Il 10 aprile di 200 anni fa esplodeva il vulcano indonesiano Tambora, con una violenza 20 volte superiore a quella che distrusse Pompei. Un'eruzione che segnò le sorti del pianeta, causando carestia e malattie.
Era il 10 aprile del 1815 quando il vulcano indonesiamo Tambora eruttò, cancellando un'intera tribù, abbassando la temperatura terrestre di alcuni gradi, e causando fame ed epidemie in tutto il mondo.
Quell'eruzione rimane a tutt'oggi la più vasta eruzione documentata storicamente: più di quella del Krakatoa del 1883, e circa venti volte maggiore di quella del Vesuvio che seppellì Pompei. Se un evento così catastrofico si ripresentasse oggi, affermano gli esperti, le conseguenze sarebbero anche maggiori.
"Sarebbe assolutamente devastante", conferma Gillen D'Arcy Wood, storico dell'ambiente alla University of Illinois di Urbana-Champaign. I nostri sistemi di trasporto, il cibo e le strutture umanitarie sono sicuramente migliori di allora, dice lo storico, "ma siamo comunque un pianeta con sette miliardi di abitanti, con una rete globali di scambi alimentari e commerciali estremamente complessa".
Basti pensare al caos nei trasporti aerei creato da un'eruzione relativamente piccola come quella del vulcano islandese Eyjafjallajökull nel 2010, dice Wood.
Si stima che il numero di vittime causate dal Tambora due secoli fa vada dalle 71.000 alle 121.000. Ma oggi il mondo è molto più popolato, aggiunge Janine Krippner, vulcanologa alla University of Pittsburgh, in Pennsylvania; un'eruzione come quella del Tambora metterebbe in pericolo molte più persone.
Prima l'inferno, poi il freddo
"Ogni anno, nel mondo vi sono circa 1.500 vulcani che potrebbero esplodere", dice Krippner. Circa 800 milioni di persone vivono nel raggio di un centinaio di chilometri da queste bombe a orologeria.
Gran parte delle vittime causate dall'immediata vicinanza con il Tambora furono causate dai lussi piroclastici - valanghe di gas surriscaldati, ceneri e detriti. Una tribù che viveva a 25 chilometri dal vulcano venne sterminata. Le sole testimonianze della loro esistenza sono i manufatti rinvenuti durante gli scavi, due scheletri carbonizzati a causa del calore intenso, e 48 parole di una lingua ormai scomparsa.
Altre morti nel mondo furono causate da tsunami, carestia e malattie come il tifo - il risultato di piogge incessanti, scarsa igiene e organismi indeboliti.
"La storia ci insegna che questo tipo di eventi causa un raffreddamento globale per circa 2-3 anni", spiega Haraldur Sigurdsson, vulcanologo oggi in pensione della University of Rhode Island.
Ceneri e solfuri lanciati nell'alta atmosfera terrestre dall'eruzione del Tambora resero più fioca la luce del sole, e ciò fece scendere le temperature globali di circa 1, 7 °C. Nel 1991, l'eruzione del Monte Pinatubo, nelle Filippine, rese più freddo il pianeta di circa 0, 5 °C.
Effetti devastanti
Cambiamenti climatici di questa portata possono far fallire i raccolti, spiega Sigurdsson. In Europa, in seguito alla carestia indotta dall'eruzione del Tambora, scattarono delle rivolte. Addirittura, in Svizzera, alcune donne che non riuscivano a sfamare i propri figli commisero infanticidio piuttosto che vederli morire per inedia, racconta Wood. Quelle donne vennero condannate e decapitate.
Persino con tutta la tecnologia di cui disponiamo oggi, si potrebbe far poco per mitigare una una crisi climatica come quella, continua Wood. "Dovremmo solo soffrire finché non è finita".
La scienza non è ancora in grado di predire quando e dove un'eruzione altrettanto catastrofica potrebbe ripetersi, ricorda Krippner. "Abbiamo ancora tanto da imparare". Monitorare i vulcani attivi, specialmente quelli più rischiosi e che potrebbero minacciare un numero maggiore di persone, dice la studiosa, potrebbe offrire ai ricercatori un quadro più chiaro di ciò che potrebbe accadere in futuro, e ciò potrebbe contribuire a salvare delle vite.
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