La vita extraterrestre rappresenta un buco enorme nella nostra conoscenza della natura. Secondo alcuni scienziati, solo nella nostra galassia vivrebbero un milione di civiltà tecnologiche. Ad oggi, però, non abbiamo ancora alcuna prova.
Milioni di persone credono ad alieni simili a questa riproduzione, che si trova all'International UFO Museum and Research Center a Roswell, nel New Mexico. Non esiste alcuna prova di vita extraterrestre ma la speranza c'è: se alcuni microbi riescono a sopravvivere nei pori della roccia nelle profondità della Terra, allora potrebbero vivere anche in un posto come Marte senza soffrine troppo.
Qualcosa di sorprendente è successo nell'universo. E' comparsa una cosa chiamata vita, una "fiammeggiante, turbolenta, strana forma di materia", qualitativamente differente dalle rocce, dai gas e dalla polvere, ma costituita dagli stessi componenti, gli stessi noiosi elementi sparsi dappertutto.
La vita ha una sua ovvietà, guizza letteralmente, ringhia, o si rannicchia sul davanzale della finestra ed è famosa per la difficoltà nel definirla in termini assoluti. Diciamo che gli organismi si replicano. Che la vita usa energie. Che la vita si adatta. Qualche forma di vita ha sviluppato una rete di processi centrali molto complessa. In almeno un caso, la vita è diventata profondamente autocosciente. E questo tipo di vita ha una domanda: ci sono altre forme di vita li da qualche parte? Non c'è mistero scientifico più intrigante all'inizio del nuovo millennio e d'altronde è una domanda che rimane senza risposta da molto tempo.
La vita extraterrestre rappresenta un buco enorme nella nostra conoscenza della natura. Con strumenti come il telescopio Hubble gli scienziati hanno scoperto una quantità incommensurabile di pianeti extrasolari, ma per ora sono a conoscenza di un solo mondo abitato. Ci sono le supposizioni, le ipotesi. L'astronomo del profondo Carl Sagan ha stimato che ci siano un milione di civiltà tecnologiche solo nella nostra galassia. Il suo collega un po' più conservatore Frank Drake calcola che ce ne siano 10000.
John Oro, un ricercatore di comete, calcola che la Via Lattea sia abitata da un centinaio di civiltà. E per finire ci sono gli scettici come Ben Zuckerman, un astronomo della UCLA, che pensa che potremmo essere l'unica civiltà della galassia, se non dell'intero universo. Tutte le stime sono altamente speculative. Il problema è che non ci sono prove definitive dell'esistenza di altre forme di vita al di fuori della terra. L'assenza di prove non è la prova dell'assenza, come molti eruditi hanno saggiamente fatto notare. Ma non abbiamo ancora nessuna conoscenza nemmeno di un microbo alieno, o di una spora, nemmeno il coprimozzo di un'astronave di passaggio.
La nostra idea di vita extraterrestre è quella che Sagan chiama "argomenti di plausibilità", solitamente infarciti di parole come "sconosciuto, intuibile, ideologico, potrebbe essere". Anche se ci convinciamo che ci deve essere vita là fuori, ci confrontiamo con un secondo problema: non sappiamo niente di questa presunta vita. Non sappiamo come siano realmente gli alieni. Non sappiamo se la loro vita sia basata sul carbonio, se richieda la presenza di acqua, se nuota o vola o striscia. Nonostante la nebbia di incertezze che la avvolge, la vita extraterrestre è un'area di ricerca che sta crescendo rapidamente nel gradimento degli scienziati. Questa branca si chiama esobiologia o bioastronomia (il nome sembra cambiare ogni anno, forse per proteggerla dagli ignoranti).
Qualunque sia il suo nome, questa è una scienza ricca di ottimismo. Sappiamo che l'universo potrebbe essere infarcito di pianeti. Dal 1995 gli astronomi hanno individuato le orbite di almeno 22 pianeti che orbitano attorno a stelle diverse dal Sole. La NASA spera di costruire un telescopio chiamato Terrestrial Planet Finder per ricercare pianeti simili alla terra, esaminarli e scoprire se hanno un'atmosfera, che è necessaria per la formazione della vita. Nelle decadi scorse organismi sono stati trovati in habitat estremi sul nostro pianeta. Se i microbi possono sopravvivere nei pori delle rocce nel profondo della terra, oppure sul bordo di un geyser a Yellowstone, potrebbero trovare un luogo come Marte non così inospitale.
