meccanismo chimico-fisico che ha portato alla formazione degli strati rocciosi di travertino. Il carbonato di calcio contenuto nell´acqua, cioè, precipitando più velocemente sul fondo del lago, si fissava sui resti putrefatti dei vegetali imprigionati nel sedimento al tempo della loro deposizione, formando così i banchi travertinosi.
Già in precedenza, circa 165 anni fa, lo studioso venafrano Leopoldo Pilla (nato il 20 ottobre 1805 e morto, in combattimento, durante la battaglia di Curtatone il 29 maggio 1848, alla testa dei suoi allievi volontari del corpo toscano dell´esercito piemontese), sosteneva che la vallata dell´alto Volturno, formata da travertino, quindi da calcare lacustre depositato da acque soprattutto sorgive nelle zone vulcaniche, derivasse da un grande lago. A conferma della sua tesi il geologo venafrano portava l´esempio dell´altipiano di Rocchetta a Volturno e la stessa Isernia, che sorge su una roccia travertinosa. A tale proposito non va scartata la tesi poi sostenuta da altri studiosi, i quali ritengono che il vulcano di Roccamonfina abbia avuto grande importanza nella formazione del piano alluvionale tra Isernia e Venafro, in quanto il vulcano, con le sue lave, avrebbe ostruito il corso del fiume Volturno. Il cratere del vulcano di Roccamonfina, infatti, si trova appunto molto vicino alle due "chiuse": quella tra i monti San Leonardo e Cappella e quella tra i monti San Ferdinando e Monaco. Il Volturno, quindi, avrebbe formato un ampio bacino lacustre per aprirsi poi, con lenta azione erosiva, la via verso il mare.
Durante il periodo di sedimentazione il bacino lacustre andò colmandosi con il suolo di travertino; questo suolo di travertino, tuttavia, era allo stesso tempo sottoposto anche ad attività tettoniche, cioè a deformazione e a fratturazione, con una fitte rete di faglie al suo interno. La potenza di questa fase tettonica, che sembra essere via via aumentata, portò ad un innalzamento dei rilievi collinari circostanti e alla scomparsa del lago nell´alta valle del Volturno, con la conseguente emersione dello strato travertinoso, concludendone così la formazione.
Prima di proseguire con il nostro argomento, è necessario precisare poche cose, ma molto importanti, per capire il comportamento "dell´Homo aeserniensis".
L´uomo, come tutti i mammiferi, doveva essenzialmente vivere vicino all´acqua; per questo motivo ha sempre scelto di costruire le sue città più importanti vicino a mari, laghi e fiumi (per individare gli abitati palafitticoli, ad esempio quelli del lago di Garda, bastava a volte cercare sulla carta topografica i luoghi delle sorgenti lungo le sponde del lago).
L´uomo usa ancora oggi i fiumi come vie di comunicazione e di trasporto delle merci, forza motrice, luoghi ideali per la caccia e la pesca, la difesa, ecc. Alcune di queste utilità sono di evidenza tanto elementare da rendere probabile che anche l´Homo erectus se ne servisse.
Tra i vari fattori che portarono all´evoluzione cerebrale dell´uomo, due furono fondamentali: la pigrizia e la comodità; anche noi oggi possiamo dire che le inventiamo tutte per vivere meglio.
All´incirca 736.000 anni fa, nell´interglaciale Günz-Mindel, il clima nei dintorni di Isernia era, come si è detto, temperato-caldo, con intense piogge nel periodo invernale. La flora era stupenda: alberi di latifoglie e sempreverdi sulle colline e sulle montagne; praterie di tipo steppico nella vasta pianura nata dal prosciugamento del lago (un panorama simile a quello delle steppe qui descritto si può osservare oggi nelle regioni centrali della Spagna), dove i fiumi scorrevano lenti; ipoteticamente, immaginiamo che uno di questi fiumi corrisponda all´attuale Volturno e che un altro, fra quelli che vi sono nel bacino idrico della zona di Isernia, corrisponda al Carpino.
