Uno, moltissimi o infiniti? La domanda vagamente pirandelliana si riferisce al numero degli universi. Persino il linguaggio è inadeguato nel formulare una questione così vertiginosa.
Universo ha dentro di sé la parola uno e mal sopporta il plurale se si parla di universi veri, astrofisici, cioè esistenti, e non di universi metaforici. L'universo è uno per definizione in quanto dentro di sé tutto comprende. Molti universi, alla fine, nel loro insieme, non dovranno a fil di logica costituire un unico universo?
Eppure l'dea del "multiverso", cioè della pluralità - forse infinita - di universi sta prendendo piede. Si ripropone così in modo attuale e sotto nuove apparenze un antico problema: l'universo è finito o infinito?
Nel fascicolo del mensile "le Stelle" che andrà in edicola giovedì 30 maggio Tommaso Maccacaro affronta la questione. Nel suo articolo, il past-president dell'Istituto nazionale di astrofisica ricorda che alcune varianti della teoria delle stringhe permettono di stimare in 10 elevato alla 500 il numero degli universi possibili.
Non è l'infinito, ma già così non si scherza. Dieci elevato alla 500 è un numero immensamente più grande di 10 alla 82, e 10 alla 82 è il numero totale delle particelle elementari che costituiscono l'universo così come lo conosciamo dalle osservazioni astronomiche. La stima è del premio Nobel per la fisica Steven Weinberg.
Ma 10 alla 500 è un numero miserabile rispetto a 10 elevato alla 10 elevato alla 16 (dieci alla sedici è un esponente pari a 10 milioni di miliardi), e questa è la stima di Max Tegmark, professore di cosmologia al MIT.
Conosciamo da sempre lo 0, 6% di stelle e pianeti; da un secolo il 4% del gas intergalattico; da ottant'anni lo 0, 4% dei neutrini; da settant'anni la materia scura; da meno di 15 anni l'energia scura. La ricetta dell'universo che conosciamo è semplice e misteriosa:
-il 4% è costituito da gas intergalattico
-lo 0, 6% è fatto di stelle e pianeti
-lo 0, 4% è rappresentato da neutrini
-il 23% da materia oscura (ma sarebbe meglio dire scura)
-il 72% da energia oscura (ma sarebbe meglio dire scura).
Sono proprio le scoperte più recenti e le teorie per interpretarle ad aver messo in crisi la parola universo, inducendo a declinarla al plurale. Proviamo a ripercorrere di gran carriera l'intera storia della cosmologia (qui accanto, la radiazione cosmica di fondo nella mappa tracciata dal satellite Wilkinson-MAP).
Già nell'antichità greca coesistevano le idee di universo chiuso e di universo infinito (aperto). I filosofi della Scuola presocratica di Mileto propendevano per l'infinito: è il caso dell'atomista Democrito. Anassimandro (610- 546 a.C.) faceva dell'"àpeiron", letteralmente "senza perimetro", "senza confine", il principio universale.
Vinse però l'idea dell'universo finito e chiuso, strutturata solidamente da Aristotele e trasposta nella cosmologia di Tolomeo fatta propria della Chiesa cristiana. Terra ferma al centro, Luna, Sole e pianeti a danzarle intorno, il tutto chiuso dentro la sfera cristallina delle stelle fisse: questa è stata la cosmologia dominante per duemila anni.
E vale anche per Copernico e Keplero, che furono eliocentrici, ma sempre chiusi dentro la sfera delle stelle fisse. L'infinito - nello spazio e nel tempo - veniva scacciato dal mondo fisico (e persino matematico) in quanto attributo esclusivo di Dio. Lo imparò a proprie spese Giordano Bruno, mandato al rogo nel 1600 per le sue tesi eretiche, comprendevano anche quelle sull'infinitezza dell'universo e dei mondi.
Tuttavia, come Lucio Russo (Università La Sapienza di Roma) ha dimostrato, anche l'dea perdente - universo infinito - è rimasta viva e vegeta, sia pure sotto traccia.
L'universo infinito, almeno sotto la forma attenuata di indeterminato / illimitato ricompare in modo esplicitò con Nicolò Cusano: è inconoscibile, ma la "dotta ignoranza" permette di intuirlo in quanto "explicatio", benché inadeguato e imperfetto, di Dio.
Finito e infinito sono indissolubilmente connessi nella "coincidenza degli opposti". Teologo, cardinale, filosofo e astronomo tedesco, Nicolò Cusano viva dal 1401 al 1464, sulla soglia tra Medioevo e Rinascimento.
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