Marte è nel bel mezzo di una vera e propria invasione da parte della terra, dai Polar Lander ai rover che percorrono il pianete alla ricerca di fossili. Un cestino di rocce provenienti da Marte è stato rispedito sulla Terra nel 2008 ed è atterrato nel deserto dello Utah per essere studiato dagli scienziati in un laboratorio accuratamente celato. Negli anni a venire molte sonde partiranno, una delle quali verso la luna di Giove, Europa. Questo mondo ghiacciato mostra numerosi segni che indicano la presenza di un oceano sotterraneo, e potrebbe ospitare una fredda, oscura biosfera.
La ricerca di microbi alieni è supportata dalla ricerca di qualcosa di più grande, intelligente e comunicativo. Il progetto SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) non ha ancora individuato un segnale alieno confermato in 40 anni di esperimenti, ma la tecnologia di analisi dei segnali diventa ogni giorno più sofisticata. Gli ottimisti dicono che è solo questione di tempo prima che ci sintonizziamo sul canale giusto. Nessuno sa quando (o se) una di queste ricerche produrrà un risultato. C'è un bel po' di pubblicità intorno alla faccenda, ma potrei scommettere che passeranno un bel po' di anni, se non decenni.
La nuda verità: la vita extraterrestre, per definizione, non è a portata di mano. Ma ci sono altre verità che sostengono la ricerca di organismi extraterrestri. Una di queste, per dirla grossolanamente, è che l'universo sembrerebbe abitabile. Un'altra è che la vita diffonde informazioni su se stessa, o se non altro lascia una traccia, un residuo, un'eco. Se l'universo contiene abbondanza di vita, questa vita non è certamente interessata a rimanere sconosciuta per sempre. Contattare una civiltà aliena sarebbe un cambiamento epocale, una sfida culturale, ma gli esobiologi accetterebbero volentieri anche di scoprire anche un solo fossile, una mera reminiscenza della biochimica extraterrestre.
Un esempio. Un dato da aggiungere a quello che abbiamo è la vita sulla Terra. Questo è quel che serve per iniziare il lungo processo di mettere l'esistenza umana nel suo vero contesto cosmico. Gli esobiologi vanno nei peggiori posti della Terra, o almeno nei più estremi: i più secchi, i più freddi, quelli che assomigliano di più a posti come Marte o Europa. Se stai cercando l'esobiologo Jack Farmer della Arizona State University, dovrai cercarlo nella Death Valley, o sulle coste del vicino lago Mono, o mentre nuota sotto il ghiaccio antartico. Se cerchi Chris McKay, potresti controllare nel deserto di Atacama in Cile o in qualche isola a nord del Circolo Polare Artico. Il posto dove trovare Penny Boston è nella peggior grotta che potresti immaginare.
Sono stato con Penny Boston in uno dei suoi viaggi in una caverna umida e infestata di pipistrelli nel sud del Messico, a Villa Luz. Stava studiando i microbi che vivono lì, in un ambiente dove un essere umano senza maschera antigas morirebbe istantaneamente. "Per tutta la mia vita avrei voluto attraversare l'universo, andare a vedere altri posti", dice, "questo è probabilmente quello che ci si avvicina di più". Boston e la sua amica Diana Northrup, una bibliotecaria e biologa del New Mexico, proseguono imperterriti nonostante le scomode maschere a gas e l'umidità soffocante, l'oscurità, i pipistrelli, e la possibilità che il monossido di carbonio ci uccida tutti.
E non si preoccupano nemmeno di vari altri pericoli, tipo la malaria e il dengue o altre malattie esotiche che si potrebbero contrarre qui. Prima di entrare a Villa Luz, chiedo se c'è la possibilità di incontrare altri agenti patogeni sconosciuti, tipo ebola. "E' abbastanza improbabile", dice Boston. Il fondo della cava è coperto di acqua di varie profondità e assolutamente non trasparente, noi camminiamo cautamente cercando di evitare l'acqua profonda. Per gli standard degli speleologi comunque questa è come una passeggiata nel parco: niente corde, solo qualche tratto in cui si striscia attraverso bassi cunicoli. Alla fine giungiamo nella profonda, larga camera principale, conosciuta come "la grande sala".