I corsi d´acqua nella vastissima pianura creavano zone più o meno paludose lasciando scoperti piccoli isolotti di travertino (si riconoscono tuttora nelle vicinanze dell´Abbazia di San Vincenzo al Volturno, nella piana di Rocchetta a Volturno, e vennero utilizzati come base dall´uomo di Neanderthal e anche durante il Paleolitico superiore). In questo Eden viveva tutta la fauna già descritta, che era a disposizione dell´Uomo di Isernia che cacciava in particolare cervidi e orsi sulle colline, pachidermi e bisonti nella prateria.
Osservando la carta geologica disegnata dal prof. Mauro Cremaschi e pubblicata in Isernia La Pineta. "Un accampamento più antico di 700.000 anni, Calderinì 1983", possiamo immaginare che l´uomo abbia scelto, intelligentemente, un isolotto travertinoso sul lato est dell´immensa pianura, protetto da basse colline su tre lati e vicino ad un fiume. La località era ideale sotto tutti i punti di vista: era protetta naturalmente contro il rischio di essere travolti da eventuali animali messi in fuga perché spaventati da cause naturali quali incendi, terremoti, eruzioni vulcaniche, ecc.; il vicino fiume procurava la materia prima per costruire gli strumenti: ciottoli fluviali di calcare e blocchetti di selce (nuclei).
I proff. Massimo Sozzi, Sergio Vannucci e Orlando Vaselli stabilirono e scrissero in "Le industrie litiche del giacimento paleolitico di Isernia la Pineta, lannone 1984", che le selci rinvenute nel paleosuolo provenivano da strati selciferi affiorati fra le località Serre e Colle Calandrone, a est dell´abitato di Pesche (il fiume che scorre ai piedi di questi due colli è il Carpino).
Per immaginare come vivesse l´uomo nelle vicinanze di Isernia, in quel lontanissimo periodo, può essere utile ricordare ciò che scrisse David Livingstone (missionario scozzese, grande esploratore, nato a Clasgow nel 1813) quando, nel 1842, scoprì il piccolo e ormai prosciugato lago Ngami, nelle paludi dell´Okavango, nello stato del Botswana, in Africa meridionale:
«I Baieie: in mezzo agli altri popoli che si aggruppano intorno al lago, tutto attesta che essi sono gli abitanti più antichi; sono il vero popolo lacustre e fluviale, che ha imparato a combattere difeso dai suoi stagni e canali ... Abitano sulle sponde nord e nord-est del lago Ngami, e frammezzo ai suoi numerosi affluenti fin verso il Ciobe.
Esso si mostra nella scelta dei luoghi dove abitare: sono frequentissime le isole, le penisole, i tratti elevati nei gomiti dei fiumi.
Circondati dalle sponde basse e paludose dei fiumi, difesi contro i loro nemici, ma tanto più esposti alle mortifere febbri palustri ... Le capanne dei Baieie hanno forma di alveare, ottenute con bastoni piantati ad arco nel terreno e sono coperte di stuoie, e le costruiscono frequentemente sulle sponde o nelle isole del lago, il che, in questo paese, vuol dire che stanno gran parte del tempo dell´anno nell´acqua, ma pare che da lungo tempo siano avvezzi all´umidità.
Guazzando quasi sempre nell´acqua, hanno le piante dei piedi così molli che non reggono ad un lungo camminare sul terreno sodo. Solo una parte di loro ha orti che sono coltivati dalle donne. Gli uomini sono invece abilissimi nel guidare i loro tronchi d´albero sull´acqua, dove passano più tempo che non nelle capanne; sono anche valenti pescatori con la fiocina.
Fanno corde con una specie di canapa detta ife (Sansevieria, la pianta usata per decorare le nostre case per le sue foglie strette, rigide e verdi, più o meno variegate di grigio), abbondantissima presso le foci dei fiumi.
