Due nuovi studi suggeriscono che il DNA neandertaliano che abbiamo ereditato è stato essenziale per la sopravvivenza della nostra specie.
Sessantamila anni fa, quando i primi uomini moderni lasciarono l'Africa, trovarono il continente auroasiatico già abitato da Neandertal. Sappiamo che almeno alcuni di quegli incontri produssero prole, perché il genoma di esseri umani che oggi vivono fuori dall'Africa è neadertaliano per l'1-4 per cento.
Due ricerche appena pubblicate contemporaneamente su Nature e Science suggeriscono che benché di modesta entità, il DNA neandertaliano potrebbe essere stato di vitale importanza per la nostra specie.
Alcune parti di genoma non africano sono totalmente prive di DNA neandertaliano, ma altre invece ne hanno in abbondanza, tra cui quelle che contengono i geni legati alla pelle e ai capelli. E ciò suggerisce che i geni neanderteliani abbiano comportato alcuni benefici, e che quindi si siano conservati nel processo evolutivo.
"Sembra piuttosto evidente che quando Homo sapiens lasciò l'Africa e incontrò i Neandertal scambiando materiale genetico, finì per assumere alcune varianti genetiche adattative che gli offrirono un vantaggio per affrontare le diverse condizioni climatiche", dice Joshua Akey, primo firmatario dello studio su Science.
Il fatto che il DNA neandertaliano sia completamente assente in altre parti del genoma odierno non africano suggerisce che la loro versione dei geni in quelle regioni avrebbe invece rappresentato uno svantaggio evolutivo per H. sapiens, e quindi furono eliminati dalla selezione naturale.
Nello studio di Nature, Sriram Sankararaman e David Reich della Harvard Medical School hanno confrontato il genoma di Neandertal precedentemente sequenziato con quello di 1.004 individui odierni per cercare tratti tipicamente neandertaliani.
Ad esempio, se un dato frammento di DNA è condiviso da Neandertal e non africani, ma è assente in africani o altri primati, è molto probabile che sia propriamente neandertaliano. Inoltre, le sequenze neandertaliane in genere sono ereditate in blocchi piuttosto consistenti, in quanto sono relativamente recenti e non hanno avuto il tempo di frammentarsi.
Nello studio di Science, Akey e Benjamin Vernot, entrambi della University of Washington di Seattle, hanno passato al setaccio il genoma di 665 persone viventi, ma senza utilizzare inizialmente il DNA di Neandertal come confronto, e sono comunque riusciti a identificare frammenti che, nel complesso, ammontano a circa il 20 per cento dell'intero genoma neandertaliano.
Pelle, capelli e malattie
Nonostante il tipo di approccio differente, entrambi i gruppi di ricerca sono arrivati al risultati simili: entrambi hanno scoperto che i geni coinvolti nella produzione della cheratina - sostanza che si trova nella pelle, nei capelli e nelle unghie - sono particolarmente ricchi nel DNA neandertaliano.
La versione neandertaliana del gene della pelle POU2F3, ad esempio, si trova in circa il 66 per cento degli asiatici orientali, mentre quella del gene BNC2, che incide tra l'altro sul colore della pelle, si trova ben nel 70 per cento degli europei.
Queste versioni neandertaliane possono aver aiutato i nostri antenati a sopravvivere in aree geografiche a cui i Neandertal si erano già adattati, in quanto erano presenti in quelle zone da centinaia di migliaia di anni, spiega Sankararaman. "Sfortunatamente, pelle e capelli svolgono così tante funzioni che è difficile individuare di quale specifico adattamento si tratti'.
Sankararaman ha individiato varianti genetiche in geni legati al rischio di contrarre malattie come lupus, cirrosi biliare, morbo di Crohn e diabete di tipo 2. E in questo caso, il significato di queste sequenze è ancora più oscuro.
Entrambi i team hanno nei non africani notato vaste regioni genetiche il cui il DNA neandertaliano è totalmente assente; queste regioni comprendono geni come FOXP2, coinvolto nella coordinazione motoria e probabilmente nel linguaggio.
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