I moscerini sono ovunque, ci sono ragnatele, i pipistrelli zigzagano sopra la nostra testa, emettendo grida acute. Muri di roccia rossa sono coperti da gelatina verde, muco nero e una specie di pasta gessosa bianca, calcare in corso di scioglimento da parte dell'acido solforico. Giusto mentre penso a quanto questa grotta somigli alle cavità nasali umane, arriviamo alle "snottiti" (Boston si sta battendo perché il termine sia riconosciuto come scientifico). Le snottiti sono strutture gelatinose formate da rifiuti microbiologici che pendono dal soffitto. Boston e il suo team stanno misurando la loro crescita, cercando di capire il metabolismo dei microbi e il loro effetto a lungo termine sulla struttura della grotta. Il tempo secco venuto dopo la sua ultima visita sembra averne arrestato la crescita.
Mike Spilde, un membro della squadra, osserva con me uno scarafaggio acquatico il cui guscio è ricoperto da uova. E' uscito da una sorgente che ribolle sotto una roccia, portandosi dietro una borra grigia dall'apparente consistenza di un cavolo lesso. Questi sono conosciuti, per restare in tema col posto, come "palle di catarro". Sono comunità microbiologiche vibranti, che non sono aggrappati alla vita in una nicchia ristretta, ma proliferano in essa, replicandosi con la velocità di una tempesta.
Tornando in superficie, Boston mette un po' di ordine nel suo lavoro. "Abbiamo scoperto (intendendo gli scienziati) organismi che proliferano in ambienti impossibili per noi, ma essenziali per loro. Questo amplia la nostra prospettiva. Tutti soffriamo per l'imposizione di qualche "limite" nella scienza. E' bene per la nostra anima, per la nostra intelligenza e per il nostro lavoro avere una buona immaginazione, essere aperti alle possibilità. La più intrigante delle possibilità è che l'universo stia comunicando con la vita e che nei secoli a venire noi riusciamo a capire il suo linguaggio. L'ottimismo costante di un esobiologo è acceso dalla conoscenza del fatto che i viventi sono composti principalmente di idrogeno, azoto, carbonio e ossigeno, i quattro elementi più comuni nell'universo.
E la vita è inestricabilmente connessa con la materia inanimata, nemmeno il rasoio più affilato può separarli. Sappiamo anche che un ecosistema funzionante non ha necessariamente bisogno di luce solare o fotosintesi. All'inizio degli anni '90 i ricercatori trovarono alcune rocce basaltiche vicino a Washington che contenevano una pletora di microbi totalmente tagliati fuori dal mondo fotosintetico. Anche forme di vita più complesse si sono adattate a vivere in ambienti ostili. Quando gli scienziati andarono ad esplorare le profondità marine col sottomarino "Alvin", si imbatterono in sorgenti calde coperte di gamberi e vermi tubolari senza bocca.
Quello che rimane sconosciuto è se la vita possa sopravvivere in strette nicchie ecologiche su mondi in gran parte sterili. Potrebbe la vita esistere e sopravvivere in sacche di acqua sotto la superficie di Marte? Cosa potrebbe nascondere il freddo e oscuro ambiente di Europa? Potrebbe un mondo alieno presentare tracce di vita, oppure la biosfera è una cosa del tipo "tutto o niente"? La cava di Villa Luz, così remota, non esiste da sola. E' un piccolo mondo connesso con uno più grande che pullula di vita. Mentre gli scienziati si scervellano per trovare tracce di vita da qualche altra parte nell'universo, esiste per molte persone una situazione più drammatica, una situazione nel quale la vita extraterrestre non è microbica e gelatinosa ma intelligente, tecnologica e strisciante in mezzo a noi.
Chi crede in queste forme di vita non sembra essere convinto che gli ET siano solo un fenomeno da baraccone. L'abilità di eludere la sorveglianza e gli avvistamenti è una delle caratteristiche presunte dei "visitatori". Avendo partecipato a un paio di convegni di ufologi e avendo visitato Roswell e il suo museo degli UFO, sono giunto alla conclusione che non sia possibile affrontare una discussione sugli alieni. Chi ci crede e chi non ci crede difficilmente passa dall'altra sponda. Penso che sia facile dire, comunque, che gli alieni dei dischi volanti mancano di statura scientifica. Se insistono nell'essere così incostanti, se insistono a rapire gente nel mezzo della notte quando nessuno può verificare la loro presenza, non hanno diritto a stare in un museo di storia naturale.