Danno la caccia agli ippopotami; fanno anche molte fosse coperte per prendervi gli animali che scendono ad abbeverarsi ... L´unica arma che maneggiano abilmente sono certe piccole lance uncinate, cosicché tra le fosse coperte e queste armi l´avvicinarsi ai loro villaggi non è senza pericolo. L´acqua stessa contribuisce ad alimentarli con numerose piante che vi crescono; mangiano le radici, gli steli, le foglie, i fiori e i semi del loto, i semi e le radici di certi giunchi e specialmente le radici del giunco tsetla (juncus serratus), che negli anni di carestia sono il principale alimento. Con mirabile temerità le loro donne scendono a cercare queste radici in acque infestate da coccodrilli. Sono anni tristi per i Baieie gli anni di piene, durante le quali queste piante alimentari restano a troppo profondità».
La descrizione del popolo Baieie resa da Livingstone non si discosta molto dallo stile di vita che doveva condurre l´uomo di allora nella piana dell´antico lago isernino che lentamente si trasformava in prateria.
Lungo le sponde di un fiume protetto da basse alture c´era un isolotto di travertino ideale per sostare durante la stagione della caccia ai branchi di animali che popolavano la zona.
Su questo isolotto, già coperto da una coltre erbosa le cui radici avevano cominciato ad intaccare la superficie dello strato travertinoso, circa 736.000 anni dopo si rinvenne, a una profondità di circa 4, 5 metri dal piano di campagna attuale, il più antico paleosuolo dell´abitato preistorico di Isernia (finora è stata studiata e siglata, come settore I, taglio 3c, una sola piccola parte di 44 mq).
Gli oggetti lasciati dall´uomo, le ossa e i manufatti, appoggiavano direttamente sul travertino e talora apparivano incrostati di calcare; fra di loro vi erano anche grossi frammenti di travertino disposti senza un ordine preciso; tutto ciò appariva distribuito sul suolo uniformemente.
Lo strato antropico conteneva gli stessi manufatti rinvenuti nello strato superiore: denticolati, raschiatoi, incavi, choppers, ecc. e resti delle stesse specie animali: bisonti, ippopotami, orsi, cervi, elefanti (di questa specie è stato rinvenuto un omero in splendide condizioni), ecc.
La vita umana in quell´ambiente probabilmente non era del tutto tranquilla: devono esserci stati infatti numerosi terremoti, tanto che alcune ossa e manufatti litici caddero nelle fessure provocate dai fenomeni tettonici di innalzamento del suolo.
Le lievi alture che proteggevano il primo paleosuolo hanno impedito che le acque del fiume in piena asportassero con la loro furia lo strato antropico, sul quale furono depositati soltanto strati sterili di limo per uno spessore di circa 50 cm.
I pellerossa dell´America del Nord erano, in alcune regioni all´inizio del 1800, prettamente cacciatori-raccoglitori e vennero studiati a fondo i loro sistemi di vita. Gli antropologi dell´epoca scrissero che la loro sussistenza era legata in modo particolare agli spostamenti dei branchi di bisonti. Come molti altri animali, i bisonti avevano un loro territorio e si spostavano sempre lungo le stesse piste; per questo motivo le tribù pellerossa avevano, lungo quei percorsi, campi base in punti ben precisi, attrezzati con trappole per la cattura degli animali. In questi accampamenti stagionali trascorrevano periodi lunghi anche parecchi mesi.
La "CASA"
Non è azzardato presumere che l´Homo erectus di Isernia non si comportasse come i pellerossa? Dopo l´esondazione. l´uomo preistorico, avendo trovato precedentemente nell´isolotto un luogo ideale per le proprie attività, non si sentì sconfitto dalle forze della natura e decise di bonificare il suolo reso molle dai limi e dall´argilla trasportati dal fiume. Se l´uomo di Isernia, per la bonifica del suolo abitativo, avesse utilizzato del legname, questo sarebbe marcito col passare del tempo; è forse per questo che decise di utilizzare particolari ossa per compiere questa bonifica. La quantità e la qualità delle ossa rinvenute nell´area abitativa suggerisce che qui l´uomo si sia fermato per diversi anni, seppure periodicamente.
