L'epidemia scoppiata in Africa riporta alla ribalta il virus mortale e i (finora vani) tentativi di sconfiggerlo. Il mistero delle origini. I nuovi rischi legati al terrorismo.
Addetti dell'Organizzazione mondiale della Sanità si preparano a entrare nell'ospedale di Kagadi, in Uganda, dove sono ricoverate le persone infettate dal virus Ebola.
L'epidemia del virus Ebola in corso in Uganda fa tornare d'attualità i tanti misteri che ancora circondano questa terribile malattia e le difficoltà nella ricerca di una cura. Si pensa che l'epidemia sia scoppiata nel distretto di Kibaale, nell'ovest del paese, circa tre settimane fa, ma l'annuncio ufficiale è stato dato solo venerdì scorso.
In un primo momento, spiegano le autorità ugandesi, il morbo non era stato identificato perché i pazienti non manifestavano alcuni dei tipici sintomi, come le emorragie, e perché molti di loro soffrivano già di altre patologie, come la malaria, che rendevano più difficile la diagnosi. Finora si contano 14 morti, tra cui una dirigente sanitaria e la sua bambina di quattro mesi e nove membri di un'unica famiglia. Un'altra decina di persone, riferisce il Washington Post, sono ricoverate nel locale ospedale per sospetta infezione.
Non è la prima volta che Ebola colpisce l'Uganda: nel 2007 un'epidemia fece 42 vittime, e un'altra nel 2000 uccise più di 200 persone.
Le conoscenze della medicina sul virus sono ancora scarsissime. Non si sa come si sia originato, né in quali specie si annidi tra un'epidemia e l'altra, né come curarlo, né come si trasmetta l'infezione. Lo dimostra l'appello alla nazione rivolto dal presidente ugandese Yoweri Museveni lunedì scorso: "Sconsigliamo le strette di mano, in quanto possono causare un contatto attraverso il sudore che può creare problemi... Evitate la promiscuità, perché queste malattie si trasmettono anche attraverso i rapporti sessuali".
"Per ora non ci sono prove, né teorie scientifiche, a sostegno dell'idea che Ebola si trasmetta attraverso il sudore" con una semplice stretta di mano, precisa Joseph Fair, presidente di Metabiota, un centro di ricerca di San Francisco che studia il virus e altri agenti patogeni. È vero però che i fluidi corporei possono trasportare l'infezione. In generale, "prestare più attenzione all'ambiente e alle persone con cui si viene in contatto è sempre raccomandabile se si vive in una zona contagiata", sostiene lo scienziato.
Un virus "incredibilmente letale"
Identificato per la prima volta nel 1976 nell'attuale Repubblica Democratica del Congo, Ebola è uno dei virus più contagiosi che si conoscano, e anche uno dei più letali. Causa emorragie interne - e a volte anche esterne - che portano alla morte fino al 90 per cento delle persone infette.
I sintomi iniziali sembrano di scarsa gravità: vomito, occhi rossi, dolore di stomaco, singhiozzo. Ma con l'andare del tempo il virus causa una diffusa perdita di sangue dai vasi capillari.
"In sostanza, cedono le giunzioni tra le membrane cellulari, e i capillari cominciano a perdere sangue. A quel punto cala la pressione sanguigna e lo shock porta alla morte... è una morte estremamente dolorosa".
Inoltre, i pochi che riescono a guarire dall'Ebola sono spesso trattati da reietti dal resto della popolazione, per timore che siano ancora portatori del contagio. Eppure l'infezione non è cronica come quella da HIV. "Le campagne d'informazione sulla prevenzione dell'AIDS sono state molto efficaci", spiega Fair, "ma come effetto indesiderato hanno fatto diffuso la convinzione che tutte le infezioni siano croniche, e che si resti contagiati per tutta la vita".
Il mistero delle origini
Scoprire le specie in cui il virus si annida - i cosiddetti serbatoi naturali della malattia - potrebbe aiutare a prevenire l'infezione e mettere a punto strumenti di profilassi. Alcuni studiosi ipotizzano che i serbatoi naturali di Ebola siano i pipistrelli, e alcuni dati sperimentali sembrano confermare la teoria. I pipistrelli, ad esempio, sopravvivono all'inoculazione del virus.
Ma la struttura proteica di Ebola ha anche alcune caratteristiche in comune con retrovirus tipici degli uccelli, il che ha fatto pensare che il virus sia di origine aviaria. Una possibile ipotesi è che in un lontano passato il virus si sia evoluto negli uccelli, per poi essere trasmesso ai pipistrelli, che da allora lo passano a primati ed esseri umani, sostiene David Sanders, ricercatore della Purdue University. Potrebbe anche darsi che uccelli e pipistrelli siano entrambi serbatoi naturali della malattia.
Ebola non sarebbe il primo virus dalla storia complicata. Quello dell'influenza, ad esempio, in origine infettava solo gli uccelli, ma da lì è "saltato" all'uomo, che probabilmente l'ha trasmesso ai maiali. Oggi sia gli uccelli sia i maiali possono essere all'origine di epidemie di influenza tra gli uomini, come dimostrato dai recenti allarmi sulla "suina" e l'"aviaria".
A quando il vaccino?
Quasi quarant'anni dopo la prima diagnosi, per Ebola non esiste ancora una cura. Una delle ragioni è che esistono molti ceppi del virus. "Quindi mettere a punto una risposta immunitaria contro il ceppo numero 1 non garantisce protezione dai ceppi 2, 3, 4 e 5", spiega Sanders.
Ma lo studioso aggiunge che una delle cause degli scarsi successi della ricerca in questo campo è la limitata portata della malattia. "Quante vittime americane ha fatto Ebola?", si chiede. "La risposta è zero. Tendiamo a concentrarci sulle patologie che ci colpiscono di più".
Oggi però il timore che il virus possa essere usato in attacchi terroristici potrebbe portare alla messa a punto di un vaccino. "Molti ricercatori hanno cominciato a occuparsene dopo l'11 settembre", prosegue Sanders. "Di certo il Dipartimento della Difesa USA ci sta lavorando".
Ma non è solo l'esercito a interessarsene, aggiunge Fair. Altri organismi federali, come il Dipartimento dell'Agricoltura, i National Institutes of Health e il Dipartimento per la Sicurezza interna hanno aumentato i fondi di bilancio destinati alla prevenzione del bioterrorismo, seguiti dall'Unione Europea, dal Giappone e da altri paesi. L'aumento della ricerca in questo campo potrebbe portare allo sviluppo di un vaccino che finirebbe per aiutare anche i paesi, come l'Uganda, colpiti da epidemie naturali.
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