Ma nemmeno lo sono quelli che credono nella narrativa ufologica, che generalmente è datata 1974, anno in cui sarebbe stato avvistato qualche disco volante vicino a Mount Rainier nello stato di Washington. Pazzi creduloni irrazionali, vengono spesso dipinti. Molta gente è animata dallo stesso istinto, che è quello di conoscere la verità sull'universo. Così, la teoria sugli alieni adottata da parte delle persone va totalmente contro a quelle che sono le evidenze prodotte dalla scienza (e dalle agenzie governative, come ad esempio la U.S. Air Force, che ha studiato dossier sugli UFO per 22 anni), e questo è un monito per gli scienziati circa l'attrazione che esercitano questi argomenti. Come molti scrittori hanno notato, gli alieni, per certe persone, sono l'equivalente secolarizzato degli angeli o dei fantasmi.
Gli alieni sono un'estrapolazione dell'astronomia moderna e dell'ingegneria (il grande universo, veloci astronavi...), ma possiedono anche un antico bisogno di venire sulla Terra a creare grattacapi agli esseri umani. Quello che li rende così intriganti è il fatto che gli scienziati concedono la possibilità che essi siano veramente lì fuori da qualche parte. Così, lo scenario che li vede venire sulla Terra richiede solo un po' di immaginazione per quanto riguarda i trasporti. Molti scienziati non si chiedono come mai gli alieni gironzolino coi loro dischi volanti intorno alla Terra, si chiedono invece come mai non lo facciano.
Nel 1950 il fisico Enrico Fermi fece a qualcuno dei suoi colleghi una domanda che diventò famosa: dove sono gli altri? Gli umani potrebbero in teoria colonizzare la galassia in un milione di anni circa, e se potessero, gli astronauti di altre civiltà potrebbero farlo a loro volta. Quindi, perché non sono ancora venuti a trovarci? Questo è conosciuto come il paradosso di Fermi. Può essere che ci stiano osservando senza voler interferire: l'ipotesi dello zoo. O forse sono venuti, hanno lasciato qualche artefatto e se ne sono andati perché si stavano ammazzando di noia? Questa è l'ipotesi degli "antichi astronauti", l'idea che vorrebbe gli alieni costruttori di piramidi e via dicendo.
O potrebbe essere che per qualunque specie intelligente, il viaggio interstellare sarebbe troppo costoso e lungo? La distanza tra la Terra e la stella più vicina è poco meno di 40 miliardi di chilometri, escluso il Sole ovviamente. O potrebbe essere possibile che, almeno nella nostra parte di galassia, la specie tecnologicamente più avanzata sia proprio la nostra? La nostra cultura contemporanea non ha inventato l'idea della vita al di fuori della Terra. L'alieno è un personaggio standard di Hollywood, ma non una sua creazione. Più di 2000 anni fa il filosofo greco Metrodoro di Chio scrisse: "E' innaturale in un campo avere solo una spiga di grano, e nell'infinito universo solo un mondo vivente". Quattro secoli fa, Giordano Bruno venne bruciato sul rogo in parte perché credeva che ci fossero pianeti abitati nel cosmo.
Un astronomo come Christian Huygens compendiò il suo lavoro puramente scientifico con trattati sulle caratteristiche della vita extraterrestre. Huygens sentiva, per esempio, che gli alieni avrebbero dovuto avere delle mani, come gli umani. La parte che mancava era, ovviamente, quella che manca a un'argomentazione convincente: le prove. Questo sembrò cambiare con l'apparente scoperta dei canali marziani. Nel 1877 Giovanni Schiapparelli, un astronomo italiano, scoprì quelli che chiamò "canali" sulla superficie del pianeta. L'astronomo americano Percival Lowell e alcuni colleghi presero l'idea da qui. Alla fine del Diciannovesimo secolo, Lowell, usando un nuovo telescopio che costruì vicino a Flagstaff, in Arizona, rivelò la scoperta di centinaia di canali e suppose che fossero creazioni artificiali di una civiltà marziana.