L´uomo di Isernia tentò quindi di realizzare opere definitive, che gli consentissero di stare all´asciutto: depose le ossa scelte in modo ordinato e le selezionò secondo le proprie esigenze; infatti, ad esempio, in soli 30 metri quadrati vi sono oltre una trentina di crani di bisonte, con la sola parte della testa che regge le corna e privi della parte anteriore; altre parti scheletriche di questo animale sono costituite solo da denti isolati, mentre rarissime sono le vertebre e le ossa lunghe.
Osservando poi la particolare disposizione dei crani di bisonte sul pavimento, si nota un particolare importante: sono tutti, tranne uno, posizionati con la parte craniale in alto, e non con il palato; questa particolare sistemazione evitava il rischio di ferirsi i piedi camminando sui crani.
Stiamo dunque immaginando la struttura abitativa dell´uomo di Isernia sulla base delle osservazioni del suolo così come si presentava; è opportuno allora fare cenno alla struttura della casa preistorica.
La casa più antica finora scoperta si trova a Olduvai, in Tanzania; è stata costruita dall´Homo abilis, circa 1, 8 milioni d´anni fa, in cima a una colli netta di tufo. La presenza, attorno alla collinetta, di ossa di fenicottero e di radici di canna e papiro lascia supporre che la casa si trovasse vicino ad un lago ma in posizione elevata, come un basso promontorio. La struttura della casa è assai semplice: è un cerchio di pietre del diametro di circa 4 metri, con un muretto di pietre di lava messe le une sulle altre per un´altezza massima di 30 cm. Si può quindi immaginare una capanna circolare fatta di rami, con pietre di rinforzo alla base e tetto di paglia, come ancora le costruiscono gli Okombambi nell´Africa del sud. La costruzione di queste strutture abitative indica un insediamento continuo, della durata variabile da pochi giorni a qualche mese, che poteva essere stabilito con frequenza stagionale; questi abitati dimostrano inoltre che l´Homo abilis conduceva già una vita sociale.
La formazione del paleosuolo.
Vediamo ora come è costruito il paleosuolo di Isernia, osservando il grafico a pag. 196 e la figura a pag. 200.
Nell´area 1, sul lato ovest, il suolo archeologico si trova a contatto con il primo paleosuolo (t3c), le ossa sono molto fratturate, il pavimento è formato inoltre da una grande concentrazione di ciottoli medio-piccoli di calcare e travertino di circa 10-20 cm, i manufatti in selce sono pochi mentre abbondano quelli in calcare.
Le zone 2, 3, 4 e 5 poggiano tutte sul limo lacustre. Lo spazio 2 è strutturato con gli stessi oggetti del precedente (1) ed ha forma ovale. Il terreno 3, a nord-ovest, è composto quasi esclusivamente di ossa lunghe di elefante, frammiste a grossi ciottoli di travertino della misura di circa 25-40 cm e strumenti di calcare; tutto ciò, a volte, è mischiato insieme al limo. Nella superficie 5 notiamo una progressiva diminuzione della concentrazione di oggetti trasportati dall´uomo: le ossa sono di piccole dimensioni e gli strumenti sono sparsi un po´ su tutta l´area.
Il paleosuolo 4 è, a mio avviso, il più interessante: al suo interno vi è un´area semicircolare del diametro di tre metri e mezzo; alla base di questa, sul limo lacustre, sembra che l´uomo di Isernia abbia posto orizzontalmente del legname, forse tronchetti, sui quali abbia poi messo ossa lunghe, frammenti di omero e scapole di elefante, crani di bisonte e, in minore quantità, frammenti ossei di rinoceronte e pochissimi altri di megacero; naturalmente gli interspazi furono colmati con ciottoli, sia di calcare che di travertino.
Su questo pavimento vennero poi posati, in semicerchio, da ovest, nord e est, cinque grossi massi di travertino, il più grande dei quali misura circa 1, 5. m di lunghezza, 80 cm di larghezza e 50 cm di spessore.
All´esterno di questo semicerchio si nota, da nord a est, una striscia che corre quasi a contatto dei massi, larga circa 20 cm e priva di qualsiasi materiale, cioè sterile: che sia stata occupata da materiale deperibile come legname?
