IL TOTALE DEI NOSTRI ANTENATI SUPERA DI 15 VOLTE LA POPOLAZIONE ATTUALE.
Circa cinquantamila anni fa il nostro globo era popolato da specie differenti del genere Homo, disperse tra Africa e Eurasia, quando piccoli gruppi appartenenti alla nostra specie, Homo sapiens, uscirono dall'Africa e cominciarono a colonizzare vecchi e nuovi mondi. Come si sia imposto il nostro "progresso prepotente", come lo chiama il genetista Luigi Luca Cavalli Sforza, a scapito di tutti gli altri "umani", è ancora un mistero da sciogliere. Fatto sta che da quegli sparuti gruppi di pionieri è discesa una popolazione globale che, come le Nazioni Unite hanno ufficialmente decretato, nell'ottobre del 2011 avrebbe superato i sette miliardi. Tra sismi ed eruzioni, mutamenti di clima, per non dire di epidemie e guerre, non era garantito che le cose andassero davvero così "su questo pianeta instabile e nonostante tutto accogliente", come mostra il filosofo Telmo Pievani nel suo La vita inaspettata (Raffaello Cortina, Milano). Abitualmente siamo impressionati dalla crescita, talvolta prospettandoci un mondo sovrappopolato degno dei peggiori incubi del reverendo Thomas Robert Malthus (1766-1834); un modo differente di vedere le cose ci è ora prospettato dal Population Reference Bureau di Washington i cui ricercatori si interrogano invece non tanto su vivi e nascituri, bensì sui trapassati. Con estrapolazioni audaci (poiché l'avventura di Homo sapiens ci appare assai lacunosa sotto il profilo demografico) si è arrivati alla conclusione, ora pubblicata su Bbc Magazine, che gli attuali sette miliardi sembrerebbero pochi rispetto al totale dei nostri antenati: a partire dai Flintstones stile Hanna&Barbera si tratta di 107 miliardi di persone che affrontando una miriade di peripezie hanno "affollato" la Terra prima di noi, a cominciare da quell'esodo dall'Africa.
Però qualcosa del genere avevano già intuito quelle antiche culture che immaginarono carceri infernali per i loro defunti, sorvegliate da demoni che non lasciavano più scappare indietro nessuno, così da impedire appunto che "il morto sovrasti il vivo", come minaccia in un accesso di collera la dea Ishtar nell'Epopea di Gilgamesh. Abbastanza curiosamente, al cauto pessimismo della sapienza mesopotamica si contrappone oggi una concezione scientifica dell'esistenza che sempre più si allontana dal mito ingenuo delle "magnifiche sorti e progressive". Non ci riteniamo più il vertice di natura e storia; semmai, ci riconosciamo come figli di un'evoluzione che non ci assicurava affatto una crescita tanto impetuosa. Proprio per questo, come già intuiva Charles Robert Darwin (1809-1882) nelle pagine finali del suo L'origine delle specie, ci sentiamo nobilitati quando ci ritroviamo "discendenti in linea diretta dei pochi esseri che vissero molto tempo fa" nella cosiddetta preistoria.
C'è sempre qualcosa di commovente negli alberi genealogici che ricostruiscono una stirpe a partire da qualche antenato, un po' come fa per la famiglia dei Paperi l'artista disneyano Don Rosa: la genealogia, dagli antichi scozzesi tipo Bambaluc de' Paperoni, porta, attraverso il marinaio Paperinocchio Codacorta, sino alle Americhe dei pirati dei Caraibi e dei coloni puritani stile Cornelius Coot, fondatore di Paperopoli. Ma l'immagine dell'albero può essere fuorviante, specie in tempi come questi, in cui troppo si fa appello a radici più o meno identitarie. L'essere umano non è una pianta, bensì un animale, particolarmente abile nello sfruttare l'arte del camminare. Né si deve dimenticare che quest'arte si è sviluppata insieme alla capacità di adattarsi agli ambienti più disparati, o di cercarne di nuovi una volta che quelli vecchi si fossero rivelati ostili, esigui o altrimenti inadatti. Per di più, in tutto questo viaggiare, l'Homo sapiens ha saputo modulare sia le capacità progettuali della tecnica sia la forza trasformatrice della comunicazione musicale, e poi linguistica. Come scrisse Bruce Chatwin (1940-1989): "Gli uomini del tempo antico andarono a caccia, mangiarono, fecero l'amore, danzarono, uccisero: in ogni punto delle loro piste lasciarono una scia di musica, avvolgendo il mondo intero in una rete di canto".
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