In effetti, scrisse, i marziani dovrebbero esserci sicuramente superiori. Suppose che i loro progetti ingegneristici, che coinvolgevano l'intero pianeta, fossero la dimostrazione che una razza di creature che vive in armonia col proprio pianeta fosse molto più avanzata delle nostre squallide selve. H.G.Wells giocò un po' con questa idea nel suo racconto "La Guerra dei Mondi", nel quale i marziani vengono sulla terra con raggi mortali e sogni di conquista. Nel racconto i marziani, ahiloro, vennero sconfitti, ma almeno sopravvissero come artefatti culturali.
Quando gli astronomi osservarono Marte con telescopi più potenti, non c'erano canali da nessuna parte. I canali di Lowell erano stati tracciati dalla sua mente, nel più classico dei casi esposti dal motto "vedere per credere". Ma rimase, negli anni '60, una suggestione riguardante delle macchie scure che comparivano sulla superficie a intervalli stagionali. Potrebbe essere vegetazione? Le praterie marziane e le foreste vennero definitivamente sradicate nel 1965, quando la sonda Mariner 4 scattò 22 foto della superficie. Marte era una distesa di crateri, che ricordava la Luna. Quando i veicoli Viking atterrarono sulla superficie nel 1976, non trovarono nessuna forma di vita, e scoprirono che anzi la superficie non presentava alcuna traccia di composti organici.
Nonostante la missione fosse un trionfo della scienza e della tecnologia, l'assenza di vita individuabile su Marte mise l'esobiologia nel dimenticatoio per 20 anni. Ma il vento tornò a spirare negli anni '90. I biologi stavano scoprendo organismi in posti così strani sulla Terra che l'idea che ci fosse vita in altri pianeti del sistema solare non apparve più così balzana. Scoprirono anche dei segni che dimostravano come la vita si fosse sviluppata anche prima nella storia della Terra. Intrigantemente, al momento in cui la vita cominciava a fiorire sulla terra, Marte era un pianeta molto più ospitale di quanto lo sia oggi. Immagini della superficie marziana indicano che il pianeta un tempo aveva fiumi e forse anche oceani. La vita avrebbe anche potuto nascere su Marte e poi essersi spostata sulla Terra a bordo di un meteorite. Il che ci porta al più famoso meteorite marziano: ALH84001.
Nel 1996 un team di tre scienziati della NASA di Houston annunciarono che questa roccia delle dimensioni di una patata, trovata nell'Antartide, conteneva quelli che sembravano essere fossili marziani. La scoperta fu svelata in una indimenticabile conferenza stampa della NASA a Washington, il 7 agosto 1996. Tutti capirono la gloria storica di avere ragione su questi presunti microfossili, e la controparte di timore di essersi sbagliati. Dan Goldin, amministratore della NASA, mise in guardia tutti dicendo che i risultati non erano definitivi, ma disse anche "potremmo avere la prima prova che la vita si è formata anche al di fuori di questo pianeta, la terza roccia dal Sole". Il team della NASA fece una dimostrazione drammatizzata completa di grafici e delle prime, sorprendenti immagini dei microfossili, uno dei quali assomigliava a un verme (e gli altri a dei Cheetos). Ma poi arrivò un contestatore, J. William Schopf, della UCLA, che disse che in una scala da uno a dieci delle probabilità di origine biologica, poteva dare ai fossili marziani al massimo un due.
Così cominciò un dibattito sfibrante tra gli scienziati. Gli scienziati della NASA dovettero ammettere che le prime 4 prove da loro presentate potevano essere spiegate senza ricorrere alla biologia. Trovarono, per esempio, idrocarburi aromatici policiclici, che a volte vengono associati con la presenza di vita, ma che si trovano anche nei gas di scarico delle auto. Hanno trovato granuli di magnetite, che potrebbero essere stati prodotti dentro a dei microbi, oppure no. In un certo senso la ricerca innalzò la domanda a come trasformare una serie di possibilità in una serie di probabilità. Il tutto si concluse andando a sbattere ancora contro il motto di Sagan: proclami straordinari necessitano di prove straordinarie.
La squadra della NASA vide le sue conclusioni attaccate con vigore. Uno studio mostrò come alcune delle strutture somiglianti a microbi fossero in realtà pezzi di roccia resi simili a strutture biologiche dal processo di copertura usato nella preparazione dei campioni. I ricercatori trovarono anche dei contaminanti terrestri all'interno del meteorite. Il team affrontò queste sfide punto a punto, ma dopo circa tre anni di inferno sentirono di averne abbastanza della roccia marziana. Luann Becker, geochimica della dell'università delle Hawaii, mi disse: "Penso che ci stiamo accanendo su un cadavere". Ma Everett Gibson, membro della "squadra meteorite" Della NASA, vide questo come una tipica resistenza scientifica a un'idea rivoluzionaria.
