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15 Dicembre 2012 ARCHEOLOGIA
Marilena Pirrelli Patrimoniosos.it
CENSIMENTO PER L'ARCHEOLOGIA?
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Anno zero per ristabilire il valore scientifico dei reperti in mano agli italiani e la legalità nel mercato

"Vaso o anfora di scavo". Così sono passate in asta in Italia tra gli anni 1940-70 moltissimi reperti archeologici, sotto gli occhi delle Soprintendenze. Eppure oggi moltissimi collezionisti sono interrogati costantemente dalle forze dell'ordine - esistono due corpi specializzati il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e il Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico Guardia di Finanza - sulla provenienza dei loro reperti. Visto che con la legge n.364 del 1909 (regolamentata col Regio Decreto n.363 del 1913) la proprietà del sottosuolo è passata dal privato in capo allo Stato, molte opere archeologiche in possesso degli italiani, ereditate o frutto di scavi precedenti al 1909, non hanno paternità fatto salvi i beni notificati. Poiché in quell'epoca e negli anni successivi gli organi dello Stato non hanno censito quanti e quali beni archeologici fossero nelle case degli italiani, oltre Zoo anni dopo ci ritroviamo a supporre la provenienza illecita - poiché spesso non documentata oltre un secolo dopo - di qualsiasi oggetto archeologico. Un male, un bene? Nessun giudizio, ma l'osservazione di quanto succede tra mercato legale-illegale, tra controlli e tutela. Ecco la situazione: la le gge del 1909 purtroppo pose le condizioni del contenzioso tra Stato e cittadino non censendo i beni archeologici di proprietà o in possesso degli italiani, di cui ancora oggi si pretende di verificarne la proprietà ante 1909. Ma il collezionista eccepisce che mai nessuna norma - compresa la legge Bottai del 1939 e il Codice Urbani del 2004 - prevede l'obbligo di denunciare il possesso di reperti, se non in caso di ritrovamento fortuito (art. 90 Codice Urbani) o di concessione di quota di beni rinvenuti nel fondo privato "non necessari per le collezioni dello Stato", quota ormai tradotta in denaro. Negli anni più recenti sono aumentati scavi clandestini e commercio di oggetti di provenienza illecita. La sfinge egizia è un esempio: bloccata prima di imboccare il circuito del mercato clandestino internazionale. D'altra parte nelle aste pubbliche sono cresciute le quotazione dei reperti archeologici, che in media possono valere qualche migliaio di euro, con eccezioni per opere di valore museale come il busto di Marco Aurelio (170-180 d.C.) scambiato a New York il 5 dicembre per oltre 2 milioni di dollari (stima 800mila-1, 2 milioni) o nel polo a New York il busto in marmo di Antinoo (130-138 d.C.) passato da Sotheby's a oltre 23, 8 milioni di dollari (dai 2-3 milioni di stima), mostrando un mercato internazionale vivace. In Italia oggetti con provenienza sconosciuta al possessore o falsi finiscono nel mirino delle autorità poiché "sporcano" il mercato dei beni archeologici, che troppo spesso deve fare i conti con ricettazione e falsificazione. Una peccato d'origine sul quale il legislatore ha per troppo tempo rinviato l'intervento. Che fare? "Bisogna attuare quel censimento obbligatorio dei beni archeologici mai realizzato - rilancia Pino Bianco, esperto di archeologia e già membro del Consiglio nazionale del Mibac e dell'Anci, - grazie al quale portare a conoscenza dello Stato i beni in mano ai privati in Italia In pratica - prosegue Bianco - i privati possessorio detentori dei beni archeologici ante 476 d.C. (data che segnala fine dell'epoca classica e archeologica e apre il Medioevo, ndr) dovrebbero comunicare alle autorità competenti per territorio i propri dati anagrafici, l'elenco analitico dei beni posseduti con relative fotografie e versare so euro al Mibac per ogni oggetto censito. Una sorta di contributo alla catalogazione dei reperti. In realtà molto di più in termini legali poiché la comunicazione e il versamento comporterebbero la depenalizzazione dei reati connessi con il richiedente (furto, ricettazione, incauto acquisto, ndr) in merito ai reperti presentati e poi catalogati dal Ministero" conclude Bianco. Si favorirebbero le restituzioni spontanee, le Soprintendenze potrebbero verificare il valore scientifico dei reperti (con conseguente notifica d'interesse culturale) e gli organi di polizia potrebbero incrodarli con la banca dati sui furti. Il censimento rappresenterebbe l'anno zero dell'archeologia: un'operazione di trasparenza, che interromperebbe il traffico degli scavi clandestini, e di chiarezza giuridica, oggi spesso fatta in tribunale con molte sentenze a favore dei privati cittadini Si potrebbe dire che è una sanatoria? "Lo sarebbe se il cittadino fosse consapevole della provenienza illecita del bene" risponde Bianco. Chi compra oggi lo fa con fattura o ricevuta, ma il censimento sarebbe uno spartiacque per la legalità. E in cassa, ipotizzando circa 60 milioni di reperti da censire in mani private, potrebbero entrare tra 1, 5 e 3 miliardi di euro.