Immaginate secoli di storia inabissati in fondo al mare. Il Mediterraneo ha custodito, come in un sudario d'acqua, luoghi che sono stati testimoni di scene memorabili: Cleopatra che si uccide con il morso dell'aspide; il suo amante Marco Antonio che attende la morte stordendosi in lugubri festini; la folla inferocita dei cristiani che devasta il tempio di Serapide, uno degli ultimi baluardi del paganesimo al tramonto.
Il francese Franck Goddio, 59 anni, archeologo dilettante ma professionista dell'indagine subacquea, ha esplorato questi luoghi leggendari. Ha riscoperto il porto sommerso di Alessandria d'Egitto, dove sorgevano i palazzi di Antonio e Cleopatra. Ha estratto dal mare le statue colossali del dio Serapide, ridotte in frammenti dalla furia dei cristiani. Il risultato dei suoi scavi sottomarini è esposto, dal 9 dicembre fino al 16 marzo 2007, al Grand Palais di Parigi, nella mostra I tesori inabissati dell'Egitto. Cinquecento pezzi archeologici strappati alle profondità del mare, che raccontano un millennio e mezzo di storia egizia, dal 700 avanti Cristo all'800 dopo Cristo. Solo una minima parte, in realtà, delle migliaia di reperti trovati da Goddio nelle acque prospicienti il delta del Nilo. «Una scoperta archeologica che gareggia con quella di Pompei» si è già letto. Esagerando, ma in un certo senso anche minimizzando. Perché Pompei era solo una città di provincia, mentre Alessandria d'Egitto è stata a lungo la più grande metropoli del mondo antico.
Fondata nel 331 avanti Cristo da Alessandro Magno, governata per tre secoli dalla dinastia greca dei Tolomei, e conquistata nel 30 avanti Cristo dai romani, era una città sfavillante di palazzi e giardini, con ampi viali costeggiati da colonne corinzie. Quando, nel 640 dopo Cristo, cadde in mano agli arabi, la leggenda vuole che i conquistatori si coprissero gli occhi per non essere accecati dal riverbero dei marmi.
«Ho conquistato la grande città dell'Occidente e non mi è facile enumerare le sue ricchezze e le sue bellezze» scrisse il generale maomettano Amr Ibn al-As. «Dirò solo che conta quattromila palazzi, quattromila bagni pubblici, quattrocento teatri e luoghi di divertimento, dodicimila negozi di frutta e quarantamila ebrei». Alessandria era un crogiuolo multietnico, con tutti i problemi delle metropoli multietniche. Egizi e greci, ebrei e romani: tutti si odiavano tra loro, e i tumulti erano all'ordine del giorno.
La storia di Alessandria è piena di pogrom antiebraici: il filosofo Filone parla di gente bruciata viva per le strade oppure fatta a pezzi nel teatro prima di un'esibizione di ballerini. Un giovane di provincia capitato ad Alessandria durante uno dei tanti tumulti di piazza scrive atterrito alla madre (la lettera ci è rimasta su un papiro): «Sono accadute cose senza precedenti nella storia dell'umanità. Adesso non siamo più alla guerra, siamo al cannibalismo».
Ma Alessandria era anche una città impareggiabile, colta e cosmopolita, che vantava la più grande e celebre biblioteca dell'antichità. Eppure, del suo fasto quasi nulla è rimasto di visibile, al di là di qualche scarna rovina. Anche della favolosa tomba di Alessandro Magno non c'è più traccia. Nel corso dei secoli la città è diventata un repertorio di presenze invisibili, di luoghi scomparsi
Anche per questo sono importanti le ricerche di Goddio, che riportano alla luce quanto di Alessandria era scivolato nel mare, dopo una serie di terremoti e bradisismi. L'esploratore francese ha fatto scalpore annunciando di avere scoperto i palazzi di Cleopatra e Marco Antonio. E ora spiega così a Panorama le sue scoperte: «Gli antichi raccontavano che il palazzo di Cleopatra fosse all'interno del Porto Grande di Alessandria, su un'isoletta chiamata Antirrhodos.
Mentre Antonio aveva costruito sulla vicina penisola di Poseidonion un palazzo chiamato Timonium, dove trascorse gli ultimi mesi della sua vita, dopo essere stato sconfitto da Ottaviano nella battaglia di Azio, dedicandosi a orge e banchetti. Le indagini sottomarine ci hanno permesso di individuare questi due siti e di tracciare, per la prima volta, una mappa dettagliata del porto antico di Alessandria.