"La scienza non accetta cambiamenti radicali rapidamente. C'era un tempo in cui uno scienziato non avrebbe creduto che i meteoriti sarebbero potuti cadere dal cielo. C'è stato un tempo in cui la tettonica delle zolle è stata bollata come un'idea stramba". Le rocce di Marte sono nella stessa categoria? O sono come i famosi canali? Se la vita ha avuto luogo grazie a processi naturali sulla Terra, allora probabilmente avrà potuto farlo anche da qualche altra parte. E però quando guardiamo fuori verso lo spazio, non vediamo un ambiente brulicante di vita. Vediamo lune e pianeti dove nessuna forma di vita come la intendiamo noi potrebbe sopravvivere. In effetti vediamo un sacco di pianeti roventi, oscuri, ghiacciati, gassosi che sembrano essere molto più adatti alla morte che alla vita.
All'interno del nostro sistema solare la Terra si trova in una zona abbastanza ristretta in cui la vita è possibile, non troppo calda né troppo fredda, alla giusta distanza dal Sole per fare in modo che l'acqua sulla superficie rimanga allo stato liquido. E ci potrebbero essere molti altri fattori che hanno reso la vita sulla Terra possibile. L'attività tettonica ricicla il carbonio del pianeta. Marte non ha questo meccanismo e questa sembra poter essere la ragione per cui Marte ha perso gran parte della sua atmosfera. La ricerca di vita extraterrestre è in un certo senso una ricerca di vincoli, delle cose che limitano la possibilità di emergere della vita o dell'evoluzione di organismi complessi.
Per calcolare il numero di civiltà tecnologiche e comunicative il più famoso strumento teorico è l'equazione di Drake. Nel 1960 un astronomo di nome Frank Drake divenne il primo uomo a condurre una ricerca radio di segnali provenienti da civiltà extraterrestri. Puntò un radiotelescopio di 26 metri verso due stelle vicine, e dopo un falso allarme, non trovo alcun segnale interpretabile. L'anno dopo, preparandosi a incontrare alcuni pensatori visionari (incluso un giovane Sagan), stilò uno schema su come discutere la probabilità di trovare una forma di vita intelligente, partendo dal tasso di formazione delle stelle, dal numero tipico di pianeti e dalla longevità della civilizzazione.
"Pensavo fosse solo un rompicapo. Mi sorprendo del fatto che ora è una presenza fissa nei libri di testo di astronomia", mi disse. Guardando i fattori da sinistra a destra, non si va molto lontano senza porsi qualche serio interrogativo. Jill Tarter, che ha dedicato la sua carriera al SETI, dice in proposito "L'equazione di Drake è un magnifico modo di organizzare la nostra ignoranza". L'unico fattore che comprendiamo bene, R*, ci dice il numero delle stelle. Basta infatti pensare che ce ne sono una quantità incommensurabile, più di un centinaio di miliardi solo nella nostra galassia, forse anche 400 miliardi (senza contare ovviamente quelle di altre galassie). Il secondo fattore, Fp, è il numero di stelle che hanno pianeti. Questo è un dato incerto, perché per vederli devono essere estremamente massicci. Questi non sono come la Terra. Molti dei pianeti extrasolari scoperti finora potrebbero essersi spostati verso la propria stella nel tempo, distruggendo i pianeti rocciosi simili alla Terra nel tragitto.
Forse il Terrestrial Planet Finder potrebbe aiutare a risolvere questo dato, oltre al numero di pianeti in grado di ospitare la vita, Ne, e al numero di pianeti che hanno effettivamente dato origine alla vita, Fl. Questo telescopio, in costruzione da molti anni, potrebbe catturare la flebile luce riflessa di un lontano pianeta roccioso, annullando la molto più brillante luce della stella relativa. Questo rimasuglio di luce potrebbe avere le dimensioni di un pixel. La luce potrebbe essere analizzata tramite lo spettro, ad esempio, dell'ossigeno, o del metano, o dell'ozono, come marcatori di un possibile processo biologico in corso.
