MILANO — Sette, meravigliose, ma, soprattutto, esistenti. Sono le nuove meraviglie del mondo. Il Colosseo di Roma, le rovine maya di Chichen Itzá (Messico), quelle inca di Machu Picchu, il Taj Mahal in India, la Grande muraglia cinese, il Cristo Redentore di Rio de Janeiro (Brasile), Petra in Giordania. Sono state votate tra ventuno finaliste selezionate fra 200 siti dall'ex direttore dell'Unesco, lo spagnolo Federico Mayor. Fuori dalla lista, quindi: l'Acropoli di Atene (Grecia), l'Alhambra di Granada (Spagna), i templi di Angkor Wat (Cambogia), le statue dell'isola di Pasqua (Cile), la torre Eiffel di Parigi, Santa Sofia a Istanbul, il tempio di Kiyomizu, a Kyoto, il Cremlino di Mosca, il castello di Neuschwanstein in Baviera, le piramidi di Giza (premiate, fuori concorso, come «Meraviglia d'onore»), la Statua della libertà di New York, il monumento preistorico di Stonehenge, l'Opera di Sydney in Australia, e il complesso urbano di Timbuktu, nel Mali. Monumenti grandiosi, eletti a furor di popolo. In un giorno non a caso. Sette luglio 2007. Vale a dire sette-sette-zero sette. Sequenza magica, per chi ci crede, a contorno di un evento mediatico senza precedenti. Ma la lista delle neo-meraviglie non sembra nata sotto i migliori auspici. Ieri la proclamazione allo Stadio da Luz di Lisbona, in Portogallo, davanti a 40 mila persone.
Al termine di uno show, in diretta tv, alla presenza di volti noti dello spettacolo e non, da Jennifer Lopez a José Carreras, da Cristiano Ronaldo ad Alessandro Safina. Grande assente, però, proprio l'Unesco. Un'assenza voluta, epilogo di un'annosa polemica. In discussione la campagna mediatica e il metodo della votazione: un referendum da cento milioni di clic, preferenze virtuali espresse su un sito ad hoc o per Sms, pervenute da tutti i continenti, che in teoria dovrebbero scalzare le vecchie, o meglio, antiche icone di quelle meraviglie che dal III secolo avanti Cristo hanno dominato il pianeta. Il Faro di Alessandria, il Tempio di Artemide, la Statua di Zeus, il Colosso di Rodi, i Giardini di Babilonia e il Mausoleo di Alicarnasso, monumenti scomparsi, ad eccezione della piramide di Cheope, a Giza (Egitto), che, in controtendenza, ha perso solo una decina di centimetri in altezza.
Meraviglie da dimenticare? Per l'Unesco pare proprio di no. Ecco l'inghippo. Nonostante i numeri e le adesioni, l'Organizzazione mondiale della cultura non riconosce le neoelette: «La lista — precisa — è frutto di un'iniziativa privata che non potrà contribuire in maniera significativa alla conservazione dei siti prescelti». E aggiunge: «Non c'è alcun punto di paragone tra l'iniziativa mediatica e il lavoro scientifico ed educativo che porta all'iscrizione dei siti sulla lista del Patrimonio mondiale». A nulla è valsa la consulenza dell'ex direttore Mayor. Sotto accusa, invece, l'intera operazione, giudicata meramente commerciale. Come finirà? Lo diranno i bilanci delle donazioni e fondi raccolti. Per il momento poco soddisfacenti, a sentire Bernard Weber, il miliardario svizzero-canadese che nel 2000 ha lanciato il concorso per le mirabilie. Con un'idea di partenza: ricostruire i Buddha giganti di Bamiyam distrutti dai Talebani. Intanto è già pronto un nuovo progetto: le «sette meraviglie delle Natura». E da oggi si torna a votare.
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