Esternamente a questa fascia sterile sono disposti, sempre a semicerchio e per una larghezza di m 1, 5 circa, crani di bisonte, ossa di rinoceronte e poche altre di elefante. Tornando all´interno dell´area semicircolare i tre studiosi, in "Struttura della paleosuperficie t3a del I settore di scavo di Isernia La Pineta", scrissero: «Si caratterizza per la grande concentrazione dei resti faunistici che si sovrappongono gli uni agli altri, per uno spessore dell´ordine di 10-40 cm. I ciottoli di calcare, e soprattutto i blocchi di travertino, si trovano non solo affiancati ai resti ossei ma spesso tendono a ricoprirli...».
Il prof. Mauro Cremaschi, inoltre, fa notare che «Alcune ossa sono infitte verticalmente per varie decine di cm nel limo non ancora consolidato...».
Ebbene, a me pare si possa dire (se non lo ha già fatto qualche altro studioso) che questa fosse la base di una "capanna" facente parte di un ampio accampamento ben organizzato, con spazi prestabiliti, come dimostrano quei pochi metri quadrati scavati finora.
Va tenuto presente che le popolazioni primitive tuttora esistenti, costruiscono capanne solo per dormire, mentre passano il giorno all´esterno e davanti alla capanna compiono i lavori domestici.
Questa stessa cosa è dimostrata chiaramente dal paleosuolo di Isernia: difatti l´area contrassegnata come zona 1 poggia sul primo paleosuolo (t3c), quello escluso dal limo, quindi più solido e adatto da essere usato per i lavori giornalieri; mentre per la notte, è stata costruita una solidissima e duratura capanna. Non è da escludere che durante il maltempo gli abitanti della capanna si riparassero al suo interno e si mettessero davanti all´ingresso a lavorare, come dimostra lo spazio ovale siglato come zona 2.
Questa bonifica del terreno me ne ricorda una uguale, realizzata su un´isoletta del laghetto di Fiave, in Trentino, dagli uomini dell´età del Bronzo; quella però era molto più recente, essendo stata realizzata circa 3.650 anni fa.
Tuttavia la cosa realmente straordinaria in tutto questo complesso di bonifica, che, se non vado errato, non è mai stata presa in considerazione, è la questione sul come siano stati trasportati e posizionati i grossi massi in travertino sistemati in semicerchio: sicuramente la sola forza umana non ci sarebbe mai riuscita, dunque l´Homo erectus di Isernia conosceva l´uso delle macchine semplici come il piano inclinato, il rullo e la leva.
Possiamo così affermare che la costruzione di quel paleosuolo sia una vera e propria opera di ingegneria.
Un´altra importantissima scoperta di questo straordinario giacimento preistorico è la più antica presenza dell´uso dell´ocra da parte dell´uomo in Europa.
Finora si sapeva che l´ocra rossa era stata usata nel nostro continente dall´uomo di Neanderthal; viene poi impiegata nelle sepolture del Paleolitico superiore, cosparsa sul terreno e sul cadavere, oltre che per le magnifiche pitture parietali nelle caverne.
Il suo uso è tuttavia molto più antico: venne ritrovata nel secondo strato del paleosuolo di Olduvai, in Tanzania, datato a circa 1.700.000 anni dal presente; Louis Leakey, l´antropologo che legò il proprio nome alla valle di Olduvai, sostiene che l´ocra rossa potrebbe essere stata impiegata per realizzare segni a carattere simbolico o decorativo anche sul corpo umano per cui si potrebbero vedere, nell´uso dell´ocra, le radici del simbolismo e dell´arte.
Le ocre si trovano generalmente in filoni fra rocce secondarie; rocce secondarie sono quelle che hanno formato le montagne del Matese e delle Mainarde. L´uomo di Isernia, quindi, se voleva utilizzare le ocre doveva recarsi in quelle zone, il che dimostra che conosceva benissimo il suo territorio, a meno che le abbia scambiate con altri suoi simili. (Recentemente a Monteroduni, in località Selvotta dove è in costruzione un nuovo stabilimento, è stato messo in luce un poderoso strato di limo simile a quello della Pineta, fra cui raccolsi alcuni manufatti in selce e un osso).