Sarebbe una notizia sensazionale, ed è facile fare un parallelo con la situazione della roccia marziana per capire come verrebbe accolta una simile scoperta. Non ci sarebbe alcuna "prova" dell'esistenza di vita, solo una interpretazione aperta a domande di rimbalzo. Persino sulla Terra l'origine della vita è un mistero che persiste ostinatamente. "Come possono degli aggregati di elementi chimici formare una cosa vivente senza alcuna interferenza dall'esterno?", chiede Paul Davies, un fisico e scrittore. "Chiaramente, la vita è un evento estremamente particolare", dice. "Non c'è alcun principio della materia che dice che essa debba aggregarsi a formare vita. Sono molto felice di credere che viviamo in un universo biocompatibile, perché lo trovo molto congeniale. Ma non abbiamo ancora scoperto il principio originante della vita".
Nessuno è nemmeno sicuro che la vita richieda acqua allo stato liquido, ma sembra che questo sia stato necessario sulla Terra. L'acqua liquida potrebbe essere molto poca nell'universo. Europa potrebbe sciogliere questo dubbio, ma un altro presunto ingrediente della vita, le molecole organiche, quelle fatte principalmente di carbonio, sono abbastanza comuni. Per questo Jeffrey Bada, un ricercatore molto ottimista, ritiene che l'universo pulluli di vita. "Non vedo una maniera in cui le cose possano stare diversamente", dice in maniera un po' apologetica. Quindi, supponiamo che la vita possa nascere in molti luoghi; un'altra gigantesca incognita si palesa nell'equazione di Drake: quanto spesso la vita si evolve in forme intelligenti?
Ci sono alcuni, come Ernst Mayr, uno dei grandi biologi del Ventesimo secolo, che dicono che la vita si è evoluta in una forma intelligente solo una volta sulla Terra, una su circa un miliardo di specie. Quindi, è circa una probabilità su un miliardo. Ma Paul Horowitz, un fisico di Harvard, dice che lo stesso dato può essere visto nella maniera opposta: che nell'unico pianeta che conosciamo in grado di ospitare la vita, essa si è evoluta intelligentemente. Quindi il rapporto è di uno a uno. Non ho mai trovato qualcuno che pensi che se riavvolgessimo il film dell'evoluzione terrestre (per usare la metafora di Stephen Jay Gould) e lo facessimo ripartire, arriveremmo a un essere umano identico per la seconda volta.
Alcuni però sostengono che una vita intelligente si forma più facilmente sulla base di alcune condizioni iniziali. Il paleobiologo Andy Knoll sostiene che "l'intelligenza risiede nelle semplici strutture che permettono agli animali di percepire l'ambiente circostante e ricercare il cibo. Se la vita si evolve fino a giungere a degli esserini striscianti che cercano cibo, allora a un certo punto la vita intelligente potrebbe emergere". Ci sono alcuni che sostengono appassionatamente la tesi secondo cui gli alieni sarebbero molto diversi da noi. Nella storia di Fred Hoyle "La Nuvola Nera" l'alieno è una nube gassosa che decide di nutrirsi sul nostro Sole. Ma ci sono altri che sostengono che la biologia della Terra ci da una buona indicazione di cosa potrebbe esserci là fuori.
Trovare vita da qualche altra parte, anche una singola ameba aliena, potrebbe chiarire come la vita si evolva lungo tracce parallele, e come si arrivi a certe strutture complesse come occhi, ali e grossi cervelli. Gli umani hanno, finora, il più grosso cervello in proporzione alle dimensioni tra gli esseri viventi conosciuti. Siamo giunti a questo punto grazie a imprevedibili e improbabili, se non casuali, evoluzioni? Lori Marino, uno psicobiologo della Emory University, ci dice che i delfini hanno avuto uno sbalzo nell'accrescimento del proprio cervello negli ultimi 35 milioni di anni, il che potrebbe avere un parallelo nel quadruplicarsi della massa cerebrale degli ominidi rispetto alle epoche passate. Secondo i suoi calcoli, grossi salti nell'intelligenza potrebbero essere ritrovati in qualsiasi creatura ovunque nell'universo. Ma è anche vero che i dati sono scarsi, e questo è ancora territorio buono per teologi e filosofi.
