Roma - Presso gli Ebrei l'affermazione del monoteismo, accompagnato dall'aniconismo, cioè il divieto di rappresentare la divinità con immagini, è collocabile solo a partire dal VII secolo a.C. "E ancor più dopo l'esilio babilonese del VI secolo, quando di ritorno da Babilonia, grazie all'editto del re persiano Ciro il Grande, con la scomparsa delle strutture politiche, la comunità israelitica trovò nella fede religiosa il suo principale elemento di coesione nazionale".
È quanto sostiene Ida Oggiano, ricercatrice dell'Istituto per lo studio delle civiltà italiche e del Mediterraneo antico del CNR, nel volume "Dal terreno al divino. Archeologia del culto nella Palestina del primo millennio", edito da Carocci e presentato oggi a Roma nella sede del Consiglio nazionale delle ricerche.
A rivelare queste nuove datazioni sulla storia della religione in Palestina, in modo autonomo rispetto alla Bibbia, è l'archeologia, mediante l'interpretazione di testi materiali delle antiche pratiche di culto. Durante l'età del Ferro, spiega Ida Oggiano, nell'area palestinese convivevano numerose espressioni delle divinità: dalle statue ammonite, alle più umili ma assai espressive terrecotte di En Hazeva e Horvat Qimit, fino alle rappresentazioni divine in forma di simboli della glittica sia locale che d'importazione.
"Nella tradizione religiosa vicino-orientale esisteva anche una coppia divina - continua Oggiano - pertanto la rappresentazione di una divinità femminile accanto a Yahweh sarebbe coerente con quanto accade in altri ambiti religiosi di questo territorio. A testimoniare la presenza di una divinità femminile nella Giudea, tra VIII e VI secolo a.C., e' il ritrovamento di un tipo di figurina in terracotta, identificabile con una dea, forse Asherah, contraltare di Yahweh. Tale divinità è rappresentata con un corpo conoidale, privo di indicazione delle gambe e del sesso, con le braccia piegate a sostenere un grosso seno e il volto incorniciato da una capigliatura a casco movimentata da fitti riccioli di tipo egittizzante".
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