Ad Antirrhodos abbiamo scoperto le rovine di un palazzo che risale agli inizi della dinastia dei Tolomei, di cui Cleopatra fu l'ultima erede. Sul Poseidonion abbiamo invece identificato un edificio databile più o meno ai tempi di Antonio, e posto esattamente all'estremità della penisola, il che coincide con la descrizione fatta nel 27 avanti Cristo dal geografo Strabone».
Ma possiamo essere sicuri che sia il Timonium? «La certezza assoluta potremmo averla solo se trovassimo un'iscrizione che lo identifica. Ma diciamo che ci sono molti indizi concomitanti».
Le rovine dovevano comunque appartenere alla zona degli antichi quartieri reali. Ad Antirrhodos l'equipe francese ha trovato anche il ritratto dell'ultimo, e più sfortunato, tra i faraoni. Si chiamava Cesarione: era il figlio di Cleopatra e di Giulio Cesare. Aveva 17 anni quando Ottaviano lo fece ammazzare, per non lasciare vivo chi un giorno avrebbe potuto rivendicare il trono d'Egitto. È solo un'impressione, ovviamente: ma la sua testa colossale in granito nero, uno dei pochissimi ritratti di Cesarione, sembra già segnata da una smorfia amara.
Da Alessandria gli scavi sottomarini di Goddio si sono estesi ad altre due località del delta del Nilo. A Heraklion, da dove arriva un colosso, alto 5 metri e mezzo, che raffigura il dio del Nilo, rappresentato con una corona di papiro in testa. E poi a Canopo, che per gli alessandrini era un po' quello che il quartiere a luci rosse è per Amsterdam.
Il canale che la collegava ad Alessandria era costeggiato da postriboli e taverne, dove scorreva a fiumi la birra, bevanda nazionale egiziana. «Canopo, la puttana» come la chiamava il latino Properzio, fu cancellata dai cristiani. Nel 391 essi si accanirono contro il santuario di Serapide. «Le cronache di quella devastazione» dice Goddio «riferiscono che smuovere le statue era quasi impossibile, tanto erano grandi e pesanti: e noi in effetti abbiamo ritrovato una testa colossale di Serapide in marmo bianco, che è tra l'altro un raro originale del II secolo avanti Cristo».
Il Serapeo di Canopo fu sostituito da un monastero cristiano, anch'esso poi scivolato nel mare e ora oggetto degli scavi. Sempre da Canopo arriva un altro pezzo straordinario: il Tempietto delle Decadi, un calendario astrologico egizio del IV secolo avanti Cristo. Un primo frammento di questo altare era già stato scoperto nel 1776 e ora è conservato al Louvre; altri due frammenti sono nel museo di Alessandria.
L'insieme viene ricomposto per la prima volta nella mostra parigina. Sul pezzo scoperto ora da Goddio è iscritto anche un testo cosmologico egiziano, finora sconosciuto, che racconta l'origine del mondo e la separazione del cielo dalla terra. Goddio ormai è diventato famoso. E anche controverso. Gli rimproverano di essere solo un dilettante, uno che viene da studi di economia, e non un archeologo professionista come il suo grande rivale, Jean-Yves Empereur, che a sua volta ha scoperto anni fa nel porto di Alessandria i frammenti dell'antico Faro, una delle sette meraviglie del mondo.
Gli rinfacciano l'attitudine manageriale e persino gli strumenti sofisticatissimi di cui dispone. Lo chiamano l'Indiana Jones dei mari, lo bollano come avventuriero. «Avventuriero io?» insorge Goddio. «Il mio lavoro consiste nell'evitare le avventure. Organizzare tutto, far sì che ogni cosa funzioni secondo i piani, evitare di perdere tempo e soldi. Io sono l'anti Indiana Jones».
Qualcuno ha anche detto che tutti sapevano di quelle rovine in fondo al mare.
Ed è vero: soltanto che prima di Goddio nessuno era andato a scavarle. Del resto, le più grandi scoperte archeologiche le hanno fatte i dilettanti. Se Heinrich Schliemann, che ha scavato Troia e Micene, faceva il mercante di tappeti, possiamo pure accettare che il businessman Goddio ci restituisca l'Alessandria sommersa.
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