Cosa significa essere "intelligenti"? Quando "pensiamo", o "sentiamo", o "amiamo", che cosa stiamo facendo? Quando ci chiediamo se siamo "soli" nell'universo, vogliamo veramente sapere se ci sono altri lì fuori che sono, per certi aspetti cruciali, simili a noi. Cerchiamo i comunicatori, quelli che Drake definisce nella variabile "Fc", quelli che avrebbero le tecnologie per inviarci segnali decifrabili, idealmente. Ogni tre anni un convegno di bioastronomi raccoglie molti dei principali pensatori sul campo. Sono stato al convegno dell'agosto 1999 nelle Hawaii e chiacchierando con un sociologo di nome Allen Tough mentre gironzolavo attorno alla piscina dove si erano radunati gli altri, mi venne esposta un'idea provocatoria: "Penso che una sonda sia già qui. Probabilmente da molto tempo. Non intendo parlarle di dischi volanti: le sonde sarebbero nanosonde, piccoli robot esploratori costruiti e inviati sulla Terra da civiltà avanzate. Le sonde potrebbero anche rivelarsi agli umani, a un certo punto."
Come? Dove? "Penso che potrebbe accadere grazie a internet", dice. Tough e un'altra dozzina di visionari hanno una pre-conferenza per discutere cosa fare se l'umanità dovesse ricevere un messaggio "significativo" dagli extraterrestri. C'è molta incertezza su quanto ben preparata sia l'umanità per un tale evento. Potrebbe volerci una risposta difficile. Dovremmo preoccuparci per i punti deboli della nostra specie? Se osservassero la nostra storia di guerre e schiavitù, potrebbe essere interpretata come un problema? E se anche un comitato internazionale di pensatori benintenzionati mettesse insieme un messaggio, potrebbe essere boicottato dai guerriglieri oppure dagli anarchici? La bioastronomia comunque ha anche degli esponenti coi piedi piantati saldamente per terra.
Il meeting mi ricorda quanto ci sia ancora da scoprire sul sistema solare. L'esobiologo Jack Farmer fa una semplice quanto stupefacente osservazione quando fa notare che né il Viking nel 1976 né il Pathfinder nel 1997 hanno portato su Marte l'attrezzo così vitale per un geologo: la lente d'ingrandimento. Nemmeno il Polar Lander del 1999 ha con se questo strumento. Il commento di Farmer mi rimane in mente quando Cindy Lee Van Dover, una oceanografa, fa presente che nessuno ha mai fatto una immersione in un sottomarino guidandolo dentro a un sifone marino nell'Oceano Indiano per vedere cosa c'è dentro.
Così, prima di avere a che fare con l'impero galattico, abbiamo abbondanza di lavoro da fare molto vicino a casa. Freeman Dyson, un fisico, sostiene che gli umani potrebbero costruire nuove forme di vita adatte a vivere nel vuoto cosmico o sulla superficie di lune ghiacciate, comete e asteroidi. Nell'universo di Dyson, la vita è mobile e i pianeti sono trappole gravitazionali che ne impediscono i movimenti. "Forse il nostro destino è di essere delle nutrici, ed aiutare l'universo a nascere", ha dichiarato recentemente. "Una volta che la vita lascerà questo pianeta, non ci sarà più modo di fermarla". Ma la vita deve prima di tutto sopravvivere a questo pianeta. La longevità della civilizzazione è il fattore finale dell'equazione di Drake, L.
Gli umani, nella loro forma anatomica moderna esistono da circa 125.000 anni. Non è chiaro se un cervello come il nostro sia necessariamente un vantaggio a lungo termine. Facciamo errori. Costruiamo bombe. Distruggiamo il nostro mondo, avveleniamo le acque, inquiniamo l'aria. La nostra priorità come specie è di fare in modo che L sia più lungo possibile. Spero che chiunque si interessi a questi argomenti ne esca con una nuova concezione di cosa e chi siamo. In un universo di spazio vuoto, fornaci stellari e mondi ghiacciati, è bello sapere di essere vivi.
E dovremmo ricordare che se trovassimo vita intelligente al di fuori della Terra, potrebbe non essere quello che ci aspettiamo che sia. Gli alieni potrebbero non parlare con quella parte della nostra coscienza che riteniamo più importante, lo spirito, se preferite. Potrebbero avere poco da insegnarci. Il grande momento di contatto potrebbe semplicemente ricordarci che la sola cosa che vogliamo è trovare una versione migliore di noi stessi, una creatura che probabilmente dovremo costruire qui sulla Terra, con quello che abbiamo a disposizione.
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