Gli antichi egiziani credevano nell´importanza di fornire un adeguato corredo al corpo per la vita oltre la vita, e non solo per mezzo della mummificazione. Un nuovo studio rivela che Re Tutankhamun ebbe una scorta di vino rosso per affrontare il lungo viaggio nell´oltretomba.
Gli scienziati spagnoli hanno sviluppato la prima tecnica che può determinare il colore del vino usato nelle antiche giare. Hanno analizzato i residui di una giara trovata nella tomba del Re Tut e scoperto che conteneva vino fatto con grappoli di uva rossa.
Questa è la sola analisi chimica estensiva svolta su una giara della tomba del Re Tut, ed è la prima volta che gli scienziati hanno offerto evidenze circa il colore del vino nei campioni archeologici. Il rapporto appare nell´edizione del 15 marzo di Analytical Chemistry, un giornale specializzato della Società Chimica Americana, la più grande società scientifica al mondo.
Le prime evidenze scientifiche di grappoli d´uva risalgono a vigne fossili di 60 mila anni or sono, mentre la prima documentazione scritta della produzione del vino proviene da una fonte di molto più recente, la Bibbia, che racconta come Noè piantò una vigna dopo essere uscito dall´arca.
Gli scienziati hanno rinvenuto il vino in una giara, risalente al 5400 a.C., al sito di Hajji Firuz Tepe nel nord delle Montagne di Zagros nell´attuale Iran. Ma le prime conoscenze circa la coltivazione della vigna risalgono all´antico Egitto, dove il processo di vinificazione fu rappresentato sulle pareti di una tomba datata al 2600 a.C.
"Il vino era una bevanda di grande importanza nell´antico Egitto, consumato dalle classi più elevate e dai re" spiega Maria Rosa Guasch-Jané, esperta di Egittologia all´Università di Barcellona in Spagna. Insieme a Rosa M. Lamuela-Raventós, dottore e professore di nutrizione e scienza dell´alimentazione, hanno analizzato campioni di antiche giare egiziane appartenenti al Museo del Cairo e al British Museum di Londra.
Un campione proviene dalla Tomba di Re Tutankhamun, scoperta nel 1922 da Howard Carter nella Tebe occidentale, Egitto. "La giara piena di vino era posta nelle tombe come parte del banchetto funebre" ha spiegato al Guasch-Janè. "Le giare di vino del Nuovo Regno erano etichettate con il tipo di prodotto, l´anno, la fonte e perfino il nome del coltivatore dell´uva, ma non menzionavano mai il colore dei vini che contenevano." Gli scienziati e gli enofili hanno a lungo discusso il tipo di vitigni utilizzati dagli antichi egiziani.
Usando un nuovo metodo per l´identificazione degli indicatori del grappolo, la Lamuela-Raventós ed i suoi collaboratori hanno determinato che il vino in queste giare fu prodotto da grappoli d'uva rossa.
Un particolare glucoside è il maggiore componente che conferisce il colore rosso ai vini rossi giovani, e nessun altro succo usato nell´antica regione del Vicino Oriente e Mediterraneo lo conteneva. Con l´invecchiare del vino, il glucoside reagisce con gli altri componenti e determina strutture ancora più complesse. I ricercatori hanno diretto i loro sforzi verso lo sviluppo di uno strumento per spezzare queste strutture affinché rilascino un acido identificabile.
Le analisi degli antichi campioni richiedono un metodo estremamente sensibile per minimizzare la quantità del campione necessaria. Per individuare un acido iniettabile, i ricercatori hanno usato due tecniche chiamate cromatografia liquida e spettrometria di massa in modalità combinata, note per la loro elevata velocità, sensibilità e selettività. Questo metodo non era mai stato usato prima per identificare acido tartarico o per rilasciare un acido iniettabile, né era stato usato su alcun campione archeologico, secondo gli scienziati.
Lamuela-Raventós e Guasch-Janè programmano di usare la nuova tecnica per studi estensivi dei residui di vino da altri campioni archeologici.
La Fondazione Spagnola per la Cultura del Vino ed il Gruppo Codorniu hanno finanziato la ricerca.
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