Tutte queste notizie, raccolte sin qui a Isernia La Pineta, mostrano dati scientifici finora impensabili. L´Homo erectus di 736.000 anni fa avrebbe parecchio in comune con gli aborigeni australiani o con gli Andanesi, che vivono in varie isole al largo delle coste occidentali della Malacca e sarebbero gli unici al mondo incapaci di accendere il fuoco, mentre conoscono la decorazione del viso con sostanze coloranti.
In quel periodo lontanissimo, nella gran parte dell´Italia centromeridionale, si verificarono cataclismi di enorme portata, con terremoti, che determinarono in parte l´innalzamento della dorsale appenninica, ed attività vulcaniche. Il vulcano di Roccamonfina ebbe sul giacimento di Isernia lo stesso effetto determinato dal Vesuvio su Ercolano, nell´anno 79 dell´era cristiana: una colata di fango vulcanico si abbatté sull´abitato preistorico che in un attimo venne sepolto; allo stesso tempo si formarono i limpidissimi cristalli di sanidino che oggi permettono a noi di datare quella catastrofe.
Se per l´Homo erectus, questi avvenimenti furono una disgrazia, per noi, rappresentanti dell´Homo sapiens sapiens, si tratta invece di un miracolo, poiché ci permisero di apprendere tutte le notizie e i dati scientifici che ben conosciamo.
Questi fenomeni naturali sconvolsero il bacino di Isernia: il travertino sotto l´antico lago si fratturò in blocchi e si formarono alture, dalle quali scesero fiumi che trasportarono sul paleosuolo, ghiaie, argille e limi. Gli accumuli di sedimenti fluviali cessarono e l´uomo, che assiste a questi cataclismi, tornò per la terza ed ultima volta al "vecchio" abitato, lasciando sul terreno moltissimi strumenti, poche ossa e le probabili tracce del fuoco.
Su questo paleosuolo ripresero deboli attività fluviali con nuovi depositi di ghiaie, sabbie e argille; seguì poi una sedimentazione fluviale e vulcanica con deposito di tufi.
Una nuova eruzione vulcanica si verificò circa 550.000 anni dal presente ed il tufo sigillò nuovamente tutto il deposito sottostante; sembra sia stata questa l´ultima grande attività del vulcano di Roccamonfina. Seguirono nuovi, violentissimi terremoti, come dimostra lo strato di tufo che si è fratturato alzandosi o abbassandosi (la stessa Isernia, a quanto risulta dai rilievi geologici, si è alzata in rapporto al paleosuolo di circa 40 metri).
Questi nuovi movimenti tellurici, spaccando la crosta terrestre, modificarono l´originaria inclinazione degli strati rocciosi, portando probabilmente anche allo spostamento del letto del fiume "Cavaliere", che venne "catturato" da una delle fenditure che si determinarono verticalmente durante i movimenti tettonici. Il fiume "Cavaliere", perciò, spostò il suo nuovo corso verso Isernia cominciando ad erodere la valle e lasciando intatto il paleosuolo (forse anche perché quest´ultimo venne protetto dalla corona di rocce terziarie che difese anche l´isoletta su cui venne costruito il primo abitato),
Questo fu un autentico miracolo: se ciò non fosse avvenuto, infatti, il fiume con la sua erosione avrebbe sicuramente distrutto l´abitato preistorico.
È doveroso terminare questa ricostruzione con le parole del prof. Carlo Peretto, responsabile del giacimento paleolitico:
«...E come una serie continua di eventi fortunati ne aveva permesso una eccezionale conservazione (fu scoperta la Pompei della preistoria n.d.r.), così anche la sua scoperta è stata occasionale e fortunosa. Non fosse stato per i poderosi sbancamenti effettuati per la superstrada Napoli-Vasto e la curiosità di un appassionato di Verona che, sposato a una molisana, trascorreva le ferie nella regione, quasi certamente del sito della Pineta di Isernia non si sarebbe mai avuta notizia».
Galleria fotografica presente sul sito www.veja.it
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